Discussione in aula sull’Ordine Mauriziano
Seguito della discussione del disegno di legge: (3227) Conversione in legge del decreto-legge 19 novembre 2004, n. 277, recante interventi straordinari per il riordino e il risanamento economico dell’Ente Ordine Mauriziano di Torino (Relazione orale)
EUFEMI (UDC). Signor Presidente, non insisto per la votazione della questione pregiudiziale, preferendo entrare nel merito con un atteggiamento propositivo e costruttivo. (Applausi dal Gruppo UDC).
EUFEMI (UDC). Signor Presidente, onorevole Sottosegretario, onorevoli senatori, riconfermo le mie forti preoccupazioni sul provvedimento in esame. Si sta procedendo, infatti, senza la necessaria ponderazione. Non solo non si è tenuto conto del dibattito svolto all’Assemblea costituente, ma non sono stati neanche verificati i precedenti giurisprudenziali. L’origine di tale norma risale, infatti, ad una iniziativa dell’onorevole Einaudi, che si fece paladino delle esigenze di conservazione dell’Ente, richiamando la necessità di non sottrarre i beni dell’Ordine alle destinazioni per essi previste, le quali sono, per tali beni, non di rado in relazione specifica ai fini di beneficenza, istruzione e culto. L’onorevole Ruini, presidente della cosiddetta Commissione dei 75, ha affermato: “Vi è poi l’Ordine Mauriziano che è stato mantenuto come ente ospedaliero e sarà inserito nell’ordinamento del nuovo Stato; bisogna regolarlo, ma evitare che sia sommerso nel baratro burocratico”. Si tratta di parole lungimiranti rispetto ad un triste destino. È chiaro che la citata legge ordinaria ha inteso la XIV disposizione finale della Costituzione nel senso che questa avesse stabilito la conservazione di tutti i fini statutari dell’Ente. Né la riforma ospedaliera (legge n. 132 del 1968), né la riforma sanitaria (legge n. 833 del 1978) si applicarono in toto agli ospedali mauriziani, ma solo in quanto compatibili.
È un quadro normativo che non contrasta con le recenti modifiche costituzionali federaliste, che operano trasferimenti di competenze legislative e amministrative, ma non modificano i diritti né la natura giuridica dei soggetti, ivi compreso l’Ordine Mauriziano. Veniamo alle sentenze del Consiglio di Stato: ricordo le sentenze n. 1236 del 1975 e n. 876 del 1977. Entrambe ribadivano il carattere unitario dell’Ordine nello svolgimento di compiti complessi e integrati. Chiedo alla Presidenza di poter allegare al Resoconto della seduta odierna un testo che tratta più approfonditamente tali riferimenti. Con gli articoli 1 e 2 si determina un indebito arricchimento degli enti locali, dopo aver trattenuto somme in realtà dovute all’Ordine; si acquisiscono a titolo gratuito tutti i beni, lasciando al patrimonio storico dell’Ordine il ripiano del pregresso, che avrebbe dovuto essere saldato da altri. La gestione commissariale dovrebbe essere affidata, semmai, non ad un burocrate, ma a una figura professionale di altissime capacità e competenza, capace di affrontare i problemi complessi senza condizionamenti, con una presenza non saltuaria, ma continua e costante. Nulla viene detto rispetto ai soggetti che interverranno nella costituenda fondazione.
Quali sono i conferimenti? Quali le quote di partecipazione? Quali gli apporti dei singoli soggetti pubblici e privati? Tutto ciò rimane molto vago. Prevale l’assenza di qualsiasi indicazione. L’Ordine Mauriziano partecipa con i conferimenti della massa attiva. E per gli altri soggetti quali sono i rapporti e quali i conferimenti? Va inoltre segnalato come nello statuto dell’Ordine Mauriziano fosse prevista la presenza di un rappresentante della Diocesi di Torino, mentre un’analoga disposizione non è contenuta nel decreto-legge. Che ne sarà, ad esempio, dei sacerdoti che operano all’interno del Mauriziano e ottemperavano al purtroppo dimenticato fine di culto sancito dallo statuto dell’Ente e garantito costituzionalmente?
Come non esprimere preoccupazioni rispetto all’Abbazia di Staffarda, che è un luogo di culto, è una res sacra, una parrocchia consacrata fin dal 1804, e dunque va mantenuto l’uso sacro, senza incompatibilità per la destinazione culturale del bene, che va dunque disciplinato con un preciso richiamo all’articolo 831 del codice civile e, ancor meglio, alle intese Stato italiano-Santa Sede? Va poi detto che occorre intervenire con una più forte tutela agricola, ambientale e culturale sulle cascine limitrofe alla residenza di Stupinigi e ai beni indicati nel decreto, evitando speculazioni di qualsiasi genere che portino ad una devastazione dell’ambiente. Ma dobbiamo porci alcuni interrogativi. Perché la Regione Piemonte a partire dal 1999, in violazione del Piano sanitario nazionale del 1997-1999, non ha rinnovato la convenzione con l’Ente e ha iniziato a rimborsare le attività dell’Ordine con le tariffe proprie delle case di cura private, ha escluso l’Ordine dai ripiani previsti dalle leggi nazionali per gli ospedali pubblici, pur continuando l’Ente ad erogare prestazioni secondo regole, parametri e servizi standard molto più onerosi richiesti per le strutture pubbliche? Perché il prefetto D’Ascenzo tenne all’inizio una linea diversa, come è dimostrato, lamentando i mancati e inadeguati rimborsi per le prestazioni sanitarie? Perché è stata cambiata questa linea, che ha comportato un aggravamento della situazione di sbilancio in conseguenza della errata collocazione giuridica dell’Ente e del mancato riconoscimento della corretta remunerazione delle prestazioni effettuate e la non corretta corrispondenza tra budget e prestazioni erogate, concausa del dissesto finanziario dell’Ente? Che faceva l’autorità centrale vigilante, in questo caso il Ministero dell’interno gestione Napolitano? E i crediti vantati verso la Regione ammontanti a 58 milioni di euro? E che dire dei provvedimenti amministrativi adottati dal commissario straordinaria in data 15 novembre, prima della pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta in data 22 novembre 2004? Emerge, infine, che il valore del finanziamento regionale, se all’Ordine fosse stato applicato lo stesso trattamento delle ASO, si cifrerebbe a 368 milioni di euro, pari al debito cumulato.
Quali sono le garanzie per i dipendenti se si rinvia a quello che rimane dell’Ordine, la chiusura delle competenze arretrate? Come mai non si fa cenno ai crediti di 58 milioni di euro? Le situazioni di difficoltà risalgono al 1997? Ne fanno tesoro i verbali dei revisori. Che faceva il Ministero dell’interno in quel periodo? Quali azioni ha intrapreso?
Noi dell’UDC, attraverso speciali proposte emendative, abbiamo indicato un’altra via. Anziché quella dello smembramento dell’Ordine, degli affitti degli immobili, delle partite di giro, delle “scatole istituzionali”, il risanamento economico dell’Ordine Mauriziano e la difesa di questo straordinario patrimonio storico affinché potesse passare attraverso una gestione speciale. Privare l’Ordine Mauriziano di una parte cospicua delle sue attività significa snaturamento e svuotamento dei fini peculiari riconosciuti all’Ordine. Un’ultima considerazione.
La funzione del Parlamento non può essere solamente quella della ratifica di decisioni assunte in altra sede. L’articolo 7, comma 1, dello Statuto della Regione Piemonte, così recita: “La Regione valorizza le sue radici storiche, culturali, artistiche e linguistiche e in particolare salvaguarda l’identità della comunità secondo la storia, le tradizioni, la cultura”. Forse l’Ordine Mauriziano non fa più parte di questa storia, ne è estraneo, è irrilevante per l’arte, è lontano dall’identità regionale e nazionale? A cosa servono questi proclami senza una coerente applicazione? (Applausi del senatore Gaburro). PRESIDENTE. Senatore Eufemi, la Presidenza l’autorizza ad allegare il testo del suo intervento.
EUFEMI (UDC). Signor Presidente, il mio emendamento 1.1 (testo 3), si rende necessario in considerazione del fatto che né la legge ordinaria, né tanto meno quella regionale, pur nel concorrente potere Stato-Regione possono procedere a modificare una norma di rango costituzionale, quale è quella della disposizione XIV. Voglio anche ricordare, rispetto all’accertamento delle responsabilità, la gestione dell’onorevole Paola Cavigliasso, che ha rappresentato non un incidente della storia, ma una oculata e attenta gestione dei beni. PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati. Invito il relatore ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.
Integrazione all’intervento del senatore Eufemi nella discussione generale sul disegno di legge n. 3227
Onorevole Presidente, onorevole Sottosegretario, onorevoli senatori, riconfermo le mie forti preoccupazioni su questo provvedimento. Si sta procedendo senza la necessaria ponderazione. Non solo non si è tenuto conto del dibattito all’Assemblea Costituente, ma non si sono neppure verificati i precedenti giurisprudenziali. L’origine di tale norma risale ad un’iniziativa dell’onorevole Einaudi, che si fece paladino dell’esigenza di conservazione dell’Ente, richiamando la necessità di non sottrarre i beni dell’ordine alle destinazioni per essi previste, destinazioni che, per tali beni, sono, non di rado, in relazione specifica ai fini di beneficenza, istruzione e culto. L’onorevole Ruini – il presidente della Commissione dei 75, non uno dei quattro di Lorenzago – affermava: “V’è poi l’ordine Mauriziano che è stato mantenuto come ente ospedaliero; sarà inserito nell’ordinamento del nuovo Stato; bisogna regolarlo, ma evitare che sia sommerso nel baratro burocratico”. Parole lungimiranti rispetto ad un triste destino. È chiaro che la citata legge ordinaria ha inteso la XIV disposizione finale della Costituzione nel senso che questa avesse stabilito la conservazione di tutti i fini statutari dell’Ente. Né la riforma ospedaliera (legge n. 132 del 1968), né la riforma sanitaria (legge n. 833 del 1978) si applicarono in toto agli ospedali Mauriziani, ma solo in quanto compatibili. Un quadro normativo che non contrasta con le recenti modifiche costituzionali “federaliste”, che operano trasferimenti di competenze legislative e amministrative, ma non modificano i diritti, né la natura giuridica dei soggetti, ivi compreso l’Ordine Mauriziano. Infatti, nel fissare la composizione del consiglio di amministrazione. si discosta dai criteri generalmente valevoli per gli enti operanti nel campo dell’assistenza ospedaliera e si informa al principio per il quale la composizione di detto consiglio, almeno per una notevole parte dei suoi membri, deve rispecchiare la pluralità dei fini dell’Ente, tanto che sono chiamati a farne parte: l’ordinario diocesano, un rappresentante dell’Interno, della Pubblica istruzione e della Sanità, in relazione, rispettivamente, ai fini di culto, di beneficenza, di istruzione e di assistenza ospedaliera (articolo 6). E veniamo alle sentenze del Consiglio di Stato: ricordo la n. 1236 del 13 giugno 1975 e la n. 876 del 18 ottobre 1977. Entrambe ribadivano il carattere unitario dell’Ordine nello svolgimento di compiti complessi e integrati. Desidero altresì ricordare un illuminante parere espresso dal professor Giovanni Conso, che ribadiva il vincolo costituzionale rispetto ad ogni ipotesi modificativa che alterasse lo stesso dettato costituzionale. La tutela che la XIV disposizione assicura all’Ordine Mauriziano deve intendersi, alla luce degli atti richiamati, volta ad impedire una riduzione dei suoi compiti e delle sue finalità: la formula della Carta costituzionale preclude al legislatore ordinario la possibilità di sottrarre i suoi beni dalle finalità cui li destina lo statuto stesso. Esprimo, pertanto, forte contrarietà alle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2, nonché al prefigurato spostamento del potere, nella materia in esame, dal Ministero dell’interno al Ministero per i beni culturali. Con gli articoli 1 e 2 si determina un indebito arricchimento degli enti locali dopo aver trattenuto somme in realtà dovute all’Ordine; si acquisiscono a titolo gratuito tutti i beni, lasciando al patrimonio storico dell’Ordine il ripiano del pregresso, che avrebbe dovuto essere saldato da altri. La gestione commissariale dovrebbe essere affidata, semmai, non ad un burocrate, ma ad una figura professionale di altissime capacità e competenze, capace di affrontare i problemi complessi senza condizionamenti, con una presenza non saltuaria, ma continua e costante. Nulla viene detto rispetto ai soggetti che interverranno nella costituenda fondazione. Quali sono i conferimenti, quali le quote di partecipazione, quali gli apporti dei singoli soggetti pubblici e privati? Rimane, tutto ciò, molto vago. Prevale l’assenza di qualsiasi indicazione. L’Ordine Mauriziano partecipa con i conferimenti della massa attiva. E per gli altri soggetti quali sono gli apporti, i conferimenti? Va, inoltre, segnalato come nello statuto dell’Ordine Mauriziano fosse prevista la presenza di un rappresentante della Diocesi di Torino, mentre un’analoga disposizione non è contenuta nel decreto-legge all’esame. Che ne sarà dei sacerdoti che operano all’interno del Mauriziano e che ottemperavano al purtroppo dimenticato fine di culto sancito dallo statuto dell’Ente e garantito costituzionalmente? Come non esprimere preoccupazioni rispetto all’Abbazia di Staffarda, che è un luogo di culto, è una “res sacra”, è una parrocchia consacrata fin dal 1804 e dunque ne va mantenuto l’uso sacro senza incompatibilità per la destinazione culturale del bene, che va dunque disciplinato – mi sono fatto carico di un emendamento in tal senso – con un preciso richiamo all’articolo 831 del codice civile e, ancor meglio, alle intese Stato Italiano-Santa Sede? Un bene mobile o immobile è sacro indipendentemente dal fatto di chi ne detiene la proprietà. E’ sacro in forza della destinazione e della dedizione. V’è necessità di una preventiva autorizzazione dell’ordinario diocesano sull’uso dopo aver sentito il parroco, cui spetta la vigilanza sulla res sacra; l’imposizione di una sorta di affitto del bene sacro crea una parvenza di uso commerciale del bene in questione, con la considerazione meramente o prevalentemente museale della chiesa parrocchiale, laddove questo primo aspetto risulta a scapito del secondo. Non si ritiene, pertanto, consona la prassi instaurata in questi anni. In particolare, emerge la disciplina dei beni culturali di interesse religioso tenendo conto dell’articolo 5 della legge 25 marzo 1985 n. 121, del Protocollo addizionale ai Patti lateranensi e dell’articolo 12, che disciplina un regime di collaborazione per la tutela del patrimonio storico-artistico tenendo conto del principio di bilateralità e dunque della “previa intesa” riguardante i beni destinati all’esercizio del culto. Va poi detto che occorre intervenire con più forte tutela agricola, ambientale e culturale sulle cascine limitrofe alla residenza di Stupinigi e ai beni indicati nel decreto, evitando speculazioni di qualsiasi genere che portino ad una devastazione degli ambienti. Occorre accertare le responsabilità di chi ha provocato, in breve tempo, all’Ordine Mauriziano di Torino un così ingente debito, operando una vera e propria distruzione di risorse che derivavano da un patrimonio secolare, tanto più grave in quanto il suo bilancio fino a pochi anni fa era in attivo.
Ho il dovere di ricordare la gestione dell’onorevole Paola Cavigliasso, non un incidente della storia, ma oculata, attenta gestione di beni. Perché la Regione Piemonte a partire dal 1999, in violazione del Piano sanitario nazionale 1997-1999, non ha rinnovato la convenzione con l’Ente e ha iniziato a rimborsare le attività dell’Ordine con le tariffe proprie delle case di cura privata, ha escluso l’Ordine dai ripiani previsti dalle leggi nazionali per gli ospedali pubblici pur continuando l’Ente ad erogare prestazioni secondo regole, parametri e servizi standard molto più onerosi richiesti per le strutture pubbliche? Perché il prefetto D’Ascenzo tenne, all’inizio, una linea diversa, come è dimostrato, lamentando i mancati e inadeguati rimborsi per le prestazioni sanitarie? Perché è stata cambiata questa linea, che ha comportato un aggravamento della situazione di sbilancio in conseguenza dell’errata collocazione giuridica dell’Ente e del mancato riconoscimento della corretta remunerazione delle prestazioni effettuate e la non corretta corrispondenza tra budget e prestazioni erogate, concausa del dissesto finanziario dell’Ente? Che faceva l’autorità centrale vigilante, in questo caso il Ministero dell’interno, gestione Napolitano? E i crediti vantati verso la Regione ammontanti a 58 milioni di euro? E che dire dei provvedimenti amministrativi adottati dal commissario straordinario in data 15 novembre, prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta in data 22 novembre 2004? Emerge, infine, che il valore del finanziamento regionale, se all’Ordine fosse stato applicato lo stesso trattamento delle ASO, si cifrerebbe a 368 milioni di euro, pari al debito cumulato. Quali sono le garanzie per i dipendenti se si rinvia a quello che rimane dell’Ordine la chiusura delle competenze arretrate? Come mai non si fa cenno ai crediti di 58 milioni di euro? Cosa dice il commissario di ciò, considerato che l’erogazione di tale somma era la condizione posta nell’antecedente protocollo di intesa approvato dall’Interno per autorizzare la Commissaria a firmare la convenzione? Non è, forse, una grave illegittimità compiuta? Il Commissario straordinario riconosce che l’ordine ha inviato periodicamente i conti, garantendo i flussi informativi.
Le situazioni di difficoltà risalgono al 1997. Ne fanno tesoro i verbali dei revisori. Che faceva il Ministero dell’interno in quel periodo? Quali azioni ha intrapreso? Sottolineo che i vincoli previsti dal decreto sono insufficienti e inadeguati e quelli imposti dal Codice dei beni culturali non impediranno probabili inevitabili speculazioni. Lo stesso sottosegretario D’Alì ha rilevato che non possono essere posti vincoli all’autonomia deliberativa degli enti locali. Eppure, onorevole Sottosegretario, le sei aziende agricole inserite nel Concentrico dell’Abbazia di Staffarda sono la più reale ed efficace garanzia dalle speculazioni adombrate in questi giorni. Occorrerebbe creare le condizioni che determinino un autentico cordone di garanzia attorno al Concentrico, rendendole invendibili con una destinazione agroturistica. Onorevole Presidente, onorevole Sottosegretario, noi dell’UDC attraverso speciali proposte emendative abbiamo indicato un’altra via. Anziché attraverso lo smembramento dell’Ordine, gli affitti degli immobili, le partite di giro, le “scatole istituzionali”, il risanamento economico dell’Ordine Mauriziano e la difesa di questo straordinario patrimonio storico sarebbero potuti passare attraverso una gestione speciale di ventiquattro mesi che favorisse l’estensione della situazione debitoria difendendo la sua integrità e unitarietà. Nel 1974, di fronte ad una grave situazione debitoria-creditizia nel rapporto enti ospedalieri-enti mutualistici, lo Stato, con la legge n. 386, congelò la situazione superando le gestioni contabili con procedure amministrative e non fallimentari.
Privare l’Ordine Mauriziano di una parte cospicua delle sue attività significa snaturamento e svuotamento dei fini peculiari riconosciuti all’Ordine. La norma di cui alla XIV disposizione transitoria della Costituzione esclude qualsiasi possibilità per il legislatore ordinario di introdurre norme che intacchino l’essenza e il modo di essere dell’Ordine stesso, affidando solo un mandato a regolamentare le modalità di funzionamento dell’Ente conservato nella sua unitarietà. In forza di tale norma speciale non possono trovare applicazione le disposizioni che determinerebbero una riduzione dei suoi compiti ad una parte soltanto di quelli ad esso riconosciuti. Si prefigura, al contrario, un mutamento della natura giuridica dell’Ente e delle sue funzioni. Tale disposizione di rango superprimario demanda alla legge la sola disciplina delle modalità di funzionamento dell’Ente e non anche la determinazione della sua natura giuridica. Ribadisco, pertanto, la mia forte contrarietà al decreto-legge, soprattutto gli articoli 1 e 2, che presentano inequivoci profili di violazione della Carta costituzionale, con procedure dubbie.
L’Ente è destinato a sopravvivere solo formalmente, privato in realtà di funzioni e proprietà ed è per questo che auspico quelle modifiche ed integrazioni indispensabili a correggere un’impostazione che ritengo sbagliata, a meno che non sia stato già tutto deciso. Oggi si sta cercando di trovare una soluzione pasticciata a ciò che muove da una ubriacatura federalista di cui l’Ordine Mauriziano è una prima grave conseguenza, perché le modifiche costituzionali federaliste non modificano i diritti nella natura giuridica dei soggetti e perché su quell’onda si determina la distruzione di ciò che ha retto per cinquecento anni, perfino al passaggio dalla monarchia alla Repubblica. La funzione del Parlamento non può essere solo quella della ratifica di decisioni assunte in altra sede, dalle quali annuncio fino d’ora di dissociarmi richiamandomi ad un moderatismo che è anche capacità di valutare, approfondire e decidere assumendo, quando è necessario, il coraggio di esprimere un fermo dissenso. Un’ulteriore considerazione: tutto ciò che ho richiamato non è forse in contraddizione con l’articolo 7, comma 1, dello Statuto della Regione Piemonte, che così recita: ” La Regione valorizza le sue radici storiche, culturali, artistiche, linguistiche e in particolare salvaguarda l’identità della comunità secondo la storia, le tradizioni, la cultura”? Forse l’Ordine Mauriziano non fa più parte di questa storia, ne è estraneo, è irrilevante per l’arte, è lontano dall’identità regionale e nazionale? A cosa servono questi inutili proclami senza una coerente applicazione? Il problema che si presenta è quello di vedere se la XIV disposizione finale, col disporre la conservazione dell’Ordine “come Ente ospedaliero”, abbia voluto limitare i fini dell’Ente all’attività ospedaliera, intesa come attività che provvede al ricovero e cura degli infermi, escludendo, quindi, i fini di beneficenza, istruzione e culto, che, in obbedienza ai suoi statuti, l’Ordine stesso perseguiva (come tuttora persegue).
La questione va risolta nel senso che la formula riportata costituisce un modo sintetico per esprimere il precetto di conservare l’Ente con tutti i suoi fini statutari, fuorché con quello contrastante con la Costituzione, tranne, cioè, con quello consistente nel conferimento delle distinzioni cavalleresche dell’Ordine, dato che questo era un Ordine “dinastico” strettamente connesso al Capo della dinastia sabauda come tale e non già come Capo dello Stato. La norma di cui si parla si collega alla XIII disposizione e all’articolo 87, ultimo comma, della Costituzione. Le norme della legge 12 febbraio 1968, n. 132, relative al consiglio di amministrazione degli enti ospedalieri e alla vigilanza e tutela degli stessi non sono applicabili all’Ordine Mauriziano, che, pur essendo definito nella XIV disposizione finale della Costituzione ente ospitaliero, è un ente che non ha esclusivi scopi di assistenza ospedaliera, ma esercita anche fini di beneficenza, istruzione e culto, ai sensi della legge 26 ottobre 1962, n. 1596. In questo caso, il ricorrente era il Ministero dell’interno. Il carattere di ente locale assunto dagli enti ospedalieri a seguito dell’attuazione della vigente normativa è in assoluto contrasto con la legge 5 novembre 1962, n. 1596, mai abrogata, che ha conservato all’Ordine Mauriziano un carattere unitario e tale da consentire l’attuazione di compiti complessi e integrati senza che ciò significhi per detto Ordine, nell’esercizio del servizio ospedaliero, un comportamento contrastante con le normative e con le direttive nazionali in materia di sicurezza sociale e di tutela della salute dei cittadini; pertanto, è illegittimo il decreto con il quale il Presidente della Giunta regionale della Valle d’Aosta provvede, ai sensi degli articoli 3 e 5 della legge 12 febbraio 1968, n. 132, alla costituzione in ente ospedaliero dell’ospedale Mauriziano di Aosta mediante scorporo dall’Ordine Mauriziano di Torino, cui l’ospedale apparteneva, determinando altresì il patrimonio del neocostituito Ente.
Il collegio, in sostanza, ha ritenuto che dovesse valere il dettato costituzionale e il suo successivo recepimento nella legislazione nazionale attraverso la legge del 1962 per il fatto stesso che privare l’Ordine Mauriziano di una parte cospicua delle sue attività significa snaturamento e svuotamento dei fini peculiari riconosciuti all’Ordine e, sino a contrario avviso, attuati con efficacia e soddisfazione dei beneficiari. Inoltre, il collegio considerava che il carattere di ente locale assunto dagli enti ospedalieri a seguito dell’attuazione sulla normativa in atto è in assoluto contrasto con la legge del 1962, mai abrogata, che appunto volle conservare all’Ordine Mauriziano un carattere unitario e tale da consentire l’attuazione di compiti complessi e integrati senza che ciò significhi per l’Ordine Mauriziano, nell’esercizio del servizio ospedaliero, un comportamento contrastante con le normative e con le direttive nazionali in materia di sicurezza sociale e di tutela della salute dei cittadini. Secondo la sentenza del TAR Piemonte del 10 febbraio 1976, n. 54, Ospedali psichiatrici di Torino contro Regione Piemonte, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza nell’ambito della vasta gamma degli enti sub-regionali hanno natura e disciplina normativa del tutto distinta rispetto a quelle proprie degli enti ospedalieri.
La norma di cui alla XIV disposizione transitoria della Costituzione, secondo cui l’Ordine Mauriziano è conservato come ente ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla legge, si riferisce all’Ordine Mauriziano nel complesso dei suoi fini in materia di beneficenza, di istruzione e di culto (con la sola eccezione di quelli attinenti al conferimento di onorificenze cavalleresche) ed esclude qualsiasi possibilità per il legislatore ordinario di introdurre norme che intacchino l’essenza e il modo di essere dell’Ordine stesso, affidando solo un mandato a regolamentare le modalità di funzionamento dell’Ente conservato nella sua unitarietà. In forza di tale norma speciale, non possono trovare applicazione nei confronti dell’Ordine Mauriziano tutte quelle disposizioni della legge 12 febbraio 1968, n. 132, che verrebbero ad incidere sulla struttura unitaria dell’Ente e quindi provocare una riduzione dei suoi compiti ad una parte soltanto di quelli ad esso riconosciuti dal Costituente.
Le norme della legge 12 febbraio 1968, n. 132, relative al consiglio di amministrazione degli enti ospedalieri e alla vigilanza e tutela degli stessi non sono applicabili all’Ordine Mauriziano, che, pur essendo definito nella disposizione transitoria ente ospedaliero, è un ente che non ha esclusivi compiti di assistenza ospedaliera, ma esercita anche fini di beneficenza, istruzione e culto, ai sensi della legge 5 novembre 1962, n. 1596. Prevede, infatti (articolo 7), un sistema di controlli e di organi controllori diversi da quelli contemplati dalla normativa generale (articoli 35 e seguenti della legge 17 luglio 1890, n. 6972, e successive modificazioni, Capo III del Titolo V della legge 10 febbraio 1953, n. 62). Le considerazioni precedentemente esposte costituiscono le premesse logiche per escludere che le norme della sopravvenuta legge 12 febbraio 1968, n. 132, relativamente al consiglio di amministrazione degli enti ospedalieri (articoli 9 e seguenti) e alla vigilanza e tutela degli enti stessi (articolo 16), siano applicabili all’Ordine Mauriziano. Tale inapplicabilità deriva, anzitutto, dalla circostanza che la normativa dettata in materia di consiglio di amministrazione come in materia di vigilanza e tutela dalla citata legge n. 132 del 1968 non può ritenersi dotata di efficacia abrogativa rispetto alla precedente normativa, dettata, per disciplinare gli stessi argomenti, specificamente per l’Ordine Mauriziano e in considerazione della particolare natura e posizione di questo, dalla legge 5 novembre 1962, n. 1596. In obbedienza ad un precetto a livello costituzionale, la XIV disposizione finale della Costituzione ha voluto conservare come ente unitario l’Ordine Mauriziano, determinando, in particolare, l’effetto di lasciare in vita l’Ordine suddetto senza uno di quei fini: lo scopo del ricovero e cura degli infermi, che la citata norma costituzionale ha inteso come propri dell’Ordine stesso. La tesi indicata non può essere condivisa. La disposizione costituzionale intende mantenere per l’Ordine Mauriziano tutte le finalità ordinarie, escludendo solo quella consistente nel conferimento delle onorificenze cavalleresche. La terza via indicata dalla Regione Piemonte – consistente nel trattare come ente ospedaliero ex lege n. 132 del 1968 l’Ordine Mauriziano “nel suo complesso” – non risulta, quindi, consentito dalla citata legge del 1968. Vale la pena di soggiungere che l’assunto della Regione si pone in contrasto anche con la XIV disposizione finale della Costituzione, dato che esso comporta, in realtà, l’eliminazione dei fini statutari di beneficenza, di istruzione e di culto, che, come si è visto nella prima parte, la citata disposizione costituzionale ha inteso conservare.
Per le esposte ragioni, il decreto 23 settembre 1971, n. 5029, con cui il Presidente della Giunta della Regione Piemonte ha provveduto circa la composizione del consiglio di amministrazione dell’ente ospedaliero Ordine Mauriziano ai sensi del secondo comma dell’articolo 9 della legge 12 febbraio 1968, n. 132 ,e la nota in pari data, con cui lo stesso organo ha disposto che gli atti di detto Ente siano soggetti al controllo del Comitato regionale di cui all’articolo 55 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, sono da reputare illegittimi. Essi sono suscettibili di annullamento e, tra l’altro, dell’annullamento previsto dall’articolo 6 del Testo Unico 3 marzo 1934, n. 383, delle leggi comunali e provinciali. E’ appena il caso di aggiungere, a questo riguardo, che la prova dell’esistenza dell’interesse pubblico all’annullamento è, nella specie, in re ipsa. Va inoltre osservato che l’inapplicabilità all’Ordine Mauriziano degli articoli 9 e seguenti, 16 e seguenti e delle altre disposizioni della legge n. 132 del 1968, che presuppongono ex necesse l’assunzione della posizione giuridica di Ente ospedaliero ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 della legge stessa, non comporta che sia inapplicabile quella parte di questa che riguarda l’esercizio dell’attività assistenziale. Desidero ancora ricordare un autorevole parere espresso dal giovane professor Giovanni Conso in materia. La XIV disposizione finale della Costituzione esigerebbe per l’Ordine Mauriziano una regolamentazione particolare, non accontentandosi di una regolamentazione alla medesima stregua dei comuni enti ospedalieri. Questa tesi trova conforto non solo nella lettera e nei lavori preparatori del testo costituzionale, ma anche e soprattutto nel significato che proprio il Parlamento, quasi operando una sorta di interpretazione autentica, ha mostrato di attribuire alla XIV disposizione in sede di presentazione, discussione ed approvazione della legge n. 1596 del 1962. La XIV disposizione è stata additata dalla dottrina come tipico esempio di norma costituzionale.
Del resto, a riconoscerle simile rango, e proprio con riguardo al comma (il terzo) concernente l’Ordine Mauriziano, è stato lo stesso Parlamento, come risulta dall’intitolazione della legge n. 1596 del 1962 e dalla relazione al rispettivo disegno. Nella seconda parte di questo terzo comma (“e funziona nei modi stabiliti dalla legge”), il Costituente si è preoccupato di richiedere al legislatore ordinario l’emanazione di un’apposita legge per l’Ordine Mauriziano, così da farne un ente ospedaliero a se stante, con propria disciplina. Se il Costituente avesse voluto la piena equiparazione dell’Ordine Mauriziano agli enti ospedalieri in genere, gli sarebbe bastato qualificare l’Ordine Mauriziano come ente ospedaliero. Nessun altro limite, nessun altro condizionamento, all’infuori di questi ,sta alla base della previsione del terzo comma.
La relazione che accompagnava il disegno di legge, presentato dal presidente del Consiglio di concerto con i Ministri dell’interno, del tesoro e della pubblica istruzione, riportava: “Il presente disegno di legge è inteso ad attuare il nuovo ordinamento dell’Ordine Mauriziano in applicazione alla XIV disposizione finale della Costituzione (…). Con l’entrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica, l’Ordine ha cessato da ogni attività connessa alle funzioni cavalleresche e si è limitato (…) alla realizzazione degli altri fini istituzionali”. Anche se qualcuno non volesse condividere le osservazioni relative alla necessità costituzionale di una regolamentazione apposita per l’Ordine Mauriziano, resterebbero pur sempre le considerazioni di opportunità a consigliare di mantenere ferma la recente legge. L’abrogazione della legge in vigore potrebbe essere accettata qualora si intendesse sostituirla con altra preordinata a realizzare più pienamente lo stesso dettato costituzionale. Ma già l’omissione in cui è incorso l’articolo 1, comma 1, del disegno di legge sulla riforma dell’assistenza ospedaliera non si spiega di certo con un miglior adeguamento costituzionale. Anzi, si corre il pericolo di violare la Costituzione.
Sen. Eufemi
Legislatura 14º – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 715 del 16/12/2004
Seguito della discussione del disegno di legge: (3227) Conversione in legge del decreto-legge 19 novembre 2004, n. 277, recante interventi straordinari per il riordino e il risanamento economico dell’Ente Ordine Mauriziano di Torino (Relazione orale)
EUFEMI (UDC). Signor Presidente, la ringrazio per il tempo concessomi, anche se quella in esame è una materia molto delicata e quindi avrebbe pertanto bisogno di un minimo di ponderazione. Ritiro l’emendamento 2.1 (testo 3), avendo presentato l’emendamento 2.600 che in parte recupera il tema del Comitato già trattato nella precedente proposta modificativa. Con l’emendamento 2.1 (testo 3) si poneva una questione alternativa alla linea del Governo, con la previsione di una gestione separata, a mio avviso una linea più concreta al di fuori di meccanismi di ingegneria legislativa. L’emendamento si rendeva necessario in considerazione di inoppugnabili motivazioni; innanzitutto deve essere riconfermato ed evidenziato che la natura di pubblica amministrazione dell’Ordine Mauriziano ne impedisce il fallimento, ma obbliga ad erogare il servizio, tale è infatti il carattere di ogni ente pubblico per cui la sospensione o l’interruzione dell’attività configurerebbe un reato penale per omissione, mentre le situazioni gestionali critiche impongono soluzioni da ricercare all’interno di una normativa pubblicistica senza snaturare la pace giuridica dell’Ente. Signor Presidente, voglio poi aggiungere molto brevemente anche qualche altra considerazione. PRESIDENTE. La prego però di essere effettivamente breve, senatore Eufemi. (Commenti). EUFEMI (UDC). Signor Presidente, credo che ci sarebbe bisogno di maggiore tolleranza. Siccome questa tolleranza non c’è, devo evidentemente rinunciare ad illustrare gli emendamenti. (Brusìo in Aula). PRESIDENTE. Sia ben chiaro però che non è da parte della Presidenza. Non vengono infatti registrati nel Resoconto stenografico le interruzioni dei colleghi e sembra che l’intolleranza sia da parte della Presidenza. Io avevo consentito di aggiungere qualche altra cosa, ma brevemente, perché il tempo a sua disposizione è già scaduto. EUFEMI (UDC). L’altra questione, signor Presidente, è relativa alle cascine; infatti, aumentare la distanza intorno al complesso edilizio del Concentrico significherebbe preservare questi compendi di grande valore artistico La questione posta dalla Commissione bilancio non può essere svincolata dall’insieme del provvedimento, cioè da una massa attiva presente rispetto ad una massa passiva. Signor Presidente, ritiro anche tutti gli emendamenti soppressivi da me presentati.
PRESIDENTE. Chiedo al presentatore dell’ordine del giorno G2.100 se insiste per la votazione.
EUFEMI (UDC). Signor Presidente, non si comprendono le ragioni dell’espressione di un parere contrario da parte del Governo su questa misura, che è in linea con i provvedimenti relativi alle cartolarizzazioni: così come abbiamo usato questo strumento per gli immobili non si capisce perché non lo si possa usare per i terreni agricoli e per le aziende agricole siti in quel complesso. L’ordine del giorno avrebbe anche il significato di preservare l’ambiente socioeconomico soprattutto delle attività agricole, evitando un possibile contenzioso. Invito il Governo a riflettere su questo aspetto e comunque insisto per la votazione.
PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo a pronunziarsi sull’ordine del giorno in esame.
D’ALI’, sottosegretario di Stato per l’interno. Signor Presidente, ho motivato la mia contrarietà con il fatto che il riferimento all’articolo 3 del decreto-legge n. 351 del 2001 avrebbe prodotto una vendita dei terreni con uno sconto del 30 per cento. Se il senatore Eufemi rinuncia a questa previsione e si limita alla previsione dei benefìci erogati dall’ISMEA, da assumersi in via prioritaria da parte di quell’ente, il Governo può accogliere l’ordine del giorno, insistendo sulla non condivisione del riferimento al decreto-legge n. 351 del 2001, convertito, con modificazioni, nella legge n. 410 del 2001.
PRESIDENTE. Accetta questa modifica, senatore Eufemi?
EUFEMI (UDC). La accetto, signor Presidente.
PRESIDENTE. Essendo stato accolto dal Governo, l’ordine del giorno G2.100 (testo 2) non sarà posto in votazione. Passiamo all’esame degli emendamenti riferiti all’articolo 3 del decreto-legge, che invito i presentatori ad illustrare.
EUFEMI (UDC). Do per illustrato l’emendamento 3.3 e ritiro l’emendamento 3.4. PRESIDENTE. Invito il relatore ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame