Casini vira a sinistra 

Casini vira a sinistra 

Con le scelte a finte macchie di leopardo operate dall’UDC nella definizione delle alleanze nelle regionali 2010 cadono in un colpo solo le pretestuose motivazioni che avevano portato alla posizione terzopolista nel 2008. 

Casini rivendica di essere fuori dal governo, ma non ha rinunciato alla eredità del sottogoverno delle vecchie alleanze nazionali e di quelle nuove nelle amministrazioni locali. Il rifiuto dello schema bipartitico, imposto dall’esigenza di non rinunciare alla propria identità nel sistema “tatarellum”, non offre valide giustificazioni. Il “tatarellum” infatti non scalfisce la identità dei singoli partiti in una cornice di alleanza elettorale, semma ne esalte le specificità. Il voto marginale nel “tatarellum” diventa rilevante e offre spazi di manovra più ampi e incisivi. Se Casini voleva rompere lo schema bipartitico, come sosteneva nel 2008, aveva l’occasione per farlo mantenendo il proprio simbolo, la propria lista. Qualunque fosse stata la scelta operata, l’identità del suo partito veniva salvaguardata misurandosi nel confronto elettorale. A parte la scelta terzopolista dove l’incidenza è marginale, elettoralmente ininfluente e senza rischi come in Veneto e Toscana, sorprende la annunciata scelta a sinistra operata in Liguria, Basilicata, Marche e soprattutto Piemonte che finirà per UDC per determinare una sostanziale convergenza elettorale anche con forze resistenti alla modernizzazione del Paese e che hanno determinato pesanti ritardi nella nella infrastrutturazione strategica. Ma la vicenda pugliese, con le resistenze di Vendola, rischia di complicare enormemente i giochetti di Casini con i suoi ostentati richiami al riformismo ricercando una impossibile chiarezza in un quadro opaco. 

Non è a caso che da lì vengano le preoccupazioni maggiori perché viene a cadere il punto nodale del passaggio dalla linea bipartitica dell’alternativa di governo alla quale l’UDC puntava dal Piemonte alla Puglia, passando per il Lazio. Questa condizione si realizzava ove il Partito Democratico avesse offerto un candidato governatore di rottura e comunque di origine ex dc sul modello Spacca per le Marche, tale da rappresentare un valido alibi, giustificando così il superamento del terzopolismo e la scelta di campo verso coalizioni di sinistra seppure abbellite con i colori del riformismo, del programmismo, del contenutismo. La tempestiva candidatura Polverini ha polverizzato qualsiasi logorante trattativa nel Lazio. 

Molto più lineare, ma ancora una volta, ma perdente la posizione di Buttiglione che puntava a una scelta solitaria per l’UDC. E’ di fatto fallito il tentativo di nascondere le alleanze a sinistra sia quelle esplicitate sia quelle occultamente convergenti. Di fronte ad una tale confusione strategica in Casini prevale allora l’idea di mischiare le carte e di prendere tempo, posticipando l’avvio delle riforme istituzionali a dopo le elezioni regionali e ponendo prioritariamente la questione economica e sociale. E’ un modo surrettizio per spostare l’attenzione e per inchiodare il Governo sul terreno della politica economica. Si dimentica che la Legge Finanziaria è operativa da pochi giorni e che tra breve saranno introdotte nuove misure di sostegno a importanti comparti economici; si mette disinvoltamente nell’angolo ogni coerenza rispetto all’esigenza di mantenere equilibrio nei conti pubblici nel rispetto delle compatibilità finanziarie. Non è più tempo di rinvii. Sarebbe un grave errore per il PDL aspettare il passaggio elettorale di fine marzo e accettare una strategia di un pericoloso logoramento. 

Le riforme costituzionali non possono essere subordinate al consolidamento delle alleanze politiche attraverso il voto delle regionali. Si parta da subito senza indugi con il confronto parlamentare. Il Paese non può attendere che la crisi che attraversa la sinistra, stretta tra bipartitismo elettorale e alternativa di governo, si scarichi sull’adeguamento delle Istituzioni che passano soprattutto nella responsabilità e nelle scelte di governo e nel coraggio decidente della maggioranza.

Roma, 5 gennaio 2010

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