Interpellanza sul “Mobbing”

Interpellanza sul “Mobbing”

EUFEMI (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, con le interpellanze che illustrerò sommariamente, vertenti sulla stessa materia e presentate nel mese di giugno scorso, solleviamo il problema del cosiddetto mobbing, un problema molto importante perché tocca da vicino vaste cerchie di cittadini.

Secondo i dati di una ricerca della clinica del lavoro di Milano e dell’associazione Prima di Bologna, in Italia sono soggetti a mobbing (termine che in inglese significa “aggredire, accerchiare”), che spesso si trasforma in bossing (contro categorie definite di lavoratori), circa 5 milioni di lavoratori – è un dato su cui occorre riflettere – con una frequenza maggiore nel settore pubblico, ove sarebbe interessato il 56 per cento dei dipendenti.

La stampa ha dedicato moltissimo spazio a questo problema. Il fenomeno riguarda spesso vessazioni da parte di sindacalisti senza scrupoli. Tali sindacalisti, lungi dall’instaurare un corretto sistema di relazioni sindacali, abusano della loro posizione per sottoporre il dirigente e il quadro ad un mix di pressioni psicologiche, dispetti, richieste assurde, angherie, a volte anche minacce – spesso senza fondamento – di deferimento all’autorità giudiziaria.

Secondo una ricerca svolta presso l’Università di Bologna dal dottor Harald Ege, tale fenomeno per la vittima non rappresenta un normale conflitto, né un periodo di crisi che si risolve presto, ma un lento stillicidio di attacchi ed umiliazioni perduranti nel tempo.

Il dato si accentua con riferimento alle donne. Le donne dirigenti e quadri, in quanto esaltano nei sindacalisti artefici del bossing il loro complesso di inferiorità, sono le più esposte ai suddetti effetti negativi.

Abbiamo chiesto al Ministro di sapere come si intende porre fine a queste tirannie; se si intende avviare un’attività di monitoraggio per verificare e valutare questi comportamenti; se non si ritenga di intervenire anche con un’azione legislativa per risolvere tale problema; quali azioni si intendano intraprendere a tutela dei dirigenti e dei quadri, anche in sede giudiziaria.

PRESIDENTE. Il Ministro per la funzione pubblica ha facoltà di rispondere alle interpellanze testé svolte.

FRATTINI, ministro per la funzione pubblica e per il coordinamento dei Servizi di informazione e sicurezza. Il senatore Eufemi ha posto una questione generale di grande rilevanza.

Al di là della specifica analisi, è noto a tutti che il fenomeno del cosiddetto mobbing non ha in Italia una specifica disciplina sanzionatoria, malgrado, come si ricorda, nella precedente legislatura il tema sia stato ampiamente dibattuto in Parlamento, non essendo giunti all’approvazione definitiva di un progetto di legge. Ricordo, tra i molti, l’Atto Camera n. 4818, presentato appunto nella scorsa legislatura.

Evidentemente la situazione specifica indicata nei due atti di sindacato ispettivo riguarda non il mobbing in senso proprio ma i rapporti di forza tra le parti collettive, cioè tra le amministrazioni e le organizzazioni sindacali. E’ una questione che, quindi, attiene in effetti alla capacità di affermazione dell’una o dell’altra parte nei reciproci rapporti durante periodi di relazioni sindacali definite, o comunque durante lo svolgimento dell’attività amministrativa.

Le organizzazioni sindacali sono evidentemente una controparte istituzionale dell’amministrazione pubblica, e quindi l’esercizio di un’ordinaria pressione sindacale sui funzionari e sui dirigenti dipende dal ruolo connaturale al sindacato. Ci sono casi in cui l’amministrazione o singoli dirigenti, per ragioni diverse, magari anche per una debolezza intrinseca che qualche volta si verifica, non riescono a contrastare, come forse si potrebbe in talune circostanze, le richieste della controparte sindacale. Queste possono determinare situazioni di pressione al di là di un rapporto fisiologico, ma non si tratta certamente di un caso riconducibile all’istituto del mobbing. E’ però una prima possibile condizione che si può verificare.

Esistono poi situazioni, come il senatore Eufemi certamente sa, in cui vi è una accondiscendenza al sindacato effettivamente volontaria, per libera scelta e, quel che è peggio (qui voglio introdurre un ulteriore elemento di riflessione), per una sorta di convenienza del dirigente, che in qualche caso preferisce accondiscendere liberamente piuttosto che resistere, per assicurare a sé e alla struttura che dirige una ordinaria e ragionevole tranquillità di vita.

La delicatezza del problema è che noi non possiamo stabilire né con legge né con delle regole quando, come e in quali modi si debbano promuovere o fermare le pressioni sindacali sui dirigenti; è materia che tipicamente rientra nei rapporti tra parti e controparti.

Un’analisi che invece sarebbe possibile compiere è quella volta ad individuare se, in casi come quello indicato dal senatore Eufemi, possano ricorrere gli estremi di ciò che la giurisprudenza ha definito “mobbing esterno”, cioè una pressione proveniente da un’organizzazione. Questo oggettivamente non è mai stato fatto, proprio perché la delicatezza delle relazioni sindacali ha impedito di definire regole stringenti e – peggio – regole legislative in una materia che deve essere affidata al libero confronto tra le parti sociali.

Esistono però dei casi in cui il singolo comportamento può avere un effetto realmente incidente sull’attività e sulla capacità dei dirigenti o dei quadri o di coloro che devono assumere delle responsabilità opponendosi a richieste sindacali. Un’esplorazione che merita di essere compiuta dal punto di vista giuridico è quella volta a valutare se rientri nel potere dell’amministrazione, in qualità di datore di lavoro, adottare delle misure di tipo precauzionale riconducibili all’obbligo previsto dall’articolo 2087 del codice civile di garantire l’integrità psico-fisica del lavoratore.

In questo caso, evidentemente, il lavoratore sarebbe il dirigente sottoposto ad un’attività di forte pressione. Ma credo che solamente in questi limiti possiamo immaginare un’esplorazione più approfondita.

Tra l’altro, bisogna ricordare che i dipendenti, quando svolgono attività sindacale, non sono soggetti alla subordinazione gerarchica al dirigente: questo è previsto – come il senatore Eufemi sa – dal contratto collettivo quadro del 1998, all’articolo 18, comma 6, relativo alle modalità di utilizzo delle prerogative sindacali.

Siccome, evidentemente, si tratta di un principio basilare della contrattazione collettiva, le iniziative assunte dall’amministrazione dovranno muoversi – è ovvio – in sintonia con i princìpi di libertà sindacale e con il principio che ho appena ricordato, cioè che i dipendenti, quando svolgono funzioni di sindacalista, non sono soggetti alla subordinazione gerarchica. Questa, d’altronde, è la ragione per la quale il dirigente non può applicare una sanzione disciplinare al dipendente che sia dirigente sindacale, quando sta esercitando le sue funzioni.

La delicatezza del problema sta nel fatto che si chiederebbe o si dovrebbe introdurre una regola cogente in una materia che si affida a limiti di fisiologico rapporto tra parti e controparti e che mal si concilia con una regolamentazione di tipo preliminare.

Certamente da condannare è però quel fenomeno che sta dietro la situazione indicata dal senatore Eufemi e che effettivamente può verificarsi in un certo numero di casi: un fenomeno di fatto, non disciplinabile di diritto. Mi riferisco alla circostanza che alcuni dirigenti sindacali approfittino della loro prerogativa di sindacalisti, e quindi della loro non soggezione alle sanzioni e al vincolo gerarchico. Ebbene, se questo comportamento in via di fatto li conduce ad avvalersi indebitamente della propria posizione, è sicuramente censurabile.

Tutto sta a vedere se si tratta di una censura in termini di corretto svolgimento dei rapporti sindacali, come credo si debba dire, ovvero si possano applicare delle sanzioni di tipo giuridico che allo stato l’ordinamento non prevede, al di là dell’ipotesi dell’articolo 2087 del codice civile, che può condurre l’amministrazione ad una tutela della capacità operativa dei propri dirigenti quando sono sottoposti a questi – per così dire – eccessi di comportamento da parte dei dirigenti sindacali.

In conclusione posso dirle, senatore Eufemi, che ho dato comunque disposizioni di verificare e di monitorare la situazione esistente; questo, evidentemente, al fine di capire se la classe dirigente delle pubbliche amministrazioni è davvero in condizioni di esercitare fino in fondo tutte le proprie prerogative, anche di scelta e di decisione, e se il rapporto corretto con le organizzazioni sindacali non nasconda qualche volta – mi spiace dirlo – qualche scambio di accondiscendenza dall’una e dall’altra parte.

Se questi fenomeni, dalle indicazioni che raccoglierò presso tutte le amministrazioni dello Stato, assumessero un rilievo tanto grande e tanto preoccupante quale quello che emerge dalla ricerca riportata dal senatore Eufemi, certamente ci sarebbe materia per affidare, anzitutto ad un confronto tra le parti sociali, e quindi tra l’amministrazione pubblica e le organizzazioni sindacali, l’individuazione, credo, di regole.

Tali regole – lo dico con chiarezza – difficilmente potranno essere in questa materia dettate con legge, ma se le organizzazioni sindacali si dimostreranno fino in fondo responsabili anche su questo tema molto delicato, si potrebbe arrivare, ad esempio, a degli accordi quadro per definire una serie di comportamenti al di là dei quali anche la tutela del sindacalista dipendente pubblico deve cedere, dinanzi ad un principio di correttezza dei rapporti con la sua controparte.

Disciplinare quando la correttezza dei rapporti sconfina in illecito, come lei capisce, senatore Eufemi, è questione delicatissima su cui credo che il legislatore non debba entrare; ma ritengo che sia stato assai colpevole non occuparsi di questo problema nel quadro di un sistema di relazioni sindacali che si è allargato sempre di più, ha dato sempre maggiori, comprensibili, prerogative alla parte sindacale e assai poco si è preoccupato di come – negozialmente, se vogliamo – regolare i limiti dell’esercizio di queste prerogative sindacali; lo ripeto, senza una legge autoritativa, ma, quanto meno, nell’ambito dell’autonomia.

Questo è lo sforzo che credo si debba fare e, se il senatore Eufemi lo riterrà, potrò più avanti trasmettere all’Assemblea del Senato l’esito di un monitoraggio più profondo che credo si debba svolgere nell’arco di qualche mese nell’ambito delle amministrazioni.

EUFEMI (UDC:CCD-CDU-DE). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EUFEMI (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, innanzitutto desidero ringraziare il ministro Frattini per la puntuale risposta data ai nostri quesiti. Certamente ha tracciato una linea molto interessante; apprezziamo soprattutto l’attenzione dimostrata ai problemi, e quindi la disponibilità a verificare e capire.

Vede, signor Ministro, noi certamente scopriamo una debolezza del sistema e quindi anche la necessità di un adeguamento legislativo in questo campo, soprattutto, come lei diceva, per quanto riguarda il mobbing esterno.

Rispetto alle nostre interpellanze ci siamo mossi da dati certamente allarmanti, più in Europa che nel nostro Paese, dove sono più contenuti: stiamo parlando di 12 milioni di vittime in Europa, rispetto al milione e mezzo di oppressi in Italia. Però il 43 per cento non a caso è concentrato nel Lazio, dove è più ampia la presenza la pubblica amministrazione. Naturalmente bisogna considerare anche i costi di queste violenze psicologiche.

Il fenomeno del mobbing nella sua complessità può essere orizzontale (tra colleghi) e verticale (tra sovraordinato e dipendente, e viceversa) e può riguardare gruppi che operano sul dipendente, quindi ci troviamo di fronte molto spesso a casi di mobbing istituzionale.

Noi riteniamo che, di fronte alla rilevanza del fenomeno, una qualche forma di intervento legislativo sarebbe in ogni caso opportuna, per lo meno per fissare i princìpi generali, senza andare magari troppo nel dettaglio, sia per quanto riguarda le forme di tutela del lavoratore, sia per quanto attiene alle responsabilità dei comportamenti illeciti.

Sono stati anche presentati diversi provvedimenti, sia alla Camera che al Senato, che potrebbero essere lo spunto per un’azione in questo senso, anche con una capacità di ascolto verso queste associazioni più attente ai fenomeni del mobbing.

Certamente la legge potrà demandare alla contrattazione collettiva – come lei ha ricordato – il compito di disciplinare accordi-quadro, di favorire questa autodisciplina per ciascun settore e per settori secondari.

Comunque, ci riteniamo soddisfatti della risposta fornita alla nostra sollecitazione. C’è, soprattutto, necessità di rafforzare il sistema di monitoraggio, perché se comprendiamo la dimensione del problema possiamo svolgere un’efficace azione di tutela

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Social media & sharing icons powered by UltimatelySocial