Intervento sulle riforme istituzionali
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Eufemi. Ne ha facoltà.
EUFEMI (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’appuntamento odierno non sarà un rito inutile se tutte le forze politiche avranno la capacità e la determinazione di guardare non alle convenienze di partito, di schieramento e dell’attuale contesto politico, ma privilegeranno il futuro del Paese.
Prendendo atto del fallimento di tutte le Commissioni bicamerali, dobbiamo recuperare uno spirito costituente, quello spirito che ha sorretto le scelte fondamentali del Paese. Noi dell’Unione Democristiana e di Centro, eredi di una cultura delle istituzioni, siamo consapevoli della necessità di un pieno e largo coinvolgimento di tutte le forze politiche. Se perdiamo questa occasione rischiamo di arricchire certamente gli archivi e le biblioteche parlamentari di nuove carte e di nuovi documenti, sicuramente interessanti, ma poco utili rispetto all’esigenza di nuove regole nel rispetto dei principi costituzionale, delle regole, dei diritti e delle libertà dei cittadini.
Tali regole debbono essere condivise per rafforzare quell’edificio nelle sue strutture portanti, perché le regole costituzionali non sono proprietà della temporanea maggioranza di governo, né del potere di interdizione delle forze d’opposizione, di un’opposizione a volte ostruzionista e antagonista.
Vi è un generale consenso a non mutare la I Parte della Costituzione, quella che sancisce i princìpi fondamentali e tutela le libertà fondamentali perché ormai metabolizzate, salvo forse piccoli aggiustamenti per la parte relativa alla costituzione economica e alla democrazia economica come mezzo e strumento per il superamento del conflitto sociale, così come lo abbiamo sperimentato nel XX secolo. Mi riferisco, in particolare, all’attuale mutato contesto di liberalizzazioni e quindi alla obsolescenza dell’articolo 43 relativo ai monopoli, rispetto all’articolo 41 sulla libera iniziativa economica.
Altrettanto consenso si registra nel rivedere la II Parte della Costituzione, soprattutto nelle forme di Governo e di Stato che appaiono le più deboli e le più inadeguate rispetto ai cambiamenti socio-economici, alla prospettiva di “multiculturalismo”, alla evoluzione del sistema politico italiano fino alla rottura degli equilibri determinatisi dal dopoguerra, al grande fenomeno della globalizzazione, che è di per se stesso un processo transnazionale.
Si può trovare un ampio consenso se le forze politiche non arriveranno a decidere con maggioranze esigue, senza colpi di mano, come purtroppo è avvenuto in passato con le modifiche al Titolo V, di cui oggi scontiamo gravi lacerazioni, oltre che dannose conseguenze sul funzionamento dei soggetti e degli enti territoriali e la difficoltà di recuperare un riequilibrio armonico. Se questo gentlemen agreement funzionerà, non vi sarà neppure bisogno di modificare, come è stato anche ricordato poco fa, l’articolo 138 della Costituzione, prevedendo un’ampia maggioranza dei due terzi, come pure si cercò di fare nel 1995.
Non dobbiamo dimenticare che i vincoli europei, la nuova realtà istituzionale, politica ed economica dell’Unione europea impongono con forza e urgenza ormai nuovi comportamenti, ma prima ancora nuove regole. Le decisioni dell’Unione europea sono destinate sempre più ad influenzare la vita istituzionale degli Stati membri, che devono tener conto della nuova realtà, prevedendo e offrendo risposte puntuali e adeguate. Questa è l’ineludibile esigenza e l’urgenza che deve spingere tutte le forze politiche ad una nuova stagione di responsabilità, che si è particolarmente evidenziata dopo l’introduzione dell’euro.
Ciò premesso, c’è innanzitutto una questione di metodo. Se non vogliamo perdere tempo nel ripercorrere inutilmente le esperienze dal 1985 ad oggi dalle Commissioni Bozzi, De Mita-Iotti e D’Alema, che non hanno portato a risultati concreti e definitivi, appare opportuno e necessario che la Convenzione tra i partiti e i Gruppi parlamentari definisca prioritariamente la dimensione e l’ambito degli interventi. Se privilegiare allora grandi riforme o piccoli aggiustamenti; se procedere con la forma di Stato o con la forma di Governo; se adeguare, semplificare, alleggerire il procedimento legislativo, in particolare sulla decisione di bilancio, ponendo limiti alla sua emendabilità (solo il passaggio infatti da una gestione di competenza ad una di cassa, recuperando rigore, razionalità procedurale, successo degli obiettivi, potrà consolidare il pieno traguardo dell’integrazione europea); se rafforzare il sistema delle garanzie, sia in ordine alle Autorità di settore, sia in ordine al nuovo ruolo della Banca d’Italia, sia in ordine, infine, alla previsione di ricorrere alla Corte costituzionale qualora l’iniziativa sia assunta da un quinto dei componenti di ciascuna Camera; come pure un meglio precisato ruolo della Corte dei conti rispetto alla certificazione di bilancio, che consiste non solo nel valutarne la legittimità, ma la coerenza delle scritture con la realtà dei fatti contabili.
Definire prioritariamente l’indicazione delle scelte, gli accordi tra le Camere sulle modalità di realizzare le riforme, con la consapevolezza che non vanno trascurati i Regolamenti parlamentari, per affermare e definire lo Statuto della maggioranza e del Governo e lo Statuto dell’opposizione insieme a quella zona franca dei diritti dei singoli, richiamata poco fa dal presidente Pera, nonché all’esigenza di ammodernare le istituzioni in tutte le sue articolazioni.
Se non vogliamo procedere all’elezione dell’Assemblea costituente, all’istituzione di nuove Commissioni bicamerali o speciali, l’unica via, quella praticabile, concreta, perché capace di non interferire e intralciare i normali lavori parlamentari fino a determinarne un blocco, è prevedere sessioni istituzionali nell’ambito della Commissione affari costituzionali in giorni particolari, con tempi e scadenze predefinite, per non intralciare o bloccare i normali lavori parlamentari della stessa Commissione.
Tale soluzione avrebbe il vantaggio di non incidere sul regolare andamento dei lavori, evitando un dannoso blocco legislativo e consentendo a tutti di poter partecipare attivamente alle stesse sessioni. Naturalmente è esigenza primaria, per evitare le esperienze negative del passato, definire una scadenza, senza illudere ancora una volta le attese dell’opinione pubblica con false promesse. Questo attiene alla credibilità, non dell’una o dell’altra forza politica, ma dell’intero Parlamento.
Così come è urgente un più forte coinvolgimento del Parlamento sulla materia della legislazione delegata di fronte ad una trasformazione della funzione legislativa, che sposta nel Governo la proposta e la decisione su importanti materie. Appare necessario introdurre maggiori e più forti controlli parlamentari sul corretto esercizio della materia delegata, prevedendo un nuovo e ulteriore passaggio parlamentare per motivare e far emergere eventuali difformità dalla delega.
Siamo nelle condizioni di non partire da zero; l’eredità del lavoro prodotto dalla Bicamerale non deve essere però un totem per nessuno, anche perché non possiamo non tener conto delle novità successivamente intervenute: la legge Bassanini sul decentramento amministrativo e la riforma del Titolo V della Costituzione. L’importante è ora raggiungere risultati concreti e rapidi.
La riforma deve essere svincolata dal contesto attuale, dal riferimento alle forze politiche che governano il Paese. Non va dimenticato, inoltre, che il ruolo del Parlamento è mutato. L’erosione dello Stato nazionale, come poco fa ha ricordato anche il senatore Valditara, ad opera dei poteri sovranazionali e delle stesse multinazionali, come pure la cessione di sovranità verso i soggetti e gli enti territoriali più vicini ai cittadini comportano che il Parlamento oggi ha meno occasioni di intervento in questi settori, soprattutto nella politica sociale e nella politica economica.
Il Parlamento può e deve recuperare una nuova centralità, che non è quella del passato, né dello Stato imprenditore né dello Stato centralista, ma dello Stato che affronta le politiche del lavoro, delle nuove solidarietà, della famiglia e del nuovo modo di interpretare ed incarnare il diritto alla vita e della vita rispetto agli sviluppi in materia genetica ed ecologica senza regole, per i quali si devono trovare indicazioni in una situazione ancora priva di regolamentazione.
Occorre pure ricordare la necessità, rispetto alle nuove politiche di intervento in politica estera di peace keeping e di peace enforcing, delle politiche comunitarie, recuperando una più forte fase ascendente nella politica dell’Unione, che oggi è solo marcatamente discendente.
Ora è il momento della sintesi, che si ritrova nella volontà delle forze politiche di realizzare un percorso riformatore. La nostra preferenza (non di oggi, ma dell’inizio della legislatura) è per il cosiddetto cancellierato, corretto con una più forte rappresentanza proporzionale e un premio di maggioranza, salvaguardando i princìpi della governabilità e della stabilità. Ma non alziamo muri, non poniamo pregiudiziali: siamo aperti al confronto.
Come ha efficacemente relazionato il presidente Pastore la scorsa settimana, si prevede che il Presidente del Consiglio sia eletto, su designazione del Presidente della Repubblica, dal Parlamento in seduta comune; a maggioranza assoluta dei componenti; al potere di nomina, con proprio decreto, dei Ministri, è collegato, allo stesso modo, il potere di revoca.
L’iniziativa prevede inoltre l’istituto della cosiddetta sfiducia costruttiva. Il progetto di legge che ho appena richiamato, connesso alla proposta di revisione costituzionale, introduce un sistema elettorale di tipo proporzionale, salvo il collegamento del candidato al Parlamento con il candidato a Presidente del Consiglio, nonché la previsione di un premio di maggioranza e di una clausola di sbarramento.
Queste scelte fanno parte dello specifico programma dei Cristiani democratici alle elezioni politiche, ribadito nel nostro manifesto dell’Unione democratico cristiana e di centro, per la valorizzazione del principio di rappresentanza di tutte le forze vive del Paese, combinando i princìpi di governabilità e di stabilità.
Preferiamo mantenere un sistema di garanzie in cui il Capo dello Stato conservi il potere di scioglimento delle Camere e se la proposta venisse avanzata dal premier realizzeremmo un positivo duumvirato.
Non guardiamo alla meccanica riproposizione di modelli esteri, ma preferiamo assumere un approccio culturale che si agganci alla storia, alla società, al pluralismo del nostro Paese.
L’UDC vuole che il 2003 sia l’anno delle riforme, tenendo conto che per renderle forti e durature dovranno avere la forza del consenso. Una forza che ha permesso alla Carta costituzionale di garantire libertà, di determinare sviluppo economico e grandi riforme economiche e sociali operando una vasta redistribuzione del reddito, di superare le congiunture economiche, di vincere le violenze e il terrorismo come strumento di lotta politica e di contestazione ai princìpi di libertà, alla legge del consenso e del voto: devono essere scelte condivise.
Da parte nostra privilegiamo il dialogo come metodo per ammodernare le strutture dello Stato attraverso scelte di sistema. Dobbiamo mantenere la centralità parlamentare, perché tale valore assume oggi ancora più significato rispetto a chi ne tenta la delegittimazione.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l’UDC ha tenuto nella giornata di sabato un incontro che ha rappresentato un’importante occasione di riflessione. In quella sede il segretario politico, Marco Follini, rispetto a cronache che hanno voluto soffermarsi su aspetti più propriamente polemici, ha invece svolto un ragionamento sulle prospettive delle riforme costituzionali e soprattutto sul tentativo di recuperare una forte visione di dialogo, citando una frase di Aldo Moro che voglio qui ricordare: “Quale che sia la posizione nella quale ci si confronta, qualche cosa rimane di noi negli altri e degli altri in noi”. (Applausi dai Gruppi UDC:CCD-CDU-DE e AN e dei senatori Coviello e Carrara. Congratulazioni).