Governo di salute pubblica: una scorciatoia improponibile

Governo di salute pubblica: una scorciatoia improponibile

  Casini oggi smentisce l’ipotesi di un “governo tecnico”, non quello di “salute pubblica”. Eppure le parole erano inequivocabili così come   come recitava il virgolettato del Corriere. Queste uscite tumultuose, che fanno il paio con  quella settembrina relativa al CNL antiberlusconiano, sono  l’estremo tentativo di uscire dall’isolamento e cercare di rientrare nel gioco politico con una operazione di palazzo  che cancella il bipolarismo.  E la proposta di riconciliazione nazionale è  dunque solo il tentativo mascherato di rimuovere Berlusconi dalla guida del Governo. La storia politica e parlamentare repubblicana dimostra che non c’è bisogno di un governo di salute pubblica per fare le riforme e di affrontare la emergenza finanziaria. C’è bisogno di chi si assume le responsabilità di governo. De Gasperi realizzò nel dopoguerra le coraggiose riforme nell’età del  centrismo con una maggioranza ben delineata, rifiutando massimalismo e intransigenze non superabili. Così come fecero Fanfani e Moro con i governi di centrosinistra negli anni sessanta. Le riforme non si realizzano se non vi è un autentito spirito riformista che di certo non si ritrova nelle posizioni della sinistra.  Le riforme si fanno laddove esiste collaborazione culturale e se prevale il senso di responsabilità delle forze politiche al di là della loro collocazione politica. La proposta del leader dell’UDC  non trova consenso né a destra né a sinistra,  né al  centro!. E la posizione espressa dal PD lascia Casini nel limbo. Il governo tecnico sembra la riproposizione di quello avanzato da Visentini nei primi anni ottanta per spezzare la fase politica nata dal preambolo Donat Cattin che portò poi alla lunga fase del pentapartito. Con il governo di salute publica Casini  guarda forse alla riproposizione della solidarietà nazionale;  ma nel Paese, come hanno dimostrato le elezioni regionali con un verdetto chiaro,  non ci sono due forze grandi politiche con identici consensi elettorali come quelli registrati nel 1976  dalla DC e dal PCI e che portò al governo della cosiddetta “non sfiducia”.  Quel governo ebbe  molte responsabilità nella onda lunga della spesa in deficit con la realizzazione di riforme con molti elementi di socialismo che produssero ingente  debito pubblico.  Ricordiamo ai più distratti la riforma degli enti locali con il consolidamento dei debiti delle amministrazioni  locali costruito sulla base della spesa storica. Portò al cortocircuito delle responsabilità con la deresponsabilizzazione degli amministratori anziché il premio della  loro virtuosità. Non si possono sottacere poi i danni conseguenti alla  riforma sanitaria con la legge 833 che produsse  una deriva  degenerativa con una riforma naufragata nell’oceano  dei debiti e nella inefficienza dei servizi perché priva di  adeguati controlli sulla gestione. Di fronte alla attuale crisi finanziaria internazionale c’è bisogno minore debito, non di maggiore debito; c’è bisogno di rigore finanziario e di senso di responsabilità; c’è soprattutto bisogno di evitare proposte peregrine di  avventure istituzionali che indebolirebbero la governabilità e la stabilità dell’Esecutivo e  porrebbero il Paese in una posizione di grave debolezza e vulnerabilità.

  Roma, 10 maggio 2010

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