Discussione del disegno di legge: (1329)
Discussione del disegno di legge: (1329) Conversione in legge del decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10, recante disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali (Relazione orale) Approvazione, con modificazioni, con il seguente titolo: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10, recante disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali
Presidenza del presidente MARINI, indi del vice presidente CAPRILI e del vice presidente CALDEROLI
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Eufemi. Ne ha facoltà. EUFEMI (UDC). Onorevole Presidente, onorevoli Sottosegretari e senatori, noi affrontiamo oggi una mini comunitaria. Purtroppo, il Governo ha usato lo strumento improprio del decreto-legge per intervenire su una materia disciplinata in modo peculiare dal nostro Regolamento. In questo modo, si svuota la Commissione Politiche dell’Unione Europea della sua capacità di intervenire in modo adeguato in quanto essa è costretta all’espressione di un mero parere, articolato sì ma meno incidente rispetto al necessario. Da ciò derivano una serie di problemi sia di ordine politico che di ordine procedurale. Rispetto al contenuto proprio del decreto-legge, relativo a materia comunitaria e a infrazioni che sono state richiamate, abbiamo assistito al tentativo da parte di settori della maggioranza di introdurre norme estranee. Le norme estranee erano anche quelle relative al cosiddetto finanziamento all’energia da fonti rinnovabili. In Commissione abbiamo ripetuto più volte, in maniera anche decisa, che era necessario seguire un percorso diverso, di non introdurre cioè quella norma in un decreto-legge. Tra l’altro va ricordato come lo stesso Governo il 22 febbraio scorso ha presentato un disegno di legge su questa materia (Atto Senato n. 1347) e, dunque, quella era la sede più idonea per confrontarsi su un ambito che essenzialmente è di competenza dell’onorevole Bersani, ministro dello sviluppo economico, che invece sarebbe stato tagliato fuori da tutto il dibattito. Allora l’UDC ha svolto una opposizione costruttiva, tesa al miglioramento del testo su alcuni punti nodali del decreto. Mi riferisco, in particolare, alla questione del post contatore; la soluzione che è stata individuata attraverso un confronto costruttivo ci soddisfa perché la questione presentava molto inesattezze all’origine. La questione non è di poco conto e ci riporta al complesso problema delle municipalizzate.
La questione delle municipalizzate è il cuore delle questioni che abbiamo noi di fronte e che dovrebbero far riflettere rispetto alle scelte che stiamo per fare. E’ in un certo senso collegata anche alla disciplina dei servizi pubblici locali, sulla quale dobbiamo fare una operazione verità. Toccare i servizi pubblici locali significa toccare un potere mostruoso, sia in termini di PIL, sia politici, sia di occupazione. Per chiudere la procedura di infrazione fu introdotto l’articolo 35 della legge finanziaria 2001, poi abrogato. In Italia vi è il cosiddetto nanismo delle microimprese; in Europa invece vi sono grandi imprese come la RVE che copre tutte le imprese italiane messe insieme: è grande 10 volte l’ACEA, la AEM di Milano, la AMGA di Genova, la HERA di Bologna, la ASM di Brescia. La preoccupazione allora era quella di non mettere in gara tutto, se non si intendeva mettere a rischio la struttura italiana a svantaggio dei consumatori e delle imprese. Quella era la prima questione. Rientrano nei servizi pubblici locali che devono garantire universalità del servizio, cioè raggiungere anche gli utenti non economicamente convenienti, dove non vi è dunque convenienza all’investimento se non nel lungo periodo. La colonizzazione straniera avrebbe determinato conseguenze possibili negative sopratutto sui consumatori italiani, tenendo tariffe più convenienti nei Paesi d’origine ed invece remunerandosi nel nostro mercato a svantaggio dei nostri utenti. Il mercato è competitivo se esistono i competitor e non i monopoli.
Oggi in Italia ed ancor più nel 2003 non esistevano e non esistono soggetti privati con forze sufficienti a competere a livello nazionale ed europeo. Gli unici competitori sono quelli pubblici. A ciò va aggiunto che un altro problema è derivato dal novellato Titolo V della Costituzione che attribuisce – non citandola – la materia residuale alle Regioni in via esclusiva, in base all’ex articolo 117, come affermato dalla sentenza della Corte n. 272 del 27 luglio 2004. Unica competenza rimasta allo Stato è la tutela della concorrenza, che delinea l’ambito entro il quale muoversi. La concorrenza vuol dire come affidare la gestione del servizio riportando nella legittimità comunitaria la normativa precedente, che era oggetto di procedura di infrazione comunitaria dal 1999. E la riforma ha individuato tre modalità di intervento perfettamente congrue al diritto comunitario, che, se correttamente applicate e stimolate con le normative di settore e di competenza regionale, avrebbero portato al risultato di stimolare la crescita mediante aggregazione degli operatori nazionali, senza rischi di una gara comunitaria che li avrebbe visti soccombenti. Questo appunto attraverso la famosa lettera c), cioè l’affidamento corretto in house senza gara. Successivamente, si sarebbe dovuto stimolare l’apertura ai privati anche alle società, mediante l’applicazione corretta della lettera b), cioè partenariato pubblico-privato, per poi passare con tranquillità alle gare. Questi tre principi dovevano trovare concreta ed effettiva applicazione entro il regime transitorio del 31 dicembre 2006, concordato esplicitamente con la Commissione europea. A quella data tutti gli affidamenti non conformi a queste modalità di affidamento sono decaduti, come espressamente stabilito dall’articolo 115, comma 15, del testo unico degli enti locali.
La riforma proposta, facendo finta di richiamarsi alle liberalizzazioni del settore pubblico degli enti locali, ma in realtà leggendo congiuntamente il testo Lanzillotta e gli emendamenti del Governo, ha come unico scopo quello di cancellare la data del 31 dicembre 2006 appena scaduta, prevedendo un ulteriore regime transitorio fino alla data del 2011, alla quale tutti gli affidamenti, compresi quelli illegittimi, rimarrebbero in piedi. Ciò fa saltare l’accordo con l’Unione Europea. Quindi, il testo proposto dal Governo stravolge completamente gli accordi italiani con la Commissione europea, pertanto ci si chiede se questo Governo abbia agito contro il precedente Governo, che aveva concordato le linee della riforma con l’Unione Europea. Proprio la vicenda delle liberalizzazioni Presidente, devo indurci a qualche riflessione. Assistiamo a questa coop partito-azienda, con giganteschi intrecci d’interessi economici‑politici e conflitti di interesse (gli stessi uomini che hanno un ruolo dirigente nelle società e anche nei partiti).
Vediamo l’affermazione di un cosiddetto capitalismo regionale, in luogo del capitalismo di Stato. Nel caso, ad esempio, della HERA abbiamo una società con 45 miliardi di fatturato, più del 3 per cento del PIL, migliaia di dipendenti, 7 milioni di soci, 12.500 cooperative aderenti. Dove è lo scandalo? Nella mancanza di trasparenza, di accountability, nella disparità di trattamento rispetto alle società di capitali, soprattutto nella tassazione, che consente la deducibilità del 70 per cento dell’IRES dalla base imponibile, dalla deducibilità integrale degli utili destinati a riserve obbligatorie, la cosiddetta riserva legale a fondi mutualistici, e la deducibilità del 70 per cento degli utili destinati a riserva volontaria, purché indivisibili. A ciò va aggiunta la facilitazione dei prestiti sociali al 12,50 per cento, anziché al 27 per cento. Quindi, stiamo parlando di una multi-unity modello capitalismo rosso, dove anche recentemente il governo Prodi ha inserito la HERA come azionista di spicco, con il 9 per cento, accanto all’ENI, nell’accordo quindicennale con l’Algeria, insieme ad ENI-Gas, ENEL e Wintershall (che hanno altre quote di partecipazioni), Regione Sardegna ed appunto HERA, con il 9 per cento. La HERA serve 196 Comuni dell’Emilia-Romagna su 341, con un bacino di utenza di 2,5 milioni di abitanti, che ha registrato 59 milioni di utili nel primo semestre 2006, che punta ad allearsi con AEM Torino e AMGA di Genova, già alleate in IRIDE. Desidero riportare una dichiarazione del segretario dei DS di Rimini, Riziero Santi, che parla di un mostro nato solo per fare business, cui non interessano i problemi del territorio e la qualità dei servizi, aumenta le tariffe, non fa investimenti, sfrutta e licenzia i dipendenti, mentre il management è costituito da una schiera di privilegiati che pensano solo al successo personale. Queste sono le affermazioni di qualcuno che evidentemente conosce bene le cose.
Se guardiamo la tariffa dell’acqua, HERA la determina a 1,51 euro al metro cubo, mentre a Milano pagano l’acqua 0,40 euro al metro cubo. Quindi, Bersani il liberalizzatore ha espunto l’inciso «con esclusione dei servizi pubblici locali» nel famoso emendamento, ribaltando l’obiettivo del provvedimento: distorsione della concorrenza, alterazione del mercato e parità tra gli operatori. Bersani, invece di liberalizzare – vogliamo fare un’operazione verità – difende i monopoli costituiti dalle municipalizzate con le Coop come azionisti. (Applausi dal Gruppo FI).
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione, abbiamo fatto una grande battaglia per difendere il post contatore, che comporta la difesa delle piccole e medie imprese e degli artigiani. La soluzione che è stata adottata ci convince, nel senso che abbiamo determinato le condizioni affinché non ci siano situazioni di monopolio, ma ci sia una reale concorrenza, né una separazione delle società che avrebbe alterato la concorrenza nel nostro Paese. Per queste ragioni, siamo soddisfatti delle soluzioni adottate, perché dietro quell’operazione c’era – per così dire – una difficoltà per migliaia di persone, di aziende, di famiglie, migliaia di occupati. Abbiamo inteso tutelare i piccoli rispetto ai grandi. Abbiamo anche cancellato quella furbata che si voleva introdurre attraverso l’emendamento concernente il CIP 6; riteniamo corretto utilizzare il disegno di legge 1347, appunto la soluzione che il Governo ha individuato, attraverso un percorso a parte. Quindi, evitiamo di utilizzare decreti-legge per realizzare operazioni che servono soltanto a salvaguardare pezzi di questa maggioranza che si trova in difficoltà, che non riesce a trovare una sua coesione e quindi penalizza gli interessi del Paese. (Applausi dai Gruppi UDC, FI e AN)