Intervento sull’Europa

Intervento sull’Europa

Presidenza del vice presidente DINI,

indi del vice presidente SALVI

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Eufemi. Ne ha facoltà.

EUFEMI (CCD-CDU:BF). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli senatori, questo dibattito sulla legge comunitaria assume particolare rilievo perché si svolge dopo la conclusione del vertice di Laeken e le successive dimissioni del ministro Ruggiero, che hanno portato il premier ad assumere l’interim del Dicastero degli affari esteri.

Bene ha fatto il Presidente del Consiglio, nei suoi colloqui internazionali, a riaffermare con forza la vocazione e l’impegno europeista del nostro Paese. Abbiamo apprezzato la tenace difesa degli interessi nazionali, dalle posizioni espresse sulle Autorità alla indicazione del rappresentante nazionale nella Convenzione. Tutte questioni che devono essere collocate in un realistico europeismo e non subordinate ad un europeismo entusiasta, evitando così di scambiare la prudenza per antieuropeismo.

Non mi soffermerò sulle questioni relative all’adeguamento dello strumento normativo, ampiamente illustrate dal collega Basile e integrate dalla relazione del senatore Greco. Mi soffermerò, piuttosto, sul Documento LXXXVII. Il vertice di Laeken, con un itinerario stringente, un mandato ampio, ha lanciato un nuovo processo costituente europeo, la prospettiva della Costituzione europea a pochi giorni dal raggiungimento di un grande traguardo come l’introduzione dell’euro.

L’introduzione della moneta che unisce milioni di cittadini europei, completando il grande processo di unione monetaria della Comunità, non è solo un grande evento storico, è qualcosa di più. Si afferma la grande idea dell’Europa tenacemente sostenuta dai padri fondatori, che portò Jean Monnet a sostenere che “l’Europa era condannata al successo”.

L’introduzione dell’euro ha rappresentato il completamento del mercato unico. Ci saranno vantaggi in termini di prezzi, quotazioni, trasparenza, con facilitazioni negli scambi. Questa moneta non è espressione di uno Stato articolato strutturalmente, in grado di elaborare autonomamente politiche economiche e monetarie, con sistemi sociali e fiscali difficilmente armonizzabili, diversi fra loro, ma una moneta senza Stato. Si aprono problemi nuovi, dai contorni ancora incerti, rispetto ai quali tutti devono concorrere a dare risposte, ancorché difficili.

Vi è un interrogativo di fondo: rispetto ad istituzioni ancora non stabilizzate, qual è l’armamentario per superare eventuali crisi impreviste ed imprevedibili e per fronteggiarle adeguatamente? Dobbiamo fugare le tesi di Milton Friedman, secondo il quale in Europa “ci sono ancora 15 cavalli che corrono da soli”. Emergerà allora l’esigenza di un maggiore coordinamento dei sistemi bancari nell’armonizzazione fiscale rendendo più evidenti le distorsioni, aiutando a perfezionare il mercato unico, il mercato comune, dalla moneta unica ai codici unici.

È necessario sviluppare una politica economica che oggi non funziona per mancanza di coordinamento e il successo della BCE dipende dalla convergenza economica che si può sviluppare attraverso una cooperazione rafforzata, come previsto nei trattati. Occorre un ripensamento, reso indispensabile dalla politica di allargamento su cui discuterà la Convenzione.

Oggi si pone il problema della governance dell’Europa. La governance deve essere degli eletti, non dei cooptati o dei tecnocrati. Siamo contrari, dunque, ad una visione aristotelica, preferendo una maggiore attenzione ai Parlamenti, come ha assicurato anche Giscard d’Estaing, alla volontà delle Nazioni più che alle conferenze intergovernative.

Sembra in crisi il modello fischeriano, mentre si afferma quello Giscard-Delors con l’unione degli Stati a doppia devoluzione, verso il basso e verso l’alto. L’Europa, dunque, ha bisogno di funzioni e poteri, partendo dallo Stato Nazione, che è il container della democrazia.

Vogliamo un’Unione di Stati, non cessione di sovranità, ma organizzazione di funzioni; non l’immaginario della sinistra. La sinistra ha cavalcato la politica europeista con la tecnocrazia come prosecuzione della democrazia, creando un meccanismo per cui il legislativo cedeva all’Esecutivo e questi alla tecnocrazia; il ritorno al legislativo era possibile solo per fatto compiuto e al Parlamento restava solo la ratifica del tipo Carta di Nizza. Il trapasso che abbiamo di fronte è tra economia e politica, non è tra adolescenza e maturità.

Si è molto discusso e si discute ancora sul sistema di voto, sul voto a maggioranza qualificata, sulla minoranza di bloccaggio. Nei giorni scorsi il senatore Cossiga aveva definito “una tombola” questo sistema di voto.

Il metodo della cooperazione rafforzata può essere utilizzato per consentire a un gruppo di Paesi di assumere una più alta velocità di integrazione all’interno dei trattati, come è avvenuto con il trattato di Schengen, ma appare inadeguato se il dibattito sull’avvenire dell’Europa metterà a confronto un gruppo di Paesi pronti ad accettare il principio di una costituzione di carattere federale e un altro gruppo di Paesi deciso a salvaguardare l’ormai apparente sovranità nazionale nell’ambito di un’Europa di tipo confederale.

Bene ha fatto nei giorni scorsi il presidente Andreotti a ricordare l’azione insostituibile di Guido Carli nel passaggio dalla CEE all’Unione europea, come pure la necessità di preparare bene i vertici e la necessità di un lavoro paziente per avvicinare le posizioni. Il rischio del voto a maggioranza sta nella difficoltà di imporre con i numeri scelte che si riflettono sugli uomini, sui cittadini e sulle istituzioni.

L’Unione europea dovrà evolvere verso una forma di Stato federale dotato di un sistema di governo federale e di un Parlamento bicamerale chiamato, da un lato, a rappresentare i cittadini con la Camera dei rappresentanti e, dall’altro, i Governi nazionali con la Camera degli Stati.

La questione del metodo appare più importante del contenuto della futura Costituzione europea. Attraverso il dibattito sulla Costituzione, ha affermato recentemente Delors, i cittadini europei potranno interessarsi all’Europa e parteciparvi: non solo i Governi, i partiti e i Parlamenti ma anche la società civile, i partner sociali, gli intellettuali, aprendo la strada alla formazione di un’opinione pubblica europea e ad una pedagogia della democrazia.

Occorre ripensare le politiche di sviluppo e di coesione sociale evitando che per un mero artificio statistico le popolazioni più bisognose del Sud del Mediterraneo possano perdere il diritto al sostegno e alla solidarietà, introducendo altri indicatori oltre quelli del PIL pro capite (in particolare tasso di disoccupazione, deficit infrastrutturale, livelli di occupazione). Occorre dunque aiutare la crescita di altri centri propulsivi dello sviluppo europeo.

Quello che vogliamo è un’Europa dei valori, con una precisa identità culturale, affermando un patriottismo europeo che non nasce da un relativismo senza principi, ma dal confluire delle culture nazionali dei nostri popoli. Sono popoli in cammino, che pongono la persona umana e la sua dignità al centro della costruzione sociale verso cui orientare l’azione politica.

Un’Europa più grande, perché l’allargamento è un processo costruito sulla pace, che non alzi muri per difendere la ricchezza, ma allarghi la ricchezza e il lavoro in un processo di riconciliazione che superi le ferite della guerra. Un’Europa più efficiente e più democratica: l’Europa dei cittadini.

Appare indispensabile una modifica regolamentare che disciplini una sessione europea dei lavori parlamentari. I problemi sono esplosi con la redazione della Carta dei diritti fondamentali nella definizione del patrimonio dell’Unione, lasciando aperta con la formula “patrimonio morale e spirituale” la questione del modello di integrazione-cooperazione adatto ad una società multietnica, multiculturale e multireligiosa, come potrà essere l’Unione di 30 Paesi e oltre 500 milioni di abitanti.

Onorevole Ministro, onorevoli senatori, se vogliamo che prevalga la logica del nuovo occorre che l’Europa si rafforzi come unità politica. La dote migliore da portare in un’Europa allargata ed integrata è una cultura europea insieme ad una economia aperta alla competizione internazionale.

L’ampliamento ai Paesi del Mediterraneo, da Malta a Cipro, rimuovendo gli ultimi ostacoli all’apertura del negoziato, è questione nodale. Il campo dei diritti fondamentali del cittadino, delle libertà e della democrazia è stato illuminante come precondizione per l’adesione di nuovi paesi all’Unione. Assistiamo così alla contraddizione di chi punta esclusivamente al grande mercato e chi mira ad una maggiore convergenza delle rappresentanze democratiche dando lezioni di europeismo a quelle forze che hanno fondato l’Europa.

Vi sono momenti della storia in cui si può correre ed altri in cui si deve camminare adagio. La fase che si apriva dopo Maastricht, con l’avvio dell’euro, non consentiva grandi innovazioni nella costituzione europea. Dopo l’avvento dell’euro si può cominciare a correre, si può aprire il decennio dell’Europa.

Crediamo che la ricchezza dell’Europa stia anche nella sua diversità. Come ha detto, in epoca non sospetta, John Major: “Sono le Nazioni che devono costruire l’Europa e non l’Europa che deve soppiantare le Nazioni”. (Applausi dai Gruppi CCD-CDU:BF e AN. Congratulazioni).

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