Rutelli e le banche
Francesco Rutelli è voluto tornare sulle vicende bancarie degli ultimi anni in una polemica tutta interna al partito democratico. Lo fa sul Corriere della Sera sottolineando il valore delle fusioni e la nascita dei due grandi gruppi bancari e la necessità che la politica resti fuori dal mercato citando come negativo l’intervento del Presidente del Consiglio sulla cordata Alitalia.
Ma è proprio così? Non è forse una assunzione di responsabilità? Come se la politica non sia entrata nelle più importanti decisioni USA dai salvataggi delle compagnie di assicurazione ai fallimenti delle banche di affari. E Barack Obama nel tempio del capitalismo USA non è forse intervenuto sui mercati finanziari o nel capitale della Chrysler? E prima di esprimere un giudizio sulla grande aggregazione Intesa-San Paolo e Unicredit non è forse il caso di rileggere e il percorso di quelle fusioni e i risultati ottenuti?. Nel caso Intesa San Paolo quella che è stata definita una opa manageriale è partita tra fine luglio e il 3 agosto 2006 e senza piano di impresa visto che fu presentato il 16 aprile 2007. Poi c’erano numeri ambiziosi: 70 miliardi di capitalizzazione, obiettivi di crescita 3 volte il ritmo di crescita dell’economia nel triennio, 100 miliardi di ulteriore credito, 18 miliardi di dividendi agli azionisti salari stipendi e contributi sociali, 12 miliardi di investimenti e acquisti e un contributo all’erario di 10 miliardi di tasse.
Poi c’erano le questioni Eurozon, risparmio gestito assicurazione vita e Fideuram promotori finanziari – d’attualità in questi giorni – e quindi il problema della separazione tra industria del risparmio gestito e attività bancaria. Questi erano gli obiettivi. I giudizi avevano anticipato la conoscenza dei numeri. Dovremo aspettare il 2010 per verificare i risultati. Certo si dirà che è intervenuta la crisi finanziaria, poi quella dell’economia reale con pesanti riflessi su ogni settore. Quale è oggi la velocità di crociera della nave Intesa- San Paolo. Quello che si può dire che le grandi aggregazioni non hanno portato quell’atteso miglioramento nelle condizioni di costo con effetti positivi nell’accesso al credito. I clienti non hanno beneficiato della attesa riduzione dei costi dei servizi bancari. Intanto, in attesa di vedere i miglioramenti scopriamo grazie al rapporto della Commissione UE che l’Italia ha scalato la classifica del caro conto posizionandosi al primo posto e che i correntisti evitano di cambiare banca per paura dei costi occulti e per la scarsa trasparenza.
Quanto si è realizzato nella omogeneizzazione delle procedure, nella definizione di efficienti collegamenti, nella rimozione delle sovrapposizioni nell’aarmonico sviluppo delle relazioni senza le quali l’incremento dimensionale diviene fonte di diseconomia. Al cittadino non interessa se una società industriale o bancaria o un servizio di pubblica utilità siano pubblici o privati; interessa che siano gestita in modo efficiente e per le banche oltre che che siano offrano servizi competitivi e meno costosi. E’ preferibile il primato del politica legittimata dal voto popolare piuttosto che quello delle èlites prive di consenso democratico.
Roma, 22 settembre 2009