ENRICO MATTEI: IL GRANDE TRASFORMATORE

ENRICO MATTEI: IL GRANDE TRASFORMATORE

Dietro il successo di molti uomini spesso ci stanno grandi sogni o grandi emozioni provate in circostanza particolari. Enrico Mattei diceva di trovare in una situazione vissuta da bambino la giusta motivazione per dare una certa impostazione alla sua vita, non solo di uomo, ma anche di imprenditore.

Raccontava pressappoco così: “Ero un bambino di sette o otto anni e mi trovavo nel cortile di una cascina in un caldo mezzogiorno d’estate. Vidi avvicinarsi una ragazza che portava una grossa marmitta di cibo a un gruppo di cani radunati sotto l’ombra di un albero. Appena la giovane ebbe posato la grossa ciotola per terra i cani si avventarono sul cibo avidamente. Quasi subito si avvicinò un gattino che timidamente cercava di procurarsi qualche boccone, ma il cane più grosso gli diede immediatamente una zampata scaraventandolo lontano. Mi avvicinai allo sfortunato gattino con l’intenzione di soccorrerlo, ma mi accorsi che era morto. In quel momento giurai a me stesso che avrei fatto di tutto perché scene simili non si verificassero nel mondo degli uomini”.

Indubbiamente Enrico Mattei fu uno dei più grandi uomini del secolo scorso ai quali dobbiamo immensa gratitudine per aver egli dato una svolta radicale positiva all’economia del nostro Paese. Chi era?

Nacque nelle Marche ad Acqualagna nel 1906, figlio di un brigadiere, poi maresciallo, dei carabinieri. Non aveva molta voglia di studiare, tuttavia, dotato di una volontà ferrea, riuscì a diplomarsi perito industriale per compiacere il padre. Trasferitasi la famiglia a Matelica, ottenne il diploma e cominciò giovane a lavorare, per poi recarsi a Milano.

Avrebbe potuto fare l’attore del cinema dato il suo aspetto attraente: alto, grintoso, dotato di una parlantina capace di convincere anche i compratori più riottosi ad acquistare ció che lui proponeva. Alla periferia di Milano aprì un piccolo laboratorio di prodotti chimici che trovarono una vasta clientela.

Negli anni Trenta il giovane Mattei, oltre che ottimo venditore, si rivelò anche eccellente imprenditore, pronto ad avvalersi delle innovazioni più moderne per far funzionare la propria azienda. Aveva anche intuito che per aver successo negli affari era importante curare la propria immagine e adottare un certo stile di vita. Infatti, fu uno dei primi imprenditori milanesi a girare con macchine di lusso con tanto di autista, acquistò uno splendido appartamento nel centro di Milano e organizzò incontri e feste con scadenza quasi settimanale, finalizzati al successo della sua attività .

Vi invitava, oltre ai suoi tecnici e venditori, persone di prestigio del mondo della cultura, professori universitari, in primis quelli dell’Università Cattolica, dalle cui intelligenti conversazioni sapeva trarre spunti per dar vita a cose nuove. Uno dei suoi più assidui commensali fu Marcello Boldrini, professore di Statistica della Cattolica, che gli fece conoscere altri personaggi che diventeranno poi famosi nel mondo della politica come Fanfani, La Pira e Dossetti.


Mattei, da buon cattolico praticante, non venne mai meno ai suoi principi religiosi, conservando una fede salda unita a una profonda lealtà verso i membri della sua famiglia di origine, della cui collaborazione si valse per tutto il periodo del suo frenetico “fare”. Fu per lui importante soprattutto la sorella, che era a conoscenza di tutte le sue operazioni finanziarie.

Il giovane e brillante Enrico Mattei suscitava ovviamente ammirazione anche nel mondo femminile, ed essendo lui desideroso di farsi una famiglia propria, godeva di un’ampia possibilità di scelta. Scelta che cadde su una bella ballerina austriaca che divenne sua moglie. L’unione si rivelò felice e duratura ma non fu allietata dalla nascita di figli, che i coniugi tanto desideravano, a causa di un’interruzione spontanea di gravidanza che precluse alla moglie ogni speranza di maternità .

Mentre l’Italia entrava in guerra, Mattei ebbe modo di conoscere altri personaggi che sarebbero diventati politici di prima grandezza, come Ezio Vanoni e Ferrari Aggradi. Quando cadde il fascismo Mattei, che era sempre stato antifascista, ma senza esporsi troppo come tale, per non avere guai con le sue aziende, fu invitato da De Gasperi, che stava dando vita alla Democrazia Cristiana, a rappresentare la DC nel CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) e, viste le sue caratteristiche di capo, a organizzare le formazioni partigiane di matrice cattolica, quelle con il fazzoletto azzurro. Durante la resistenza si procurò grande fama sia per la sua onestà, tanto che gli stessi partigiani comunisti si affidavano a lui come tesoriere del CLN, sia per il coraggio con cui seppe affrontare difficili situazioni. Ebbe la sventura di essere arrestato sotto falso nome e poi incarcerato al San Donnino di Como.

Fortunatamente, i fascisti non si accorsero di avere nelle mani il tesoriere del CLN. Riuscì poi a evadere dal carcere con la complicità di una guardia che era riuscito a corrompere. Ad attenderlo fuori dalle mura, che era riuscito a scavalcare grazie a un non casuale blackout, c’era la fidata sorella con un’automobile pronta a portarlo in un covo sicuro. Tra i suoi più stretti collaboratori di allora ricordo don Federico Mercalli, parroco di Lesa, l’ufficiale dell’esercito Eugenio Cefis, conosciuto tra i partigiani come Alberto, e Giovanni Marcora, chiamato Albertino.


Le Brigate Azzurre operarono nell’Ossola, sul Mottarone e, verso la fine della guerra, sul Lago Maggiore, dove, fra l’altro, ebbero modo di salvare la famiglia Mondadori dalle minacce dei partigiani comunisti. Per ordine di De Gasperi partecipò in prima fila alla sfilata dei partigiani in piazza Duomo a Milano, mentre Marcora (Albertino) distribuiva fazzoletti azzurri sia ai partigiani presenti sia a tutti quelli che gli capitavano sottomano, pur di far vedere che erano in tanti. In quel momento della sua vita Mattei, a quasi quarant’anni, godeva di una stima totale, non solo da parte dei cattolici, ma anche da parte di tutti coloro che avevano partecipato alla Resistenza, dai liberali ai comunisti.


Nel 1945 fu nominato commissario straordinario per liquidare un ente pubblico considerato di serie B, l�AGIP (Azienda Generale Italiana Petroli). Mattei, lavoratore infaticabile, abituato ad agire velocemente, andó subito a controllare l’archivio dell’AGIP e, da quel grande imprenditore che era, sentì odore di grandi affari. Incerto se darsi alla politica o all’impresa, chiese consiglio a monsignor Mercalli, il quale senza esitazione gli disse: “Tu sei nato per gli affari, dedicati all’AGIP che secondo me è una sicura fonte di ricchezza per la nostra Italia; lascia che la politica la facciano gli altri”.

Mattei riuscì scovare gli ex dipendenti dell’AGIP che se ne stavano nascosti temendo di essere accusati come fascisti. Al loro capo fissò un appuntamento alle cinque del mattino in piazza Duomo. Fecero una lunga passeggiata per le vie della città ancora addormentata, durante la quale Mattei si fece dire tutto quello che c’era da sapere su quell’ente che correva il rischio di essere messo in liquidazione. Alla fine, promise al suo interlocutore la riassunzione immediata, purché fosse in grado di rimettere in funzione l’azienda. Insieme si recarono poi a Caviaga, nella pianura padana, e furono iniziate le trivellazioni.

Il metano, l’oro italiano di allora, scaturì in abbondanza. La buona notizia fu subito comunicata a De Gasperi e Vanoni che, pur molto soddisfatti, invitarono Mattei a non comunicare ufficiale notizia dell’evento finché non avessero trovato anche un po’ di petrolio. Solo allora avrebbero potuto offrire una rassicurante immagine dell’Italia agli amici americani. Il petrolio non c’era, se non in minima quantità , ma nei film Luce di allora lo si vide sgorgare abbondantemente assieme al metano (trucco all’italiana).

Mattei non si scoraggiò, sapeva che il solo metano avrebbe provveduto a rifornire l’Italia di energia per circa un decennio; il petrolio lo avrebbe procurato per altre vie. Infatti, diede il via a rapide trattative con i Paesi che ne erano ricchi, come quelli del Nord Africa, del Medio Oriente e con la stessa Russia, firmando contratti vantaggiosi sia per chi comprava, sia per chi possedeva il prezioso idrocarburo (utili divisi a metà), comportamento corretto ben diverso da quello adottato dai vari Paesi occidentali nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, ispirato allo sfruttamento del più debole. È evidente che questo nuovo modo di gestire gli affari gli procurò dei nemici potenti, tra i primi le Sette sorelle. Il metano da solo fu sufficiente a dare a tutta l’industria italiana l’energia a basso costo che le mancava per diventare una potenza industriale.


Alla scoperta del metano fece seguito un fiorire di aziende e società destinate al suo utilizzo più razionale e meno dispendioso, facendolo arrivare alle fabbriche e alle singole abitazioni. Nacquero così la SNAM (Società Nazionale Metanodotti) e altre aziende indispensabili a gestire i vari settori che furono da lui affidati alla guida dei suoi amici ex partigiani.

Cefis gestì la parte economica e Marcora quella edilizia e dei trasporti. Allo stesso don Federico fu affidata la Gasburner, società che forniva metano a piccole città come Domodossola in Piemonte e Cesano Maderno in Lombardia. Va detto che Mattei non era del tutto rispettoso delle norme vigenti che regolavano i lavori pubblici e sovente rasentava i limiti della legalità . Ne sanno qualcosa i cremonesi che una mattina, senza che fosse stato dato loro alcun preavviso, si svegliarono e trovarono la città forata da buche e lastricata da tubi. Infatti, Mattei aveva individuato Cremona come passaggio ideale per posare i metanodotti che dovevano poi proseguire verso Milano e altri importanti centri lombardi.

Consapevole della lentezza della burocrazia e voglioso di realizzare la rete in tempi brevi, non chiese di proposito l’autorizzazione ai lavori. Dopo aver messo sottosopra Cremona, Mattei si rese irreperibile per due giorni, per poi ricomparire davanti al sindaco e al prefetto addossandosi ogni responsabilità e promettendo che i lavori sarebbero stati immediatamente sospesi. Si sentì rispondere che i lavori non andavano affatto interrotti, ma che bisognava in tutta fretta ultimarli per rendere agibile la città.

Era proprio ció che Mattei voleva sentirsi dire, aveva vinto contro la burocrazia. I cremonesi, da parte loro, superato il disagio temporaneo, constatato l’esito positivo dei lavori, si sentirono grati al disinvolto imprenditore. Interpellato da un giornalista su questo modo troppo spigliato di usare i fondi dell ‘azienda, che in fin dei conti erano pubblici, allo scopo di corrompere i vari politici i cui voti gli erano necessari, diede la famosa risposta: “Non capisco come si possa parlare di corruttela: per me i partiti e i politici sono tutti uguali. Sono come un taxi, ci salgo sopra, mi faccio portare dove intendo andare, pago e me ne vado. Che c’è di illegale?”


“Il primo gesto terroristico del nostro Paese”. Alcune valutazioni …


Mattei diede poi il via alla costruzione di due centri operativi, a San Donato Milanese e all’EUR di Roma, e realizzò i porti petroliferi di Gela e Ravenna. Comprò diversi aerei per l’azienda e viaggiò per tutto il mondo, sempre alla ricerca di buoni affari per il suo Paese. Quando nacque l’ENI tutti gli italiani poterono ammirare il cane a sei zampe, che ne era il simbolo (frutto della genialità di Leo Longanesi) e che faceva la sua comparsa sui giornali e sui cartelloni pubblicitari di tutta Italia.

L’AGIP che aveva ottenuto l’esclusiva per la ricerca di idrocarburi nel sottosuolo italiano, era guardata con ostilità dalle Sette sorelle, le grandi compagnie angloamericane che controllavano il petrolio nel mondo, anche perché, come ho già ricordato, erano infastidite dal modo inconsueto di operare dell’imprenditore italiano, che ovviamente danneggiava i loro interessi.

Mattei tentò di accordarsi con loro, ma tutto si concluse in un violento litigio. Trovò invece un alleato in De Gaulle, con il quale si accordò per l’utilizzo del petrolio algerino. Sul versante interno, l’operato di Mattei fu spesso oggetto di attacchi da parte di diversi quotidiani italiani. Per questo fondò un proprio giornale, Il Giorno, che si diffuse in tutta Italia con molto successo anche grazie a grandi direttori come Baldacci, Pietra, Zincone e Afeltra.

Ogni cosa che Mattei intraprendeva sembrava avere esito più che positivo e produceva soldi. Questo lo sapeva anche La Pira, allora sindaco di Firenze, che, trovandosi una marea di cittadini senza lavoro perché era fallita la Pignone, azienda che operava sul suo territorio, si rivolse a lui per chiedere aiuto. Mattei in un primo momento gli rispose che, pure sentendosi amareggiato, non poteva farci niente, anche perché era in partenza per l’Iran, dove l’attendeva la conclusione di un grosso affare.

Anche se l’amico La Pira in un sogno lo aveva visto come un salvatore, questo salvatore non era lui. Mentre si accingeva a partire fu avvisato che lo scià aveva sospeso l’appuntamento. Mattei, da buon credente, interpretò tale contrattempo come un segno della Provvidenza: la sua meta non doveva essere la Persia, ma Firenze, come voleva La Pira. Comunicò all ‘amico che avrebbe realizzato il suo sogno. Si recò nel capoluogo toscano e in breve tempo mise in piedi La Nuova Pignone, che avrebbe costruito i distributori del suo gruppo destinati a tutto il mondo e che avrebbe quindi riassunto tutti gli operai disoccupati.

Mattei sapeva che la sua vita era in pericolo, nonostante fosse sorvegliato da un’agguerrita guardia del corpo capitanata da Rino Pacchetti, medaglia d’oro della Resistenza. Un giorno la moglie, con la quale viveva in un albergo (da anni non aveva una residenza stabile), lo sorprese a piangere: temeva di dover presto morire. Ciò accadde nel cielo di Bascapè, vicino a Milano, quando l ‘ il aereo su cui viaggiava esplose.

Era il 1962. Sicuramente si trattò di un attentato riuscito, ma ordito chissà dove e chissà da chi: ancora oggi è un mistero, anche se non mancano diverse ipotesi credibili. Se ne andava così il più grande imprenditore italiano del secolo scorso che tanto si era dato da fare, non per arricchire se stesso, ma per migliorare il tenore di vita di tutto il popolo italiano.

All’estero Mattei era molto apprezzato, lo testimonia un incontro avvenuto a Mosca tra un furibondo Krusciov e l’ambasciatore italiano. Il capo sovietico aggredì quest’ultimo con le seguenti parole: “Voi italiani avevate l’uomo più importante del mondo, Enrico Mattei, e lo avete lasciato ammazzare. Dovevate dirlo a noi che non eravate in grado di proteggerlo, la nostra ottima polizia segreta l’avrebbe sicuramente salvato”.


Ezio Cartotto *

* Pagine tratte dal libro di Ezio Cartotto: Gli uomini che fecero la Repubblica- L’ DC C esempio dei maestri di ieri per ritrovare il senso della politica nell’Italia di oggi- 2012 Sperling & Kupfer-su gentile autorizzazione di Elena Cartotto

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