Intervento in aula su conversione in legge del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici

Intervento in aula su conversione in legge del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Eufemi. Ne ha facoltà.

EUFEMI (UDC). Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, senatori, la manovra di finanza pubblica, attraverso interventi per 16 miliardi di euro, mira a cifrare il deficit della Pubblica amministrazione al 2,2 per cento del PIL e trova un primo pilastro nel decreto-legge n. 269, con una correzione complessiva dell’indebitamento netto di 11 miliardi di euro, poco meno di 1 punto percentuale del PIL. Alle misure di contenimento sono state unite quelle per lo sviluppo, per 5 miliardi di euro.

Rispetto alle decisioni di bilancio non si può tuttavia trascurare il peso delle una tantum e dunque la rilevante componente transitoria della manovra derivante dal condono edilizio, dal concordato preventivo, dalle sanatorie fiscali e dalle vendite di immobili, il programma cosiddetto di valorizzazione degli attivi, che trovano in questo decreto la loro conferma.

Non vi è dubbio che il ricorso a ripetute manovre di aggiustamento dei conti, che non deprimano ulteriormente consumi e investimenti, quindi operazioni di finanza straordinaria, genera riflessi sulle attività fiscali istituzionali e difficoltà di liquidità e porta il cittadino al rinvio di spese, come quelle di consumo per i beni durevoli, che soffrono una pesante caduta della domanda.

Una manovra che guarda agli obiettivi di bilancio ma, al tempo stesso, aperta al rilancio degli investimenti pubblici e privati e che pone particolare attenzione al problema della ricerca e della competitività del sistema Paese. Esprimiamo preoccupazione per la riduzione dell’avanzo primario, sceso al 2,8 per cento nel 2003, rispetto agli impegni programmatici assunti in sede di Unione monetaria.

Il rallentamento rispetto agli impegni programmatici di riduzione del debito e all’avanzo primario muove dalla constatazione di un insoddisfacente andamento dell’economia a livello europeo e delle ripercussioni negative per il nostro Paese. L’economia europea negli ultimi tre anni è cresciuta ad un ritmo marcatamente inferiore al suo potenziale.

Porre l’accento sulla dimensione europea del problema della scarsa crescita non vuole essere un tentativo di evitare un confronto sui problemi interni di sviluppo del nostro Paese, ma costituisce la presa d’atto di un dato ineludibile, rappresentato da una comune situazione di difficoltà a livello dei maggiori Paesi europei, come la Germania, ed è riconosciuto il peso dell’economia tedesca, che è tale da condizionare pesantemente il resto dellUnione.

Certamente, dieci anni di politica economica restrittiva per dare vita all’euro hanno avuto una incidenza non secondaria sul ciclo attuale. Da diversi anni la politica economica europea non rivolge adeguata attenzione allo sviluppo dell’economia e il Patto di stabilità e di crescita sembra aver vincolato severamente la politica di bilancio.

Un progetto di sviluppo per l’Europa richiede ora un’adeguata governance europea. È stato posto con forza l’obiettivo di una nuova fase nella politica economica europea, “forzando” la crescita e ristabilendo un clima di fiducia presso le imprese e gli investitori, attraverso la cosiddetta azione europea per la crescita, definendo una nuova scala di priorità degli investimenti pubblici nei settori delle infrastrutture materiali e in prospettiva anche immateriali.

Presidenza del vice presidente CALDEROLI

(Segue EUFEMI). Si è infatti creato un circolo vizioso tra bassa crescita, deterioramento dei bilanci pubblici, rafforzamento dei vincoli sugli investimenti pubblici, gap competitivo e bassa crescita potenziale, che va rimosso.

Al rallentamento degli investimenti pubblici in infrastrutture di base si attribuisce un ruolo non marginale nel rallentamento della dinamica della produttività del capitale privato e del lavoro. Certo, la riduzione del carico impositivo, favorito dalla graduale attuazione della riforma fiscale, come noi avremmo desiderato, costituisce un passo fondamentale per restituire capacità di spesa alle famiglie.

Ma è indispensabile creare un clima di fiducia per convincere le famiglie italiane a essere meno prudenti negli acquisti ed è importante anche rimuovere l’incertezza sul reddito disponibile nell’immediato e nel futuro. Inoltre, una componente di incertezza in grado di incidere sulla spesa delle famiglie deriva senz’altro dalla mancata definizione delle politiche che si intendono perseguire nel settore della spesa sociale ed in particolare della spesa previdenziale.

Positiva allora appare la riproposizione a tutto il 2004 della detassazione IRPEF del 36 per cento per le ristrutturazioni edilizie, cui però va legata la proroga al 2004 dell’IVA agevolata sui materiali, per non renderla inefficace e favorire comportamenti omissivi ed evasivi.

Giudichiamo positivamente sia la scelta di dare risposte efficaci alle politiche per la natalità, sia l’integrazione del Fondo per le politiche sociali. Si tratta di una inversione di tendenza che offre risposte corrette per le politiche familiari; con tali risorse potrà essere trovata soluzione, con un atto di giustizia sociale verso i cosiddetti incapienti e per altre situazioni di disagio come gli anziani e i portatori di handicap.

Il bonus per i figli rappresenta dunque un’inversione di tendenza che va certo combinata nelle politiche familiari con altri interventi in favore dei giovani, come i mutui per le giovani coppie. Il problema non è il Fondo è la validità e la coerenza rispetto ai programmi.

Le misure per la ricerca rappresentano un’assunzione di responsabilità rispetto alla necessità di favorire un più alto tasso di ricerca nel Paese. È la grande sfida che abbiamo di fronte dopo quella della internazionalizzazione delle imprese. La competitività si affronta e si vince favorendo la ricerca attraverso l’innovazione, non solo di processo, ma soprattutto di prodotto, con una forte azione a rete nei distretti e nei parchi tecnologici, con un forte legame tra sistema universitario e istituti di ricerca.

Il ritardo tecnologico rischia di tradursi in minore specializzazione e ridotta competitività. Gli sgravi di imposta rappresentano uno strumento comunemente usato per indurre le aziende ad aumentare gli investimenti in questo ambito. Gli strumenti d’intervento italiani trascurano invece la leva fiscale, onorevole Presidente e onorevole sottosegretario Vegas, soprattutto con riferimento agli investimenti delle grandi imprese, finendo talvolta per dar luogo ad effetti distorsivi.

Positiva è la norma fiscale per i ricercatori, ma questa va coniugata con lo status dei ricercatori attraverso misure che ne favoriscano la mobilità. Il quadro generale derivante dalla scarsità di risorse finisce per incidere pesantemente sia sulla qualità ed il numero dei programmi di ricerca sia sul livello del personale.

La tecno-Tremonti muove nella giusta direzione con la detassazione degli investimenti in ricerca e tecnologie digitali, la partecipazione a fiere all’estero, il premio per la quotazione in Borsa e la realizzazione di stage aziendali. Un’integrazione, sottosegretario Vegas, potrebbe essere quella di incentivare l’accesso di capitali privati al finanziamento di imprese, defiscalizzando tali capitali come avevamo previsto nella riforma fiscale.

Quanto all’Istituto italiano di tecnologia, è indispensabile garantire un raccordo con il sistema delle imprese e degli enti di ricerca, per determinare una più forte diffusione delle conoscenze, attraverso strumenti come gli accordi di programma. Vorrei ricordare, a tale proposito, come vi sia necessità di un forte finanziamento, ad esempio per il Politecnico di Torino, che sta raddoppiando la propria sede e si trova in carenza di risorse.

E veniamo ad un punto particolarmente delicato, un nodo irrisolto in Commissione: la trasformazione della Cassa depositi e prestiti, facendola uscire dal perimetro della Pubblica amministrazione, e l’esclusione del debito dalla Cassa con i risparmiatori privati per 175 miliardi di euro, mentre 92 miliardi rappresentano il credito della stessa verso gli enti locali e gli altri enti pubblici.

La questione non è secondaria, signor Presidente, e va attentamente valutata anche per la posizione assunta da due forze politiche della coalizione. Non vanno sottovalutate le potenzialità che derivano dal cambiamento della missione, conseguenza della trasformazione da ente pubblico a banca di sviluppo.

Del resto, se guardiamo al passato anche il Mediocredito centrale, su impulso di Carli, seppe adeguarsi alle sfide del cambiamento con il sostegno forte alle piccole e medie imprese, alla loro competitività e internazionalizzazione, attraverso strumenti straordinariamente efficaci come la legge Sabbatini e la legge Ossola.

Questa può costituire la risposta italiana ad una presenza nelle operazioni di finanza di progetto, per la scarsa propensione ad operare in mercati rischiosi e soprattutto in investimenti di lungo periodo. I ritardi che pesano sul complesso modello di sviluppo derivano dalla eccessiva difesa, soprattutto da parte della sinistra, di settori ad alta intensità di lavoro come l’auto, la siderurgia e la chimica.

Vorrei ricordare, onorevole Sottosegretario, se mi degna di attenzione, visto che è stato costantemente distolto prima dai colleghi e ora dal telefono ? (Il sottosegretario Vegas continua a conversare al telefono). Signor Presidente, chiederei anche la presenza del relatore.

PRESIDENTE. Ha perfettamente ragione, senatore Eufemi.

EUFEMI (UDC). Vorrei ricordare come Menichella seppe assumere una posizione di contrasto con De Gasperi allorquando si paventò l’ipotesi di creare un circuito di natura pubblicistica distinto dall’Amministrazione dello Stato, evitando così che la Banca d’Italia si trasformasse in banca di sviluppo.

Signor Presidente, io credo che vadano riaffermate alcune regole di principio alle quali non si possa derogare. Abbiamo tenuto sedute notturne in Commissione, ora lavoriamo in Aula in costanza di altri impegni e chiederei questa cortesia: che le regole siano rispettate.

La questione è se vi è ingerenza del Governo nel credito, se vi è collegialità nelle scelte, se si crea un circuito idoneo e diretto per la copertura del fabbisogno nel settore della Pubblica amministrazione.

Abbiamo manifestato preoccupazione, confortati dal parere espresso dalla Commissione finanze, rispetto alla creazione di due aree: una per gli enti pubblici territoriali e una per le attività di intermediazione, volta al finanziamento di opere e infrastrutture pubbliche senza garanzie dello Stato e senza raccolta a vista.

Abbiamo sottolineato l?esigenza di fare una riforma senza confusione, ma nella chiarezza e nella distinzione dei ruoli e delle responsabilità. Abbiamo evidenziato con forza come sarebbe preferibile creare due società per azioni, o quanto meno due patrimoni separati, in analogia a quanto fatto con la Patrimonio dello Stato S.p.A e la Infrastrutture S.p.A.

Viene di fatto configurata per il nuovo intermediario l’attività di una vera e propria banca assimilabile agli ex istituti di credito speciale, con un trattamento preferenziale sia rispetto al codice civile, sia sotto il profilo dei controlli di vigilanza sia sotto il profilo fiscale, con una posizione di vantaggio concorrenziale rispetto al sistema bancario. Di ciò occorre tener conto.

Va giudicata positivamente la riforma dei confidi, adeguata alla nuova realtà europea, con la pronta entrata a regime di un testo condiviso, recependo alcune correzioni, in particolare una correzione che noi ritenevamo indispensabile per il settore della cooperazione.

All’adeguamento in chiave europea del nostro sistema creditizio e finanziario, che orienterà e selezionerà il credito alle piccole e medie imprese in misura ancora più selettiva, i soggetti collettivi dovranno offrire una soluzione all’altezza dei problemi da affrontare. Perché senza una politica di intervento adeguata, con le nuove norme sul “capitale di sorveglianza” del sistema bancario, si rischia di creare nuovi problemi, anziché nuove opportunità. La concorrenza dovrebbe migliorare il legame tra banche e imprese.

La incentivazione di consorzi fidi, ritenuti fattore di riduzione dei costi associati alla valutazione della rischiosità del credito, si è dimostrata efficace per attirare forme alternative di accesso ai mercati dei capitali delle imprese minori.

Ci siamo poi fatti carico dei problemi dell’artigianato, con una norma di principio, di economia umanistica come quella delle sostituzioni temporanee, anche in contrasto con la posizione del Governo. È fondamentale che vi sia ora un segnale per la riduzione dell’IRAP finalizzata alla riduzione del costo del lavoro e un più forte rifinanziamento dell’Artigiancassa a fronte del fabbisogno pregresso.

Restano poi indefinite le scelte per l’automatico. Occorre intervenire per evitare la crisi del settore attraverso una rimodulazione degli interventi, così come per i lavoratori dell’amianto, rispetto ai quali non possiamo restare insensibili.

Il giudizio che noi diamo è quello della manovra “possibile” rispetto al livello di crescita europea. Siamo consapevoli che il Paese oggi non è in grado di affrontare una manovra di 3 punti sul PIL per raggiungere l?obiettivo europeo dell’avanzo primario. Non bisogna tuttavia nascondere i problemi.

Dobbiamo avere il coraggio di interrogarci sulla giustezza delle scelte perché ne derivano il rinnovo e il futuro del Paese. A rimetterci non sarebbe solo questa maggioranza ma l’intero Paese. Dobbiamo domandarci se sono stati fatti errori di valutazione; se vi è un rischio di peggioramento del quadro di finanza pubblica. La nostra preoccupazione è per l’allargamento del divario tra fabbisogno e indebitamento. Si può andare avanti, ma non si può tacere.

La manovra, inoltre, è accompagnata dal terzo pilastro rappresentato da scelte strutturali inevitabili per quanto attiene alla previdenza e all’equilibrio previdenziale di lungo periodo.

Questa decisione di bilancio è migliorabile e perfezionabile nell’iter parlamentare se prevale un atteggiamento rispettoso del Parlamento; se prevale il principio di collegialità più volte richiamato; se non prevalgono logiche che tendono a “centralizzare” le scelte, in contraddizione con l’obiettivo di scelte condivise che dovrebbe sottendere alla logica della coalizione perché, in tal caso, ne conseguirebbe la “centralizzazione” delle responsabilità.

Da parte nostra, non rinunciamo ad un apporto costruttivo e propositivo che sottende allo spirito di coalizione tenendo conto della forza e della bontà delle idee e non di sterili e dannose contrapposizioni. (Applausi dal Gruppo UDC e del senatore Ulivi. Congratulazioni).

PRESIDENTE. Senatore Eufemi, sarebbe perfetto avere il relatore titolare, tuttavia, c?è il senatore Ferrara che sostituisce il senatore Tarolli e quindi ritengo che i nostri lavori possano proseguire.

EUFEMI (UDC). Signor Presidente, non è la stessa cosa.

PRESIDENTE. Senatore Eufermi, anch’io sono il sostituto del Presidente, eppure dobbiamo andare avanti lo stesso.

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