FRANCO SALVI: Visse come un samurai, una vita dedicata alla moralità dei fini 

FRANCO SALVI: Visse come un samurai, una vita dedicata alla moralità dei fini 

FRANCO SALVI NEL CENTENARIO DELLA SUA NASCITA: VISSE COME UN SAMURAI, UNA VITA DEDICATA ALLA MORALITÀ DEI FINI.

(articolo di Tino Bino)

Franco Salvi moriva la sera del 28 ottobre 1994. La malattia fisica lo aveva aggredito da tempo. La malattia dello spirito, il declino della energie morali, il morire, erano cominciati con l’assassinio di Aldo Moro ed erano precipitati con l’uccisione di Bachelet nell’atrio della Sapienza. Lo avevano trovato Franco, immediatamente accorso, accasciato ad un angolo dell’Università, perso nella disperazione. Bachelet era l’amico intimo rimasto dopo la morte di Moro. Moro, era stato la ragione di vita e di impegno di Franco. Quel leader e le idee che incarnava non erano solo teorie, principi etici, ragioni politiche, progetti illuminati, ma prassi di una gestione dello Stato che si andava inverando pur fra mille difficoltà e feroci avversioni interne e internazionali. Era la comprova fattuale che l’anima delle idee, e tale era il moroteismo, minoranza marginale delle politiche democristiane, possono divenire egemoni, governare i processi di allargamento della democrazia, quando contengono la forza non dei numeri, ma dei principi, quando incarnano i bisogni di giustizia e libertà quando interpretano l’irrinunciabile aspirazione all’eguaglianza, destino irraggiungibile forse, ma proprio per questo irrinunciabile di ogni azione politica e di ogni progetto di democrazia.

Capiva Franco che, con la morte di Moro l’Italia sarebbe entrata in una regressione di idee, in una confusione progettuale, in un disorientamento politico da cui non sarebbe stato facile uscire. Dopo molti decenni ancora oggi all’Italia non è riuscito di ritrovare il percorso, una traiettoria di progresso morale, un sentiero di futuro. Perché il Paese non ha avuto il coraggio di rivisitare i suoi anni settanta e di sistemarne, ordinatamente, gli avvenimenti che li hanno attraversati. Nel male ed anche nel bene. Si è chiusa la stagione dei partiti, perno della vita democratica sancita dalla Carta Costituzionale. Si è archiviata, per colpe proprie e dell’episcopato italiano, la storia dei cattolici impegnati in politica. La sinistra, con la morte di Moro, e lo spaesamento di Berlinguer, si è sciolta nel mare della proprie contraddizioni storiche. Vent’anni di egemonia berlusconiana hanno sfarinato la democrazia partecipativa, dando vita al populismo politico, all’individualismo di una società malata di solitudine, curata adesso con il narcisismo social. Non estraneo alla deriva dei no vax che impedisce la sconfitta definitiva del virus che ha stravolto la nostra vita collettiva nell’ultimo biennio.


Franco Salvi fu fra gli ultimi cavalieri, uno degli ultimi sacerdoti della vita democratica dei cattolici impegnati. Uso termini sacrali perché così lui pensava la democrazia, un rito che esigeva costi personali, sacrifici individuali, fedeltà non discutibili. Visse come un samurai, una vita dedicata alla moralità dei fini. Morì come i soccombenti per eccesso di virtù. In letteratura sono modelli, i don Chisciotte, i Cyrano di Bergerac. In politica sono i molti leader sconfitti dal potere ma testimoni di una idea, di una utopia, di una aspirazione più alta delle nostre mediocrità . È la storia del Risorgimento, della lotta di liberazione, dei Costituenti per la democrazia in Italia e in ogni parte del mondo.

Così fu la vita di Franco Salvi, dalla militanza nella Resistenza, dal carcere nazista di Verona, dalla leadership nelle fiamma verdi, da una saga familiare ancora tutta da scrivere. Il suo carisma bresciano lo esercitava con incontri settimanali nella grande sala della dismessa farmacia paterna nel quartiere popolare del Carmine. Una sala rimasta sempre arredata dai grandi vasi medicinali della farmacia di Emilio Salvi che per decenni ha servito i poveri della città e che, per tutto il periodo della Resistenza, è stata la sede della clandestinità, dei comitati di liberazione, degli incontri segreti, degli approdi rischiosi. Dentro, crebbe una famiglia di leader sociali e politici e culturali.

Una palestra riconosciuta di educazione all’esercizio esemplare della cittadinanza. Il fratello Roberto fu il partigiano più coraggioso della Resistenza bresciana, il fratello Mario un dirigente industriale di riconosciuta professionalità, la sorella Elvira una intellettuale di prestigio, critica d’arte temuta e preparata. I Salvi, come i Trebeschi, i Montini, i Bazoli, i Minelli sono la storia di Brescia e del suo cattolicesimo sociale e liberale.

Sono non solo l’ossatura, la trama della tenuta civile della città , ma l’identità culturale, la leadership politica per lunghi anni, fino a quando la politica rimase portatrice del ruolo essenziale della tenuta e della crescita sociali. Ma lo furono perché l’egemonia del cattolicesimo che quelle famiglie interpretavano era universalmente riconosciuta. Il loro era un impegno che si generava nei capisaldi della responsabilità individuale, nell’universalismo cristiano, nel progetto capace di coinvolgere l’intera società, non una parte di essa. Sono famiglie che hanno pagato prezzi alti, fedeli ad un comportamento divenuto concezione di vita emblematico di una storia del cattolicesimo democratico.

Dopo la guerra Franco Salvi si impegnò immediatamente nella ricosruzione. Fu vice-presidente nazionale della FUCI per volere di Montini, poi Paolo VI. E in breve, iscritto alla Dc, divenne responsabile della Camilluccia, la scuola quadri del partito. Passó da li l’intera classe dirigente democristiana, metá del giornalismo italiano, tutta la dirigenza dell’industria pubblica. Fu a lungo parlamentare, primo collaboratore di Aldo Moro, responsabile dei morotei, fondatore del moroteismo, e dei rapporti, per conto di Moro, con i leader della sinistra, e le figure d’oltre Tevere, le teste pensanti del Vaticano. Incarnó in prima persona la linea politica del cattolicesimo democratico. Gettó a lungo lo sguardo sui problemi internazionali con collaborazioni dirette e indirette, promosse movimenti, fu presidente di associazioni per l’Africa e per l’Est Europa. E alla fine accettó ruoli secondari, incarichi di modeste identità.

Non chiese mai nulla per sé, la sua carriera, il suo prestigio.

Ho incontrato due anni fa, poco prima che morisse, Nicola Rana, l ‘intellettuale di Moro. Abbiamo parlato a lungo di Franco. Mi ha confermato che Franco Salvi è stata una delle personalità più rigorose e cristalline della Dc italiana e che non ebbe ció che meritava. Molte volte il suo nome figurava nella lista dei ministri da nominare, ma lo stesso Moro ne chiedeva la rinuncia. Franco, diceva, doveva stare al partito, doveva dirigere il gruppo, essere il riferimento delle mille controversie che nascevano in ogni parte d’Italia. La fedeltá, il coraggio, la testimonianza, lo sguardo al futuro, la passione per il rigore e la verità , l’assunzione del rischio personale, sono tutte qualità che si trovano intatte nel discorso storico che Franco pronuncia dalla tribuna del XIV congresso del febbraio 1980. Lo ricorda in una bella pagina Corrado Belci nella biografia dedicata a Franco. Fu deriso, insultato, fischiato dai dorotei e da quanti stavano aderendo ad una linea che era un insulto alla memoria di Moro. Denunció l ‘ipocrisia, il potere fine a se stesso, il trasformismo imperante, le congiure, il capovolgimento e il tradimento della linea di Moro e Zaccagnini. Faticó a terminare l’intervento. Le sue parole erano sommerse da urla e minacce. In tribuna stampa, dove io sedevo, arrivavano solo echi e stralci del discorso. Ma Salvi, un piccolo punto grigio, isolato e solitario sulla tribuna al centro di una assemblea babelica, non si intimidì. “Amicus Plato, concluse, sed magis amica veritas. Per questo, amici, ho parlato, ho creduto doveroso dire quello che vi ho detto”. Ed era come un addio, un congedo limpido in una stagione che avrebbe cominciato il declino finale di una lunga storia.

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FRANCO SALVI UN VERO MAESTRO DI COERENZA E POLITICA

(Alfredo Bonomi)

Ci sono persone che diventano determinanti per il percorso umano di una vita. Per me Franco Salvi è stata una di queste. È datato negli ultimi mesi del 1969 il primo incontro che ho avuto con lui e da quel colloquio sono uscito con la convinzione che era necessario, per dar voce al mio desiderio di impegnarmi per la società della Valle Sabbia, un coinvolgimento diretto nel vivo dell’amministrazione pubblica.

Da questa certezza venne l’idea di dedicarmi al mio piccolo comune montano, denso di storia e di problemi, visto come concreto campo d’azione per dar senso a idealità e progettualità maturate dopo attente riflessioni.

Senza l’incontro con Franco Salvi, con molta probabilità , non avrei intrapreso quel percorso amministrativo che mi ha poi visto Sindaco per venticinque anni, attivo a livello della Comunità Montana di Valle Sabbia e nella U.S.L. n.39. Tutti gli altri impegni nei vari organismi scolastici e culturali della Valle, ed anche in un raggio più esteso, sono state “piste operative” saldamente ancorate ad una visione più vasta, non limitata ad un singolo territorio. In questo “sguardo d’insieme” Franco Salvi mi ha insegnato che la cultura era fondamentale per dar più valore all’impegno.

Sulla rigorosità morale di Franco Salvi è già stato detto tutto.

L’impegno politico per lui è scaturito, come normale conseguenza, da un dovere etico profondo, attento alle necessità delle persone, nel tentativo di costruire una società giusta e generosa dove i problemi fossero considerati e affrontati indipendentemente dalla loro apparente importanza.

Per un giovane la vicinanza di una personalità così granitica nei valori e così misurata nel porsi, non poteva che essere percepita come una “folgorazione” per impegnarsi.

Così è stato per me. I moltissimi incontri avuti con lui, non tanto i convegni “di grido”, ma nell’antica farmacia di via Battaglie, trasformata in studio o, meglio, in un luogo di paziente e generoso ascolto, erano un sicuro arricchimento umano, ma anche una sorta di percorso spirituale, dove la politica non si immiseriva nel contendere del potere, ma era vista come un convinto impegno quotidiano, lontano dalla fuga dalle responsabilità , che non disdegnava la legittima forza dialettica per la difesa di valori ritenuti portanti per una società più giusta.

Da questa visione veniva a noi giovani, e naturalmente a me giovane amministratore, la molla per un impegno fatto di atti concreti ed anche di decoro sul piano umano.

Non si trattava quindi di impoverire il cammino intrapreso con una disinvolta pratica nel “superare gli ostacoli”, ma di arricchirlo con la pazienza di rimuovere gli ostacoli di danno per una visione della società ancorata ai grandi valori cristiani e a quelli portati dalla Resistenza, tesa a creare uno Stato attento ai bisogni di tutti e rispettoso delle peculiarità personali, in un quadro complessivo di vera libertà.

Dal 1970 al 1990 i nostri incontri sono stati fitti, poi si sono un pó diradati anche per le sue condizioni di salute.

Nella farmacia-studio di via Battaglie portavo problematiche, richieste che riguardavano anche situazioni di singole persone, che sembravano poca cosa ma che, in realtà , erano “grande cosa” per chi aveva la necessità di essere considerato ed aiutato. Chiedevo pure molti consigli. Naturalmente questa era la facciata più evidente di un rapporto declinato nell’ottica di poter giovarsi di un parere autorevole per rispondere alle molte esigenze che si presentano quotidianamente ad un amministratore.

A questo versante si affiancava per una dimensione più profonda.

La coerenza morale di Franco Salvi, la sua rigorosa adesione ai valori in cui credeva, il suo modo di vedere la politica, strettamente legata ad una scala valoriale da rispettare, mai da rinnegare, sono stati una elezione politica profonda e motivante per molti anche nei momenti difficili e drammatici che ha dovuto affrontare.

La mia convinta adesione al “Gruppo Moroteo” bresciano (un orientamento mai mutato durante tutto il mio “cammino amministrativo”) è maturata e si è consolidata, sino a diventare una “dominante” nel modo di concepire l’impegno pubblico, grazie ai ripetuti colloqui avuti con Franco Salvi e al suo esempio moralmente luminoso e politicamente tutto dedito allo spirito di servizio. La sua figura è stata un punto obbligato di riferimento per un gruppo di valligiani, attivi a livello comunitario, che, pur nelle difficoltà, hanno cercato di avere una visione d’insieme nell’agire amministrativo, supportati anche da serie riflessioni culturali.

Ricordando Franco Salvi è peró d’obbligo soffermarsi sulle sue caratteristiche umane. Uomo di poche ma sostanziali parole, di sguardi significativi più che di gesti teatrali, con una grande delicatezza nel porsi e nell’esprimere i sentimenti, sapeva rapportarsi all’interlocutore in maniera penetrante e coinvolgente. Quella che, ad una prima impressione, poteva sembrare timidezza, era Franco Salvi, Presidente della Fuci di Brescia e poi Vice Presidente nazionale invece una forma di rispetto per chi aveva di fronte.

La non eccelsa retorica nel parlare denotava lo sforzo continuo di trovare i vocaboli giusti e di “far parlare l’animo”. Teneva in alta considerazione l’amicizia. La sua semplicità nel porsi era dettata da una collaudata propensione a non voler “apparire”, ma a voler “essere”. Così era anche nei rapporti umani e nell’amicizia.

Il 21 ottobre del 1978 Franco Salvi mi accompagnó all’altare della piccola e artistica chiesa parrocchiale di Avenone per il mio matrimonio con Daniela. Io ero a quel tempo Sindaco di Pertica Bassa e lei segretaria della Sezione D.C. di Vestone-Nozza. La giornata era di quelle che mozzano il fiato tanto era bella. I picchi della Corna Blacca sembravano di cristallo, protesi verso il cielo di un azzurro totale. La tavolozza dei colori autunnali componeva una cartolina di bellezza indimenticabile. Le sfumature del colore erano in armonia con la felicità dei cuori.

Gli occhi di Franco Salvi brillavano mentre mi accompagnava in chiesa. Si era portato in quel di Pertica Bassa per essere vicino a due giovani in un momento fondamentale della loro vita. Non ho mai dimenticato il suo volto e l’intensitá del suo fugace sorriso che ha detto molto in quella giornata.

Certo, pensando a Franco Salvi, alla sua rigorosità morale, alla “palestra dei valori” nella quale allenava il suo animo, ai drammi che ha affrontato per essere fedele ad una vita coerente ed ad azioni altrettanto coerenti, non si puó scacciare un sottile filo di malinconia che pervade la mente. Questo filo è alimentato dalla constatazione dei “disastri politici” che sono venuti dopo, dell’arroganza di “politicanti” presenzialisti, della nevrosi del dover apparire ad ogni costo, della “solitudine della politica”, cosi come è stata costretta dall’attuale società, certo per ragioni che andrebbero attentamente indagate, senza però far venir meno il senso della speranza.

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LETTERA AGLI ELETTORI

(Brescia, 1992 Franco Salvi)

Ho chiuso la mia esperienza parlamentare ed anche quella della politica attiva.

Devo ringraziare quanti mi hanno permesso di stare in Parlamento per così lunghi anni e mi scuso per le inadempienze, le deficienze e gli errori che hanno accompagnato questa mia vita.

La società o la politica sono radicalmente cambiate da quando ho incominciato ad interessarmene; pensate che già dal 25 luglio all’8 settembre del ’43 in bicicletta con mio cugino Cesare Trebeschi andavo in giro per le parrocchie a presentare ai parroci l’opportunitá della creazione della Dc ed è inutile dire quante diverse reazioni incontrassimo.

Poi vi è stata la Resistenza, il 25 aprile e il risorgere della democrazia. un primo impegno coi giovani della Dc e poi il Vescovo di allora mi chiese di scegliere tra l’attività politica e la presidenza della Fuci di Brescia e io lasciai la politica (anche se nelle elezioni davo il mio possibile contributo all’attività di via Tosio) fino a quando dopo essere arrivato a Roma quale vice-presidente nazionale della Fuci conobbi vari dirigenti della Dc e alla scadenza del mio mandato alla Fuci entrai nell’attività di partito col gruppo di Id (Iniziativa democratica, ndr).

Scusate questa digressione, non voglio fare la mia storia ma mi serviva per dirvi una delle questioni che più mi hanno colpito ultimamente in questo cambiamento della società e della politica.

Senza essere stato affatto un eroe ho però partecipato con un contributo modesto a quella che era chiamata lotta di liberazione contro i tedeschi e i fascisti e io ricordo qui i nostri caduti della Resistenza, i giovani che hanno disertato la chiamata alle armi della Repubblica Sociale per passare nclle file della Resistenza e le migliaia di prigionieri nei lager tedeschi che hanno preferito restare e soffrire e morire in quei campi di concentramento piuttosto che aderire alla Repubblica Sociale.

Ero convinto che il risorgere della democrazia in Italia fosse si dovuto alla sconfitta dei tedeschi da parte di americani, inglesi, francesi, russi, etc., ma che non fosse affatto insignificante il contributo degli italiani nella liberazione del nostro Paese con l’atteggiamento che in diverse forme e in diverse situazioni avevano dato alla lotta contro il fascismo e il nazismo.

E avevo sempre saputo e creduto che la Costituzione italiana nascesse proprio da questo impegno e dai sacriiici che questo impegno aveva comportato.

Ora sento dire da storici di varia matrice, e fra questi da Scoppola che pure è un amico e che ha fatto battaglie con noi in questi anni di vita democratica e da ultimo dal prof. Francesco Cossiga, che quella è stata una guerra civile.

Ma certo loro non hanno visto le nostre città occupate dai tedeschi e dai fascisti! Permettetemi di dirvi, e mi scuso coi giovani che non hanno vissuto quegli anni, che non riesco ad accettare questa versione e che, se volete, oltre a tutti gli altri cambiamenti nella vita politica e sociale che sono sotto gli occhi di tutti quelli che si sono impegnati nella vita del partito e nelle altre organizzazioni che hanno contribuito allo svilupparsi della vita politica e sociale di questi 47 anni e oltre alle condizioni nelle quali stiamo vivendo oggi, questa è un po’ la goccia che fa traboccare il vaso e che mi induce a ritenermi ormai un superato e a ritirarmi dalla vita politica attiva.

Nuove energie si presentano alla ribalta e possono ridare slancio e vigore agli ideali che erano alla base della nostra vita e che credo abbiano ancora una loro validità anche se l’impegno sarà gravoso per chi continuerà o inizierà questa azione correggendo anche gli errori, e sono tanti, che noi più anziani abbiamo commesso.

Di fronte al frantumarsi dei partiti e della società credo ancora che la politica abbia la funzione di sintesi e di guida degli interessi, delle spinte, delle richieste provenienti dalla società e il compito di ricercare il bene comune e credo che anche di fronte al crollo del comunismo resti valida l’opportunità di un impegno unitario dei cattolici; vi sono valori che sono propri dei cattolici e che, I’esperienza ci insegna per la presenza anche parlamentare di cattolici in altri partiti, non possono essere affermati e difesi che nella unità , in questo contrastando Ie affermazioni del prof. Cossiga.

Certo si tratta di trasformare e rinnovare i partiti (io non vedo, a parte iI dettame della Costituzione, altri strumenti diversi atti a garantire la vita democratica). Di fronte al frantumarsi dei partiti e della società credo ancora che la politica abbia la funzione di sintesi e di guida degli interessi, delle spinte, delle richieste provenienti dalla società. Rendere veramente democratica la vita interna del partito, renderla pulita, sottrarla agli intrecci con gli affari, rivitalizzare gli ideali, ricollegarla con la società, dare giustizia ai più deboli, ridare valori ai quali credere a tutti i cittadini ritengo siano compiti che soprattutto la sinistra della Dc può e deve ancora svolgere.

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Gli articoli citati sono tratti dal numero di dicembre 2021 del giornale Democratici Cristiani per l’Azione

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