Ricordiamo Mino Martinazzoli Presidente del Gruppo parlamentare e legislatore
Ho avuto Mino Martinazzoli Presidente del Gruppo Parlamentare della DC nel triennio a cavallo tra la nona e la decima legislatura. Lasciò l’incarico di Ministro di Grazia e Giustizia nel governo Craxi dall’agosto 1986 per diventare Presidente del Gruppo l’8 ottobre per poi dimettersi il 31 luglio 1989, quando diventerà Ministro della Difesa.
Ho ricordi nitidissimi della sua azione politica e legislativa. Era un uomo che pensava molto, in solitudine, prima di decidere. La sua decisione era “sofferta”. Quando però aveva maturato il convincimento, la sua linea era nitida, senza incertezze.
Oltre che fine giurista guardava con attenzione ai problemi economici e finanziari con una razionalità tutta sua. La sua sensibilità politica lo portò a “firmare” alcune proposte di legge che responsabilmente coinvolgevano l’intero Gruppo e il Partito della Democrazia Cristiana .
Mi riferisco alla legge quadro sul volontariato, alla tutela dell’embrione umano, agli interventi per la Piccola e media impresa o la riforma del trattamento fiscale per la famiglia compresa la detrazione del canone per le nuove famiglie e la lotta alla evasione fiscale. Come si può vedere temi di strettissima attualità.
Presentò una mozione per difendere la cultura della vita che si scontrò con il fronte abortista della legge 194. Non rinunciava pertanto a “sollecitare la politica ad assumere consapevolezza delle proprie responsabilità nei confronti della vita e ad intendere che per una indifferenza o per una rinuncia o per cinismo su queste frontiere si consumerebbe il suo declino irrimediabile, né più né meno la sua insignificanza”. Siamo convinti – affermava Martinazzoli – che la politica deve avere precisa coscienza dei propri limiti e che non le tocca alcun arbitrio nei confronti della libertà della scienza. Le compete però un dovere di tutela ultima di fronte al rischio di offese irrimediabili alla condizione umana …”
Non si può tralasciare il suo impegno nella riforma della contabilità di stato, la cosiddetta 468 del 1978, che sotto la sua presidenza sarebbe stata ampiamente modificata divenendo la legge 362 del 1988. Volle un momento di grande dialogo istituzionale nella Sala delle Capriate della Biblioteca della Camera, con la partecipazione di Carli, Amato, Andreatta, Guarino, Tarabini, Macciotta e tecnici di grande valore come Zaccaria, Salvemini, Giarda e Gaboardi. Aveva bene presente che occorreva la ricerca di buone regole insieme a impegni e comportamenti politici accettabili. Aveva il senso della responsabilità e del gesto personale e come Presidente del Gruppo dovesse dare il buon esempio evitando che nella legge Finanziaria delle scorrerie di quegli anni, nessuna iniziativa dovesse essere targata Brescia. Così come la riforma delle regole dovesse partire dai Regolamenti parlamentari.
Va ricordato come primo firmatario del progetto di legge del 14 aprile 1989 che prevedeva la riduzione del debito dello Stato e disposizione sul capitale di enti pubblici economici. A ben vedere si trattò di iniziative legislative lungimiranti con l’introduzione del fondo di ammortamento del debito pubblico rispetto a decisioni che saranno prese solo con grande ritardo.
Ma Mino Martinazzoli si pose con forza il problema della questione morale come momento di riconciliazione tra i cittadini e le istituzioni. La questione morale come momento di riordino istituzionale, economico e sociale. Volle un grande momento di mobilitazione intellettuale con Leopoldo Elia, Giuseppe De Rita, Roberto Ruffilli per superare la “quotidianità” e guardare con la necessaria tensione culturale e morale oltre l’orizzonte attraverso un aggiornamento della Costituzione, il recupero di efficienza dell’istituto parlamentare attraverso la revisione dei regolamenti, insieme alle grandi questioni come decreti legge e voti di fiducia che muovevano pericolosamente verso una progressiva alterazione.
La sua sensibilità istituzionale è fuori discussione. Nella sua analisi si percepiva una linea di movimento precisa, quella di considerare il Parlamento il luogo del confronto, di interpretazione e di rappresentazione della domanda sociale.
Roma, 4 settembre 2011