Mentre nel Paese esplode la questione fiscale con suicidi, proteste eclatanti, insofferenza diffusa, malessere sociale, non possiamo non riandare alla straordinaria figura di Ezio Vanoni, Ministro del Tesoro, Ministro del Bilancio, ma anche Ministro delle Finanze, alla sua grandezza politica, ai suoi altissimi meriti posti al servizio degli ideali che lo hanno accompagnato nella azione politica: il realismo e il senso dello Stato.Un malore lo colse a Palazzo Madama proprio per non venire meno al proprio dovere di esporre la politica finanziaria del governo nonostante gli inviti di Fanfani, Segretario Politico della DC e di Antonio Segni, Presidente del Consiglio di non andare in aula stante il suo visibile e incerto stato di salute. Morì il 16 febbraio 1956 nella trincea parlamentare.Non è stato solo un costituente protagonista insigne della ricostruzione postbellica, ma anche artefice di quel processo di sviluppò che portò l’Italia a traguardi economici insuperabili. Indicò con chiarezza la via della riorganizzazione e del potenziamento del sistema produttivo, l’aumento della produzione dei beni, la riconversione industriale per modernizzare l’industria alle mutate esigenze del mercato nazionale e internazionale.La riforma tributaria che porta il suo nome si ispirò a criteri di giustizia sociale; per l’occupazione e lo sviluppo definì il famoso schema Vanoni.Ma quello che ci intessa oggi è sottolineare come si dovesse fare affidamento soprattutto sullo sviluppo dei tributi ordinari e non all’istituzione di imposte straordinarie, traendo i maggiori incrementi di gettito dall’imposta generale sull’entrata e dal monopolio dei tabacchi; ma all’aumento delle entrate dovevano contribuire anche le imposte dirette: per ottenere questo risultato sarebbe stata necessaria, oltre una più stretta sorveglianza e ad una maggiore severità degli accertamenti, anche una riduzione di aliquote allo scopo di ridurre l’incentivo alla evasione.Vanoni considerava l’imposta “ il fondamento primo sul quale si regge l’organizzazione dello Stato moderno, libero e democratico”; nel pensiero di Vanoni l’imposta era infine destinata ad adempiere un’altra altissima funzione: una funzione di educazione politica del contribuente; lungi dal ricorrere a quei mezzi di “illusione finanziaria” dei quali tanto spesso si servono i governo per attutire le reazioni dei contribuenti al prelievo fiscale, Vanoni riteneva invece che l’imposta dovesse sempre manifestarsi chiaramente nella sua natura e nelle sue dimensioni affinchè i contribuenti, resi sensibili al prelievo fiscale, fossero stimolati ad esercitare in modo sempre più intenso, un’attività di critica e di controllo sulla utilizzazione delle somme prelevate e, più in generale, su tutta l’azione politica e amministrativa del Governo.Ma della lezione di Vanoni merita di essere ricordata la sua impostazione sul sistema di accertamento. Riteneva infatti che occorreva rompere definitivamente il circolo vizioso delle dichiarazioni infedeli presentate dai contribuenti per difendersi dalle rettifiche arbitrarie degli uffici fiscali e per ottenere ciò era lo Stato e non il contribuente che doveva dare per primo una prova di fiducia:”Tutto dovrà essere fatto” egli affermava alla Camera dei Deputati il 21 ottobre 1948 “ per stabilire una linea di fiducia tra contribuenti e fisco e io sono disposto a suggerire di correre il rischio di credere alle dichiarazioni dei contribuenti fino a che non è possibile dimostrare che queste dichiarazioni sono false”.Forse oggi è il momento di recuperare quel clima di fiducia tra fisco e contribuente indicato da Vanoni se vogliamo superare una fase difficile che rischia di peggiorare se non si interviene urgentemente con misure adeguate, positive non coercitive.————————-Ezio Vanoni, discorsi parlamentari, Senato della Repubblica, 1978 voll. 1° e II, Presentazione di Amintore Fanfani, a cura di Antonino Tramontana |