Tra Popolo e Governo: il ruolo del Parlamento nella decisione di bilancio
Senato della Repubblica Sala Zuccari 3 maggio 2011
Riflessioni di Maurizio Eufemi
Siamo chiamati a riflettere sul ruolo del Parlamento nazionale di fronte alla spinta di mutamenti internazionali, sia sul versante istituzionale con maggiore cooperazione interparlamentare che su quello economico-finanziario con misure anticrisi. Non vi è dubbio che le sfide della globalizzazione impongano di certo all’interno l’introduzione e l’adeguamento di regole, istituti e procedure più snelle ed efficaci accorciando i tempi di risposta della politica alle domande di una economia sempre più tecnologica e informatizzata.Il Parlamento con il predominio del potere videocratico ha visto spezzato il legame eletti-territorio; ha cessato da tempo di essere il luogo della mediazione anche per la scomparsa dei partiti. Il Parlamento non è certo quello che molti di noi hanno vissuto come luogo del confronto anche aspro, perché la sua funzione di rappresentanza si è progressivamente indebolita, alterata, mortificata, annullata da una legge elettorale proporzionale distorta nelle finalità che determina un deficit di rappresentanza. L’obiettivo del risultato numerico ha penalizzato la qualità degli eletti fino ad impedire qualsiasi reale collegamento tra popolo e Parlamento.Al vulnus rappresentato dalla legge elettorale proporzionale, che impedisce ogni possibilità di scelta dell’elettore si deve aggiungere quello ancora più rilevante determinato dalla assenza di regole nella vita interna dei partiti, degenerati in una deriva personalistica e leaderistica. Non vi è alcun controllo sulla disciplina della loro vita interna, sull’uso delle risorse pubbliche di sostegno per la loro attività. Si privilegiano gli aspetti formali piuttosto che quelle penetranti sul merito.Si registrano perfino pesanti divari tra rilevanti somme incassate e le inferiori somme spese fino a un terzo.La piena attuazione dell’articolo 49 della Costituzione si impone. Non si tratta di rivendicare un “patriottismo” della Costituzione o del Parlamento, ma di aggiornare la legislazione alle dinamiche di una società che sollecita trasparenza.Ma v’è un altro punto su cui riflettere. In una fase di così forte cambiamento, quale è il ruolo del Parlamento rispetto alla decisione di bilancio che rappresentava il momento più alto del confronto tra Parlamento e Governo rispetto all’uso e alla distribuzione delle risorse pubbliche realizzate attraverso l’attività di prelievo fiscale?. La centralità parlamentare anche sul bilancio si è smarrita. Vi è stato un progressivo spostamento dell’equilibrio in favore del Governo ben prima dei più recenti vincoli europei. Prevale l’assunto per il quale dal risultato elettorale discendono responsabilità di governo nella realizzazione del programma saltando a piè pari il confronto parlamentare attraverso un uso straripante di decreti omnibus, mille proroghe e l’abuso dello strumento della delega ed il ricorso al voto di fiducia come strumento ordinario di governo. A tutto ciò va aggiunto il faticoso processo di costruzione della governance europea che impone cessione di sovranità unita a vincoli e controlli ineludibili. Il Parlamento, svuotato di ogni potere, è diventato solo il luogo della ratifica formale di decisioni maturate e assunte in altre sedi. La governance europea impone infatti una applicazione rigorosa del Patto di stabilità e crescita; una più forte sorveglianza e macroeconomica con meccanismi più sensibili di allarme per valutare gli squilibri di competitività; meccanismi permanenti di gestione delle crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria. Non solo per la devoluzione verso l’alto, ma anche verso il basso, con il federalismo, con il 119 cost. con le autonomie locali. Sul piano interno vengono rafforzate le clausole di copertura, come l’abs sistemi antibloccaggio e o un esp nel controllo di stabilità nella frenata. Più Europa, ma anche più poteri regionali e per gli enti locali, meno Stato. Sullo sfondo resta lo stock di debito, il suo rilevante costo del servizio, e la sua sopportabilità rispetto alla dinamica di crescita della ricchezza.Dalla legge Curti dei primi anni sessanta alla finanziaria nelle versioni della 468 del 1978 di iniziativa Stammati Pandolfi e della 362 del 1988 per impulso di Macciotta e Carrus, poi Amato sono passati decenni. Rispetto alla legge 196 del 31 dicembre 2009, che è di un anno e mezzo fa, è intervenuta una nuova legge n. 39 del 7 aprile 2011 di iniziativa parlamentare che sarà chiamata Giorgetti in conseguenza delle nuove regole europee sul coordinamento delle politiche economiche dell’Unione, comportando un ulteriore cambiamento nel ciclo dei programmazione della decisione di bilancio appena introdotta nel 2009.Quella programmazione rifiutata come metodo di intervento nelle politiche economiche per ridurre i divari economici e sociali viene imposta al Paese per renderla coerente con le procedure e i criteri stabiliti dall’Unione.Cambiamenti pur giusti e necessari dimostrano la necessità di intervenire per armonizzare e allineare il sistema nazionale alle regole europee attraverso un ciclo di procedure che assicurino un coordinamento ex ante delle politiche economiche e di bilancio nella eurozona nell’ambito del semestre europeo. Non è solo un problema di timing dei flussi informativi ma anche di armonizzazione contabile. Non è solo un problema di raccordo tra la sessione di bilancio italiana ed europea, tra Stati membri e Unione.Si commetterebbe un grave errore se ci si limitasse ad un problema di scadenze. Si guarda a conseguire obiettivi più stringenti di controllo della finanza pubblica, rafforzando la disciplina fiscale per favorire la riduzione del debito, con il divieto di utilizzo delle maggiori entrate per nuovi oneri e il divieto di utilizzo del risparmio pubblico per la copertura della legge di stabilità, così come il vincolo all’utilizzo delle maggiori entrate derivanti dal contrasto alla evasione alla riduzione del debito.Può bastare tutto ciò? Di fatto ciò impone un atteggiamento nuovo e diverso in tutti i livelli di governo privilegiando innanzitutto una cultura della rendicontazione che fa fatica ad affermarsi non solo a livello centrale, ma in tutti i centri di spesa, insieme ad un monitoraggio sia della spesa che della entrata nell’insieme delle variabili in funzione della progetto contabile da realizzare. E’ il rendiconto il collante di ogni organizzazione, la madre di tutte le riforme istituzionali. Rispetto al nuovo processo decisionale quale è il ruolo e la funzione del Parlamento? Di certo allo stato appare perfino marginale nei controlli. Sembra che si facciano passi indietro. Giuseppe La Loggia nei primi ani ottanta riuscì ad ottenere per la Commissione Bilancio il collegamento telematico on line con la Ragioneria Generale dello Stato per avere in Parlamento una piena conoscenza sulla evoluzione della spesa, soprattutto pluriennale. Fallirono i reiterati tentativi di avere la disponibilità per il Parlamento l’accesso ai dati di entrata, senza considerare l’anomalia tutta italiana che per un periodo di tempo la Sogei, con tutto l’armamentario di dati sensibili, fosse in mano privata, come partecipata di Telecom. E allora la funzione informativa e di monitoraggio costante non può prescindere da un salto qualitativo che preveda non soltanto una progressiva integrazione, unito al rafforzamento degli uffici di Bilancio, dotandoli altresì di quei poteri di intervento, conoscitivi sui flussi informativi. Un più forte dialogo istituzionale tra i soggetti come Parlamento, Corte dei conti, Istat, Banca d’Italia appare indispensabile. E’ il Ministero dell’Economia che deve presentare i conti e le relazioni al Parlamento. Non può essere l’Istat a farlo. Non ha nessuna responsabilità politica diretta. Lo squilibrio oggi esistente tra Parlamento e Governo è come quello tra Uffici del Bilancio e Ragioneria generale dello Stato.Il governo è e resta l’unico padrone della decisione di bilancio. Il Governo è padrone della conoscenza dei dati sia di entrata che di spesa. Manzella ha fatto cenno nella sua relazione alla espansione del controllo istituzionale. Abbiamo un proliferare di authority. Ma sono esse funzionali ad esigenze di penetranti controlli sul rispetto delle regole o non rappresentano piuttosto una moda e dunque prive di quella capacità di penetrante azione a tutela degli interessi collettivi e del bene comune. Non sarebbe allora bene rafforzare il ruolo e la funzione di garanzia della Corte dei Conti in materia di trasparenza e di attendibilità dei conti pubblici, come garante imparziale dell’equilibrio economico finanziario dell’intero perimetro rispetto al nuovo assetto ordinamentale che vede quel continuum Unione Europea – Stato – Autonomie territoriali, che impone un atteggiamento nuovo!. Si abbandonino i controlli formali e si rafforzino quelli rapidi e sostanziali sui codici della spesa.Il Parlamento è stato messo sotto accusa come responsabile della montagna del debito pubblico accumulato dall’unità di Italia.E’ una interpretazione deviante della realtà. Sono molteplici le cause della deriva dello Stato programmatore, imprenditore, erogatore, fornitore, committente, banchiere. Né il parlamento è il solo responsabile dell’assalto alla diligenza. E’ stato dimostrato come per anni il saldo non sia ma stato sfondato.Siamo i fondatori della contabilità. La nostra tradizione contabilistica che va dal progetto Sella ripreso dalla legge Scialoja, la legge Cambray Digny del 1869, metodo Cerboni del 1872, legge Maglia del 1883,legge De Stefani del 1923, legge curti del 1° marzo 1964, legge 468 del 5 agosto 1978 legge 362 del 1988 fino alla legge 31 dicembre 2009 n. 196 vede molte leggi di iniziativa parlamentare a conferma di una sensibilità capace di offrire strumenti legislativi adeguati ai tempi e alle necessità.Occorre che il rispetto delle regole deve trovare coesione a tutti i livelli di governo.Sono stati fatti passi avanti con la rete Siope che permette una conoscenza in tempo reale dell’andamento dei flussi di finanza pubblica di un perimetro vasto, ma non ancora intero, della P.A. insieme ad efficaci sistemi di rendicontazione. L’auspicio della realizzazione del consolidato di cassa, così come da molti auspicato, che spinge verso un meccanismo competitivo sulla efficacia, sulla efficienza e sulla rapidità della spesa è caduto. Ha prevalso ancora una prudenza che sfocia in ripensamento preservando il vincolo derivante da impegni e accertamenti, mantenendo la competenza, la madre di tutte le promesse, la madre del debito, la madre di tutte le inefficienze. Prevarrebbe in tal caso il sottostato che sfugge ad ogni controllo. C’è una ragione per la quale la linea della cassa è stata vanificata. La cassa non si può taroccare, perché poggia sugli estratti conto delle banche nel ruolo di tesoreria. Immaginate il bilancio di una grande impresa costruito sulla competenza anziché sulla cassa.V’è poi la necessità di creare istituzioni indipendenti per la gestione e il controllo della politica fiscale. Independent Fiscal Authorities e i Fiscal Councils. Molti passi devono essere compiuti in questa direzione. Mentre noi siamo fermi alle agenzie fiscali con la loro natura ibrida.Una politica svuotata porta alla crisi del Parlamento. Ne deriva la crisi della rappresentanza che si riflette in un inaridimento del confronto. Quella fertilità legislativa che abbiamo registrato nella prima Repubblica per virtù, iniziativa, capacità di tanti parlamentari di ogni parte politica oggi è venuta meno. Si potrebbero richiamare in campo economico la legge Sabatini, il deputato dei poveri, per le macchine utensili, principale strumento finanziario per le PMI, La legge Curti sulla contabilità pubblica, le leggi Tambroni per l’artigianato, la legge Pedini sul volontariato civile, la Bersani n. 1222 del 1971 e poi quella del 1978 sulla cooperazione internazionale per le ong, la legge Basevi del 1947 sulla cooperative e sui principi solidaristici, la legge Latorre per l’antimafia.La recente riforma della contabilità è una occasione sprecata. Può andare bene per l’Europa; è insufficiente per determinare comportamenti virtuosi e quel salto di qualità indispensabile ad un severo controllo dei conti in tutti i centri di spesa. Soprattutto pone il Parlamento in posizione minoritaria.Restituire agli elettori la capacità di scegliere significa ritrovare quella fertilità legislativa che ha fatto bene al Paese più di tante lobbies o tecnostrutture prive di sensibilità politica e dunque incapaci di cogliere i movimenti dinamici della società.Roma, 3 maggio 2011 |