Crisi del sistema bancario e riflessi per le fondazioni
Gli articoli di Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera e Corriere Economy del 26 settembre affrontano questioni scomode, nascoste al grande pubblico, ma sono di profondo interesse. Hanno il pregio di una analisi libera, franca, senza condizionamenti. Affrontano i problemi e il costo della crisi per il sistema bancario italiano e di riflesso dei problemi delle Fondazioni bancarie rispetto al loro ruolo e alle loro finalità.
L’analisi è impietosa e preoccupante. Impietosa perché dimostra come la scelta delle Fondazioni di privilegiare le partecipazioni bancarie nella “foresta partecipata”sia stata rischiosa e dannosa, così come la orgogliosa scelta di non ricorrere all’utilizzo dei Tremonti bonds, per evitare ogni condizionamento del potere politico. Come se di fronte a una situazione così complessa e ad una crisi finanziaria persistente, la politica potesse restare assente e non si aprirebbe necessariamente la prospettiva per un intervento pubblico nelle banche, come negli anni trenta!.
Se per esempio la Fondazione Monte dei Paschi di Siena avesse perseguito la strada indicata dalla legge Ciampi riducendo la quota maggioritaria di possesso avrebbe una situazione di bilancio ben diversa, certamente meno problematica. Hanno prevalso interessi locali e cattivi consiglieri. In generale tanto più è alta la quota posseduta dalla Fondazione nella azienda bancaria tanto più è alto il rischio e la perdita di bilancio e dunque il costo per affrontare nuovi aumenti di capitale rispetto ai requisiti patrimoniali previsti da Basilea 3. Le minusvalenze registrate diventano in valore assoluto più importanti rispetto alle quote possedute.
C’è da essere preoccupati per i necessari aumenti di capitale di tutto il sistema bancario, alleviati da escamotage come le valutazioni di bilancio ancorate ai valori storici considerandole perdite transitorie piuttosto che strutturali, anziché dunque al fair value, come imporrebbero le regole contabili internazionali.
Preoccupati, per le difficoltà di un comparto vitale per il sistema Paese. Preoccupati, per le conseguenze finanziarie notevoli, per i ritorni che fino ad oggi si sono determinati e si determineranno sul territorio sui settori di intervento e in prospettiva, in particolare, per il volontariato proprio per in vincoli di legge. Non vorremmo che la crisi la paghino i più deboli.
Registriamo un certo attivismo scuotere l’albero della politica e ottenerne i frutti senza fatica. C’è da sperare che il capitalismo manageriale si astenga dal dare indicazioni e fornire ricette ai fermenti dell’associazionismo, su come superare la crisi. Non se ne sente la necessità. Provi prima a risolvere i problemi del proprio comparto.
Roma, 2 ottobre 2011