Convegno su “Debito pubblico tra risanamento e sviluppo”

Convegno su “Debito pubblico tra risanamento e sviluppo”

INCONTRO SU


Debito pubblico tra risanamento e sviluppo
 

MERCOLEDI’ 18 APRILE 2012
Ore 9,30


Sala della Mercede
Palazzo Marini – Via della Mercede 55
CAMERA DEI DEPUTATI
ROMA

Siamo di fronte ad un passaggio difficile per il Paese che rischia una fase deflattiva.Si assiste ad un rimpallo di responsabilità. I mali del presente vengono addossati al passato che molti dei presenti protagonisti di passaggi decisivi della storia del Paese possono facilmente confutare. Resta il nodo del debito pubblico con tutte le sue implicazioni.Proprio per le questioni sollevate da Salerno, mi resta ancora più scolpita una frase di Guido Carli del 1982, un tecnico-politico per usare un termine di moda:” In tutti i mondi industrializzati si è compiuta una rivoluzione nella distribuzione del reddito fra i gruppi sociali e si è compiuta pacificamente perché la funzione redistributiva è stata assunta dagli Stati”.L’ errore politico degli anni ottanta poggiava sulla capacità della crescita di finanziare il debito. La crisi del debito esplode con la crisi economica che si trasforma in crisi finanziaria e viceversa; una crescita della spesa pubblica per il consenso politico, sindacale, confindustriale a cui si è aggiunto spesso l’effetto di sentenze della magistratura, corte costituzionale compresa, con impatti devastanti sul bilancio. “Si difese l’ordine esistente” hanno affermato da osservatori diversi Mario Sarcinelli e Vincenzo Milazzo. Il bilancio ha accentuato la pace sociale. La spesa pubblica passò dal 34 per cento del Pil nel 1970 al 55 per cento del Pil nel 1985. Il livello del debito lievita dal 59 per cento del 1980 all’84 per cento nel 1985. La spesa per interessi cresce dal 5,3 a quasi il 10 per cento del Pil. (storia del sistema bancario Francesco Giordano).Voglio andare controcorrente: tra le decisioni di politica economica non possiamo poi dimenticare le conseguenze del cosiddetto “divorzio” Tesoro-Banca d’Italia che ne derivarono da un aumento dei tassi di interesse reali, come ha sottolineato poco fa Vincenzo Visco, che contribuirono alla crescita del fabbisogno del Tesoro quando ormai il finanziamento dipendeva dal mercato. Non mancarono critiche per una scelta teoricamente giusta ma presa nel momento sbagliato (Filippo Cavazzuti) .Lo stesso Sarcinelli recentemente ha manifestato la convinzione che Nino Andreatta, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe fantasiosamente introdotto correttivi.Se la BCE apre i rubinetti della liquidità all’1 per cento per consentire alle banche di acquistare i titoli dei debiti sovrani al 5 per cento non fa forse quello che la Banca di Italia faceva prima del divorzio! Solo che allora c’erano anche le banche pubbliche, c’erano i certificati di deposito con la raccolta delle Bin allo 0,50 che servivano a Mediobanca per finanziare il sistema industriale, c’erano quella invenzione di Guido Carli del Mediocredito centrale e i mediocrediti regionali, c’erano strumenti legislativi semplici e di straordinario successo come la legge Sabatini sulle macchine utensili, c’erano idee per lo sviluppo che non vediamo nei tecnocratici di oggi con errori marchiani sulle scadenze fiscali, sul numero degli esodati, sulla Imu, una patrimoniale sulla casa.Non va poi dimenticato che nel 1985 il 40 per cento dei titoli erano posseduti da banche e istituti di credito. Il 57 per cento degli utili Fiat e il 62 per cento degli utili Olivetti per il 1984 venivano da titoli di stato (Napoleone Colajanni). Il debito passò dal 98 per cento al 121,5 per cento del Pil nei tre anni dal 1992 al 1995 a causa del disavanzo per spesa per interessi.Quando in gennaio 1983 il Tesoro chiese l’anticipazione straordinaria alla BI per 8.000 miliardi i tassi veleggiavano sul 18 per cento. Nel 1986- 1987 la spesa per interessi raggiunse l’ 8, 2 per cento del Pil rispetto al 4,5 del 1981. Nell’imminenza della crisi finanziaria del 1992 il tasso di sconto si cifrava al 11,5 per cento. (raccolta Tendenze monetarie)Questi brevi richiami per sottolineare come siamo passati dalla crisi dei debiti sovrani dei paesi in via di sviluppo a quelli sviluppati soprattutto dell’area latino-mediterranea.C’è la crisi della governance europea, i limiti della BCE che privilegia la allocazione della liquidità per via indiretta a quella diretta, l’affermazione degli automatismi sanzionatori, il deficit democratico che avanza.Non c’era bisogno di un governo definito tecnocratico per tassare il bene casa con la rivalutazione della rendita catastale al 160 per cento o per tassare i capannoni agricoli come le abitazioni e determinare condizioni di favore per gli immobili delle Fondazioni bancarie.Il caso italiano impone una riflessione, perché il debito pubblico sembra scomparso dall’agenda del governo.Non possiamo pensare con manovre recessive possiamo forzare la crescita, né che il navigatore di marca tedesca permetta di raggiungere la velocità di crociera della Germania. Gli automatismi di bilancio di Angela Merkel rischiano di portare l’Europa sulle secche per mancanza di carburante. I governanti devono sapere scegliere la rotta, dosare le forze evitare i rischi dell’egoismo dimenticando quel lungimirante metodo comunitario nella solidarietà.Dai tecnici ci saremmo aspettati un poco di fantasia sul terreno delle alienazioni dei beni demaniali patrimoniali. Le proposte non mancano: da quella di Monorchio – Salerno a quella di Pellegrino Capaldo, da Luigi Cappugi a Giuseppe Guarino. Non sono forse tecnici altrettanto autorevoli. Di certo non è partita neppure la società veicolo in grado di fare portare avanti l’operazione valorizzando e dismettendo progressivamente un patrimonio pubblico importante, alleggerendo il peso dello stock.La Cassa Depositi e Prestiti sembra più una Iri finanziaria.Gli avanzi annuali sono sufficienti a ridurre lo stock di debito? Potrebbero non essere adeguati se permane la fase economica negativa. Non si corre allora il rischio di cadere nella trappola fiscale conseguente ad una fase recessiva prodotta da misure rozze, oppure non è forse opportuno e necessario procedere ad una operazione di finanza straordinaria accompagnata sul lato delle entrate anche dalle dismissioni patrimoniali. Questa strada non viene percorsa.Quando in Francia nel 1925-26 si verificò la crisi nel collocamento dei titoli vi furono emissioni al 7 per cento che furono un successo. Fu creato un fondo di ammortamento con la devoluzione di importanti entrate come reddito dei monopoli del tabacco, le imposte di successione e proprietà Le spese di ridussero da 58 md a 34 md.Nella esperienza italiana ricordiamo la rendita Italia 5 per cento del 1935 , regio decreto n. 60/34 Ministro delle Finanze Jung.Potremmo portare anche l’esempio di Davide Ricardo che era uno jobber agente di cambio specialista. Anche allora c’era lo spread con ampie fluttuazioni. Dopo le guerre napoleoniche il debito pubblico inglese fra il 1800 e il 1816 raddoppia e raggiunge 31 milioni di sterline contro i 57 milioni di entrate, pari al 55 per cento dell’entrata. Forse occorre ripensare alla ricetta ricardiana con una terapia d’urto che ci sottragga al ricatto dello spread!.Nel caso italiano in una economia aperta e globalizzata con un debito collocato per il 50 per cento ad investitori internazionali o a non residenti non vi è un “trasferimento dalla mano destra alla mano sinistra” ma da un paese ad altri come era in passato per l’Italia con un debito tutto domestico. Il Paese diviene più povero se paga l’interesse con un trasferimento di ricchezza verso l’esterno, di qui la necessità di un forte abbattimento attraverso un mix di misure che riducano la spesa pubblica corrente, la spesa militare, la dismissione dei beni patrimoniali, misure di finanza straordinaria, in particolare sul debito.L’errore politico dei tecnocrati sta nel credere che manovre recessive possano risanare il Paese. No! Portano alla deflazione.C’è bisogno di politica seria e intelligente sia in Italia ma soprattutto in Europa, di un piano di azione per la crescita.C’è bisogno di leader europei in grado di confrontarsi su una nuova Bretton Woods, sul rapporto euro-dollaro riequilibrandolo sui valori di partenza, come ricorda Massimo Lo Cicero piuttosto che su quelle politiche degli automatismi di Merkel come il fiscal compact o Basilea tre, devastanti regole di vigilanza, rispetto alle dinamiche di mercato che richiedono il coraggio della decisione espressione delle democrazie.Il problema del debito italiano, che è questione della unità del Paese e della sua coesione non può essere svincolata dalla questione della governance europea e della crisi dell’Europa politica e del suo destino, una Europa che sappia affrontare il problema del debito non con gli automatismi di bilancio ma con la politica, una politica comunitaria, di coesione sociale e della solidarietà.Mettere il debito nell’agenda politica italiana ed europea evitando automatismi che portano all’implosione della Europa.
Roma, 18 aprile 2012Bibliografia essenzialeCavazzuti Filippo, Debito pubblico ricchezza privata, Il Mulino, 1986Colajanni Napoleone, capitalismi, Sperling&Kupfer, 2006Giordano Francesco, Storia del sistema bancario italiano, Donzelli Editore, 2007Il debito pubblico, a cura di Massimo Matteuzzi e Anna Maria Simonazzi, Il Mulino 1988Ricardo David, Opere voll. 1 e II, Utet, 1986Sarcinelli Mario, La gestione di debiti sovrani in contesti di crisi finanziarie:quali insegnamenti dalla storia, Riunione Siep Società italiana di Economia pubblica 2 marzo 2012, dattiloscrittoSarcinelli Mario, E’ sufficiente una cura omeopatica per il debito pubblico, intervento all’Aiaf, Associazione italiana analisti finanziari, 31 gennaio 2012, www.aiaf.Tendenze monetarie, Banca Commerciale Italiana, collezione 1973-1994

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