intervento sui Di.co relativo al ddl 1329

intervento sui Di.co relativo al ddl 1329

Intervento Sen. Eufemi sul d.d.l. 1339

Di.co – diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi. (I lavori alla Assemblea Costituente, gli articoli della Costituzione 2 e 3 Dossetti, Maritain

Premessa

A pochi giorni dalla rinnovata fiducia espressa nell’ambiguità di avere espunto i Di.Co. dal dodecalogo perché fanno implicitamente parte del programma perchè già presentati, come sostengono i Ministri Bindi e Pollastrini o ne sono esclusi, abbiamo anche appurato un’altra evidente ambiguità, ossia la mancata firma del Presidente del consiglio, rispetto alle certezze del Ministro Pollastrini.

Il Presidente Prodi, come cattolico adulto ha voluto coniugare il buonismo con l’ideologia laicista inventando appunto i DICO che sono un disegno distruttivo del nostro modello costituzionale della famiglia naturale tra uomo e donna (art. 29), non quella innaturale tra persone dello stesso sesso, esaltazione libertaria dell’individualismo e della precarietà. 

Non vi possono essere diritti oltre quelli individuali, già garantiti, in assenza di responsabilità. 

I desideri non sono diritti. 

Solo l’idea di proporre alla cultura e al popolo italiano un progetto così pastrocchiato, contraddittorio e incostituzionale – come ha del resto puntualmente rimarcato il Presidente Relatore On.le Sen. Salvi, dal suo punto di vista naturalmente – un vero e proprio “ircocervo mentale” delle Ministre Bindi e Pollastrini – per usare una espressione di Benedetto Croce – è segno di una paurosa povertà culturale che privilegia la deriva relativistica nella quotidiana azione politica. 

Prodi si appresta a essere ricordato con questo provvedimento come un vero e proprio demolitore dei valori più autentici del nostro popolo. 

Da parte nostra saremo irriducibili nel respingere questo dannoso progetto assumendoci le responsabilità di cristiani maturi, per tutelare la famiglia nel pieno rispetto della Carta Costituzionale, affrontandone i problemi reali, a cominciare dal quoziente fiscale familiare.

Non si può immaginare di affrontare i problemi della famiglia, senza coniugarli con la vicenda fiscale.

Il quoziente fiscale familiare può essere un fattore di sviluppo, può contrastare la denatalità e costituire elemento di stabilità, soprattutto per la parte più debole i figli, oltre che determinare equilibrio previdenziale di lungo periodo. Nel dodecalogo viene riscoperto uno strumento ormai vecchio, osboleto come gli assegni familiari che sono una soluzione assistenzialistica per il presente e non per il futuro. 

Quello che deve essere chiaro è che non ci può essere scambio o mercanteggiamento ideologico tra principi irrinunciabili non negoziabili e politiche familiari fasulle. 

Sui lavori alla Costituente …

Ritengo che, il dibattito in questa sede non possa tralasciare in maniera rilevante le questioni di ordine costituzionale, ed in modo ancora più determinante le vicende della Costituente.

Si è arrivati a stravolgere il pensiero di Aldo Moro che era evidentemente contro i PACS attraverso incaute citazioni, manipolandone il significato più autentico in un’operazione di assemblaggio del tutto fuorviante.

Intervenendo ripetutamente durante i lavori dell’Assemblea Costituente sull’articolo 29 e dunque sulla famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio nel corso del dibattito Moro affermò “che lo Stato riconosce i diritti della famiglia come tale in quanto legalmente riconosciuta…” 

“…ritiene che la formula sarebbe completamente travisata, se venisse portata a significare che si vuole riconoscere un vincolo familiare costituito soltanto in base a uno stato di fatto….”

“…vi sono alcuni punti che meritano una più completa regolamentazione, come è il caso di alcune questioni contemplate negli articoli che seguono, e che riguardano le famiglie meno abbienti, l’unità familiare la stabilità della famiglia…”

e ancora intervenendo all’Adunanza plenaria della Commissione per la Costituzione il 15 gennaio 1947 affermava “la famiglia è una società naturale. Che significa questa espressione? Escluso che qui “naturale” abbia un significato zoologico o animalesco o accenni a un legame puramente di fatto, non si vuol dire con questa formula che la famiglia sia una società creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non è un fatto, la famiglia, ma è appunto un ordinamento giuridico e quindi qui “naturale” sta per razionale”.

Appare evidente la strumentalizzazione da parte di taluni che hanno un grave grave deficit formativo. 

Dunque noi dell’UDC intendiamo difendere con forza e convinzione la famiglia, quella voluta dei costituenti, fondata sul matrimonio, non quella innaturale.

Sull’articolo 2 della Costituzione … 27 marzo 1947

Viene utilizzato in maniera disinvolta l’articolo 2 della Costituzione per scardinare la famiglia.

La garanzia per l’uomo nella formazione degli aggregati sociali e di svilupparsi in essi viene stravolto.

Quelli di cui parliamo e presi dall’articolo 2, sono i diritti dell’uomo e della donna, associati secondo una libera vocazione sociale, ed è un’altra cosa.

Quando parliamo di autonomia della persona umana non pensiamo alla persona isolata nel suo egoismo e chiusa nel suo mondo.

Non intendiamo di attribuire ad esse una autonomia che rappresenti uno splendido isolamento.

L’effetto giuridico delle norme costituzionali è quello di vincolare il Legislatore, di imporgli, rispetto a maggioranze precarie di attenersi a questi criteri supremi che sono permamentemente validi, sottrarre le norme costituzionali all’effimero gioco di alcune semplici maggioranze parlamentari.

Le formazioni sociali non sono facilmente individuabili, tuttavia ne viene chiarito il significato umanistico.

Tre pilastri di democrazia in senso politico, sociale e umano.

Qui si sta demolendo un pilastro della nostra Costituzione.

Qui si confonde un Pacs con una formazione sociale.

Impostazione di Maritain “Buona vita umana della moltitudine di una moltitudine di persona”

Disertare da questo obbligo morale è per ogni individuo una vera colpa morale.

“E fondamentale il dovere degli individui, gruppi e forze sociali di essere parte attiva nella vita dello Stato e considerare questa vita come un interesse concreto e immediato tra i più importanti.”

Ordine del giorno Dossetti

Al punto (b) riconosca a un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e a perfezionarsi a vicenda, mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale: anzitutto in varie comunità intermedie secondo una naturale gradualità (comunità familiari, territoriali, professionali, religiose, ecc.) e quindi per tutto ciò in cui quelle comunità non bastino allo Stato.

La violazione della Costituzione sull’articolo 29

La questione è, innanzitutto, di impatto costituzionale, perché la concessione dei diritti che, secondo il programma dell’Unione dovrebbero essere attribuiti alle convivenze di fatto – etero ed omosessuali – determinerebbe la violazione dell’art. 29 della Costituzione, in quanto tali diritti sono propri ed esclusivi “della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. La Corte Costituzionale con la sentenza 310/1989 ha interpretato l’art. 29 nel senso che esso “riconosce alla famiglia legittima una dignità superiore, in ragione dei caratteri di stabilità e di certezza e della corrispettività dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio”, ribadendo tali concetti con la sentenza 352/2000 “la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale”, con la sentenza 121/2004 circa l’impossibilità di parificare, dai punto di vista giuridico, la famiglia costituzionalmente intesa e la convivenza. La Corte di Cassazione, ancora, con la sentenza 8976/2005 ha ribadito il concetto che “dalla libera determinazione dei conviventi di fatto di non contrarre il vincolo del matrimonio e quindi di non assumere gli obblighi che l’ordinamento impone vicendevolmente ai coniugi, (coabitazione, fedeltà, solidarietà, assistenza materiale e morale) consegue l’inesistenza di qualsiasi diritto, sia di natura personale che patrimoniale, di un convivente verso l’altro”, (inesistenza di diritti, aggiungiamo noi, nei confronti di terzi pubblici e privati), salva la costituzione di quelli nascenti dai rapporti convenzionali stabiliti dal Codice Civile.

In conseguenza, la tattica furbesca che viene posta in essere dai fautori di questi diritti: “si parla di diritti, non di equiparazione alle famiglie” non elude il nocciolo della questione. Se questi diritti sono propri dell’istituzione famiglia, essi non possono essere attribuiti alle situazioni di fatto se non modificando la Costituzione. Appare, pertanto, assolutamente infondata ed al limite dell’impudenza, la tesi secondo la quale questi diritti dovrebbero essere concessi ai sensi dell’art. 2 della Costituzione che li garantisce “nelle formazioni sociali”. E’ ovvio che “le formazioni sociali” sono entità ben diverse dalle “famiglie” e, ripetiamo, poiché la Costituzione all’art. 29 concede diritti specifici alla “famiglia naturale”, non si può automaticamente estenderli alle coppie di fatto utilizzando l’art. 2, ma solo modificando la Costituzione. Altrettanto ovviamente, è chiaro che una volta attribuiti i diritti della famiglia alle coppie di fatto, si sminuiscono l’importanza ed il valore dell’istituzione legittima che, invece, dovrebbe essere consolidata, rafforzata ed incentivata. Anche nella legge finanziaria è stato ribadito l’impegno a favore della famiglia.; come è possibile che, subito dopo, il Governo pensi ad una legge di segno opposto?

Va poi affermato con chiarezza che ci troviamo dinanzi alla. drammatizzazione ed alla spettacolarizzazione di situazioni che sembrano interessare l’intero Paese. Questo non è affatto vero perché si tratta pur sempre di una percentuale molto bassa di persone che rivendica una propria libertà di scelta, perfettamente consapevole delle naturali conseguenze e che, in buona parte, non ha alcun interesse (problemi dei figli, delle pensioni di reversibilità ecc.) a vedersi inserite in un’ipotetica anagrafe da istituire. Questo assunto è confermato dal dato inoppugnabile che l’iscrizione delle coppie di fatto nei registri istituiti da alcuni Comuni è stata numericamente insignificante.

Il clamore e la drammatizzazione, in verità, sono suscitati dalle coppie omosessuali, nei confronti delle quali c’è doveroso rispetto, ma non l’assenso a vedere elevata tale unione alla dignità della famiglia naturale. 

E’ lontana da noi l’idea di qualsiasi irrisione, condanna o discriminazione nei confronti di chiunque e, quindi, anche nei confronti dei portatori di questa diversità che rispettiamo con totale sincerità Tuttavia riteniamo che la pretesa di vedere il loro rapporto equiparato a quello della famiglia, sia eccessiva, contro la nostra cultura, la. nostra tradizione, le nostre leggi e non possa essere accolta in nome di una. presunta modernità e della supina accettazione della legislazione di altri Paesi. D’altronde, se la vera ragione della felicità delle coppie omosessuali consiste nella libertà, come ha affermato Paolo Poli nell’intervista sul Corriere della. Sera del 27 dicembre 2006, ogni eventuale normativa che limitasse la libertà sarebbe dannosa e controproducente.

Desideriamo ribadire e sottolineare che questo richiamo al valore della famiglia naturale, non vuole significare disistima o polemica nei confronti delle persone che hanno scelto di convivere senza il vincolo del matrimonio. E’ una scelta di libertà che rispettiamo, ma non la condividiamo, perchè temiamo che essa non possa essere adeguatamente efficace ad affrontare i problemi della nostra società e perché dubitiamo che la concessione di ipotetici diritti incostituzionali, possa migliorare tale efficacia.

Queste nostre preoccupazioni sono ispirate solo dalla visione laica e solidale che noi abbiamo della società italiana, non dalla nostra fede religiosa che pur affermiamo con totale convinzione. In verità, per i cristiani ed i cattolici, il problema non dovrebbe nemmeno porsi, anche se il relativismo diffuso ed ignorante ci fa temere che possano prevalere l’ignavia e l’indifferenza denunciate per ultimo, dal laico Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera dei 20 dicembre 2006.

Invece il problema riguarda tutti, cristiani e non, di sinistra e di destra, della maggioranza parlamentare e dell’opposizione, perché riguarda il presente ed il futuro della società italiana. Ci lamentiamo tutti della perdita dei valori, dell’incoerenza dei comportamenti rispetto alle fedi religiose professate, dell’eccesso di consumismo, dell’edonismo unica ragione di vita, dell’anarchia provocata dai “no limit» all’esasperato individualismo. E che si fa? Si cerca di eliminare il valore fondamentale della famiglia già intaccato dalla degenerazione nell’applicazione di leggi quali quelle sul divorzio e sull’aborto che, pur risolvendo casi umani assai dolorosi, hanno tragicamente instaurato una prassi continua ed incontrollabile, creando giovani vite abbandonate ed insicure subito preda delle peggiori tentazioni del nostro tempo e vittime innocenti in nome di una libertà sessuale senza amore e senza freni. Il Governo che esalta il ruolo della. famiglia naturale dovrebbe cercare di individuare le cause delle scelte soprattutto giovanili in questa direzione, che sono dimostrazione di rifiuto all’assunzione di responsabilità, di incertezza e di paura del futuro, adattando provvedimenti significativi e decisivi per eliminarle. La famiglia legittima è stata ed è il fondamento della società italiana e noi ci auguriamo che sia così anche per l’avvenire con il maggior impegno dei genitori e dei figli, dello Stato, della scuola, delle religioni, per arricchirla di contenuti morali, civili, di senso di responsabilità e ricevendo dalle Istituzioni la concreta soluzione dei problemi economici che l’affliggono.

Il combinato disposto dell’articolo 2 della Costituzione e la tutela della persona, anche nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità dell’articolo 3, nella parte in cui afferma la pari dignità sociale fra le persone e il divieto di discriminazioni sulla base delle condizioni personali e degli articoli 29 30 e 31 Cost. (che definiscono il regime di tutela riservato alla famiglia come società naturale fondata sul matrimonio) certamente implica la possibilità per ognuno di costituire relazioni affettive e sessuali, fondativi di formazioni sociali di convivenza alla cui categoria appartiene anche la famiglia, al contempo, tuttavia, il richiamato complesso di disposizioni costituzionali esclude che tali formazioni sociali di convivenza possano avere la denominazione di famiglia. 

Solo la famiglia, infatti, è quella formazione sociale garantita dalla costituzione nei suoi diritti, in quanto strutturata, come società naturale fondata sul matrimonio; al tempo stesso, in virtù di tale struttura alla famiglia e ai suoi componenti è richiesto l’adempimento di determinati obblighi. 

Sarebbe dunque contrario alla costituzione una legge ordinaria che parificasse i diritti delle altre forme di convivenza a quelli della famiglia e dei suoi componenti e che estendesse in via generalizzata ed orgnaica alle prime le agevolazioni intersoggettive e socieali di tipo privatistico e pubblicistico riconosciute alle seconde. La carta Europea dei diritti fondamentali richiama infine gli istituti del matrimonio e della Famiglia all’articolo 9 considerandoli quali nozioni giuriiche presupposte. 

Essa dunque rinvia per l’individuazione delle loro caratteristiche ai dati tradizionali stabiliti dalle Costituzioni dei singoli paesi. Quel trattato costituzionale è stato approvato dal nostro Parlamento. In ogni caso la Carta non ha uno specifico valore formale secondo quanto riconosciuto dalla corte di Giustizia delle Comunità Europee nella recente sentenza 27 giugno 2006 (C-540/03) 

La famiglia viene penalizzata rispetto alle forme di convivenza.

Nell’assegnazione dei posti all’asilo nido e nell’assegnazione degli alloggi, la famiglia matrimonializzata è svantaggiata da quelle conviventi perché il reddito non viene cumulato.

Nel garantire la casa in locazione, il diritto già esiste. 

Sulle imposte di successione e sugli alimenti, un’obbligo rientrerebbe nella solidarietà.

Ma l’avere rafforzato il fattore convivenza, istituzionalizzandola con la ridicola formula di dichiarazione unilaterale, fa sorgere un problema di costituzionalità, perché la dichiarazione ciascuno potrebbe farla da solo senza che l’altra persona ne sappia nulla, con il rischio di fantasiose stravaganti dichiarazioni di convivenza fatte solo per avere benefici. Non si può dare ai conviventi ciò che si dà alla famiglia.

La via migliore, è quella di modificare aspetti specifici del Codice Civile e le norme tributarie.

C’è poi il caso degli extracomunitari, dove basta una dichiarazione di convivenza per facilitare l’ingresso.

Non esiste alcun vuoto legislativo.

L’atto d’acquisto o l’atto di affitto possono essere fatti congiuntamente dai due membri della coppia; i contenuti e i modi della contribuzione alle spese della convivenza possono essere fissati contrattualmente; con il testamento è possibile regolare la successione mortis causa, in favore dell’altro convivente che può essere indicato come beneficiario in un contratto di assicurazione sulla vita.

Nel nostro ordinamento è già previsto che il convivente more uxorio possa continuare a vivere nella casa già condotta in affitto dal defunto, principio affermato con sentenza 404 del 1988 che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 6 della legge 392 del 1978.

L’art. 17 della legge 179 del 1992 prevede che nel caso di decesso del socio assegnatario, dopo l’assegnazione dell’alloggio, si può sostituire il convivente more uxorio. 

Anche le normative regionali dedicano attenzione al diritto di abitazione purchè la convivenza abbia assunto carattere di stabilità, con inizio due anni prima della pubblicazione del bando e sia dimostrata nelle forme di legge (Toscana, Liguria, Lombardia, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Molise e Piemonte).

Testamento

I conviventi possono redigere testamento, beneficiandosi l’un l’altro, l’unico limite è rappresentato dalla cosiddetta “quota legittima”. Se i conviventi non intendono contrarre matrimonio è possibile ottenere gli stessi effetti economici della pensione di reversibilità stipulando una polizza di assicurazione sulla vita in cui il convivente venga indicato come beneficiario. La Corte Costituzionale nella sentenza 461 dell’8 novembre 2000 ha escluso la estensione al convivente del trattamento pensionistico riconosciuto al coniuge anche sotto il profilo dell’uguaglianza, perché “la convivenza more uxorio si caratterizza per l’inesistenza di quei diritti e doveri reciproci sia personali che patrimoniali che nascono dal matrimonio”. 

Anzi, andrebbe preso in esame piuttosto il problema dei matrimoni tra anziani e giovani badanti che scaricano sullo Stato il peso della pensione di reversibilità. La reversibilità andrebbe calcolata pro rata sulla durata del matrimonio, escludendo i matrimoni intervenuti dopo che è maturato il diritto alla pensione. 

Le persone che non vogliono sposarsi, non possono lamentarsi di una loro libera scelta.

Né lo Stato potrebbe imporne autoritativamente il riconoscimento.

Sembra contradditorio invocare l’autonomia dello Stato in nome delle libertà e al tempo stesso chiedere protezione e riconoscimento senza assunzione di doveri e responsabilità nei confronti della società intera, che soli giustificano l’intensa protezione offerta dall’ordinamento alla famiglia fondata sul matrimonio.

Non bisogna ingannare l’opinione pubblica con il vuoto normativo.

Si vuole modifcare invece il diritto esistente.

Paradossalmente, l’intervento legislativo verrebbe a limitare la libertà privata, come quando si vorrebbe l’intervento di un’autorità terza per far cessare l’unione di fatto.

Nessuna legge stabilisce che un malato non possa essere visitato da chiunque egli desideri. 

No alla precarizzazione degli affetti

Dopo aver inventato i co.co.co. la sinistra, con la complicità dei cattolici adulti, punta sulla precarizzazione della famiglia e degli affetti.

Sorprende che, in economia, quella sinistra che mira alla stabilizzazione del lavoro, poi, sulla famiglia, scelga la strada opposta, quella della flessibilità, della precarietà e dell’assenza di responsabilità.

Siamo tutt’altro che pigri, come afferma il testimonial prodian-bolognese, ma fortemente impegnati ad evitare la istituzione di famiglie co.co.co., a geometria variabile, e i Pacs, una deriva complessiva della nostra società che ci rifiutiamo di avallare con profondo senso di responsabilità, nel rispetto della nostra Carta Costituzionale, quella Costituzione che non può essere difesa dalla Sinistra a giorni alterni.

Diciamo no a un colossale imbroglio e ad un disegno distruttivo.

Non basta cambiare il titolo da “Pacs” a “Dico” per mutare la sostanza del prodotto.

Siamo contro i surrogati, di qualunque specie, sia d’importazione che di produzione nazionale.

All’entusiasmo dei cattolici adulti, di quei cattolici che si definiscono tali per contrabbandare egoismi di parte senza alcun rispetto per il magistero ecclesiale, vogliamo contrapporre la responsabilità dei cristiani maturi e fedeli, che saranno irriducibili nel contrastare questo disegno distruttivo del modello costituzionale della famiglia, quella naturale, non quella innaturale.

Per noi questo progetto non è né da modificare né da migliorare, ma solo da bocciare. 

E’ stata concessa libertà di coscienza. Vedremo. 

Sui contenuti … 

Il ddl non soddisfa per i suoi contenuti, ma perché rappresenta un manifesto ideologico.

Si realizza un doppio binario: da una parte, la famiglia fondata sul matrimonio, dall’altra la famiglia non fondata sul matrimonio.

Questo è un impatto sconvolgente sul piano sociale, culturale ma soprattutto ordinamentale perché ogni tentativo di creare una famiglia parallela confligge con l’articolo 29 della Costituzione.

Questo ddl è un’antinomia rispetto alle reali esigenze del Paese. Infatti non si prende alcun provvedimento per i due milioni e mezzo di famiglie italiane che sono, secondo le stime dell’Istat, sulla soglia della povertà.

Del resto esistono già tutele in norme di leggi o in indirizzi giurisprudenziali, tra le altre la tutela per il convivente che subentra nel contratto di locazione e per i figli naturali.

L’iniziativa è un manifesto ideologico che in reltà mira semplicemente a dare riconoscimento giuridico come famiglia alle unioni omosessuali, in palese contraddizione con la famiglia società naturale fondata sul matrimonio e quindi da uomo e donna definizione del nostro ordinamento costituzionale.

1. In Italia non esiste un problema di tutela delle “coppie di fatto”. Non solo nel senso che non c’è un problema urgente, ma proprio nel senso che un problema non c’è: chi sceglie di non sposarsi, lo fa – appunto – perché lo sceglie: perché sceglie di non avere legami. Riguardo poi la copertura giuridica della convivenza, fatto salvo il tema della pensione di reversibilità, due conviventi possono, tramite scrittura privata, già definire i rapporti patrimoniali (di questo in fondo si parla nel decreto) in caso di fine della convivenza, anche per scomparsa di uno dei due. 

2. Infatti, l’argomento generalmente usato anche da tanti «intellettuali» è quello dell’uguaglianza. Cioè: bisogna parificare i conviventi di fatto alle persone sposate, siamo tutti uguali, lo dice la Costituzione. Giusto in teoria, meno nella pratica: a livello di norma di diritto è come dire che bisogna tutelare chi abita una casa in nero come se avesse un regolare contratto d’affitto. Il matrimonio, secondo il diritto civile, è un “negozio giuridico”, cioè l’incontro di due volontà da cui nascono diritti e responsabilità. Niente negozio, niente responsabilità, niente diritti. No Martini, no party, insomma per rifarsi alla pubblicità. 

3. Proprio sul tema della mancanza d’assunzione di responsabilità, s’incrocia uno dei punti richiamati dai Vescovi (e incidentalmente non limitato alla fede cattolica in senso stretto): perché la gente non si sposa? Semplicemente perché non vuole prendersi responsabilità. Perché ha paura a dire «prometto di esserti fedele», di dire «ti amerò per sempre», e di scommettere che su queste frasi si possa costruire un futuro. Senza dare alcun giudizio, è evidente che risulta molto meglio una «esperienza» insieme, ma senza esagerare con le responsabilità: voglio la mia libertà. Ora la domanda: lo Stato vuole dunque tutelare questa acuta posizione ideale? Quale bene promuove? 

4. Peraltro, siamo sicuri che i conviventi abbiano richiesto questa tutela? Immaginiamo un convivente che vada all’anagrafe a spedire la raccomandata con cui scrive: “sono tre anni che stiamo insieme, distinti saluti”. Seriamente, se i conviventi non vogliono doveri degli sposati… perché dovrebbero, implicitamente, riconoscere i diritti di un altro su di sé? Gli unici che li vogliono, diciamolo senza nasconderci dietro a un dito, sono gli omosessuali. Per i quali i DICO, come ha detto Luxuria, sono «il terreno sul quale fra poco costruiremo la casa». 

5. E qui sta il punto. Lo Stato che certifica con un matrimonio, che ricordiamo essere un atto di rilievo pubblico, l’unione omosessuale. Unioni, a livello sentimentale, sicuramente esistenti e che non sono da considerare demoniache o da perseguitare, o tutte le altre feroci e omofoniche intenzioni che Repubblica attribuisce (lei si ferocemente) ai cattolici, ma semplicemente da considerare «contronatura» . Non tanto per un riferimento a qualche principio morale, ma nel senso che non è in linea con la natura umana. Ciò può sembrare strano in una società permissiva come la nostra, tanto che il ministro Melandri fa notare che: ma è amore, amore vero, non può essere contronatura, l’amore non è mai contronatura. Il ministro, a livello sentimentale può anche aver ragione, però mi sorge un dubbio: un padre che abbia un’attrazione verso la figlia… è qualcosa che non va bene perché «non si usa»… o perché esiste qualcosa che vada «contronatura». Certo il punto può essere definire dove inizi e dove finisca il comportamento naturale, ma, certo, non omologare tutto al normale.

6. Dal momento che lo Stato è «laico», cioè slegato da una concezione religiosa, nel caso che gli omosessuali ritengano di non esser tutelati dall’attuale legislazione, lo stato potrebbe pur provvedere a tutelare i diritti che sorgono dalle loro convivenze. Riconoscerne la «differenza» non significa discriminare, ma solamente procedere a colmare un’eventuale lacuna giuridica evidenziando, però non solamente diritti (pensione di reversibilità, scelta del trattamento sanitario…), ma anche limiti: fatta salva la loro condizione, non abbiano ad esempio la facoltà di adottare figli. Si facciano, insomma, singole leggi ad hoc, non si crei ad arte la “dichiarazione di convivenza” che ingloba tutto e tutto omologa. 

7. Riguardo la dichiarazione, poi, la sua stessa esistenza mi pone dei dubbi a livello giuridico. Posto che la convivenza sia una situazione di fatto, per certi versi da tempo la giurisprudenza la tutela in modo simile alla situazione di diritto (il matrimonio). Ad esempio: da tempo la giurisprudenza riconosce al convivente di fatto il risarcimento del danno se viene ucciso o ferito il partner, esattamente come per la moglie ed il marito. Da oggi, tutto questo non sarà più possibile: la situazione di fatto smette di essere rilevante se non c’è la fatidica “dichiarazione” all’anagrafe. Facendo un esempio, è come se il possessore di un bene, che in diritto viene tutelato per il solo fatto che possiede anche senza essere proprietario, da domani dovesse andare all’ufficio del registro a dire: possiedo. In pratica, volendo riconoscere nuovi diritti, si vanno a cassare quelli già esistenti. 

8. In ultimo un dubbio relativo alla concessione del permesso di soggiorno per il convivente. Posto che sia sufficiente una raccomandata per dichiarare la convivenza… chi assicura che questa raccomandata sia, non solo spedita, ma anche «ricevuta» con piacere? 

Roma, 8 marzo 2007

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