Uscire dall’ euro? Non scherziamo con il fuoco.!
Nei giorni scorsi autorevoli economisti hanno propugnato la uscita dall’euro e dalla relative gabbia monetaria per recuperare competitività con il meccanismo delle svalutazioni competitive. Agli economisti purtroppo si sono aggiunti leader politici. Non é la stessa cosa perché si alimenta un facile sentimento anti europeo estremamente pericoloso per il presente e per il futuro.
L’euro si difende a Roma più che a Berlino, innanzitutto abbattendo la montagna del debito pubblico con autentiche e serie dismissioni del patrimonio immobiliare e mobiliare, non con le partite di giro come la recente operazione di cessione di fintecna simest e sace alla cassa depositi e prestiti. Con la riduzione dello stock di debito si riduce la spesa per interessi crescenti e si liberano risorse per investimenti e per la crescita.
Invece di creare una new company, perché non si arriva a quotare direttamente Cassa Depositi e Prestiti con tutto il suo valore e vediamo il giudizio dei mercati e degli investitori su un veicolo che allo stato é utile solo a aggirare il vincolo di bilancio e il perimetro della Pubblica Amministrazione?.
Non si può parlare con disinvoltura di operazioni costose sul piano politico e sociale. Si deve sapere fin d’ora che l’uscita dall’euro porterà morti e feriti. I morti saranno i percettori di redditi fissi, quindi stipendi e pensioni, le stesse vittime del change over lira-euro. I beneficiari saranno gli esportatori di capitali e I percettori di reddito autonomo, quelli che potranno con facilità scaricare gli oneri del concambio sul sistema generale dei prezzi.
Gli economisti che indicano il ritorno alla lira avrebbero dovuto manifestare i loro rilievi non ora, ma in tutte le fase della costruzione dell’euro che va dalla firma dei Trattati di Maastricht del 1992 al 1 gennaio 2002, giorno di entrata in vigore della moneta europea, passando per le tre fasi dell’ IME e della BCE.
Non dimentichiamo, poi, che tra la seconda e la terza fase, nel 1998 per intenderci, nasce il governo D’Alema che, con il ruolo decisivo di Francesco Cossiga, doveva offrire garanzie in politica estera sia verso gli Stati Uniti nelle missioni militari nei Blacani che verso l’Europa, nel momento della fondamentale definizione dei concambi.
Solo Antonio Martino, dobbiamo riconoscerlo, invitò il governatore della Banca d’0Italia a non distruggere le matrici della lira.
Oggi é troppo tardi per tornare indietro.
Si tratta innanzitutto di non rinunciare alla politica, evitando di affidare ai tecnocrati un potere che appartiene al popolo e ai suoi rappresentanti. I problemi europei non si risolvono con gli automatismi tedeschi.
Invece di alimentare un pericoloso sentimento antieuropeo i leader politici italiani attivino ogni iniziativa per sollecitare un urgente confronto all’interno della grande famiglia europea del PPE per affrontare in sede politica i problemi del futuro dell’Europa. Finora non abbiamo visto riunioni straordinarie e neppure la minima sollecitazione in tale senso. É solo quella del PPE la sede natuale per costringere Angela Merkel a ragionare sul futuro dell’Europa in termini di coesione e di solidarietà. La soluzione dei problemi non potrà arrivare né dal vertice a quattro di Villa Madama, nè un prossimo vertice bilaterale Francia – Germania, né dal Consiglio Europeo di fine giugno, perché in quella sede prevarranno gli egoismi degli Stati piuttosto che la rappresentazione dei popoli e dei cittadini.
Ritrovare il momento del confronto nel PPE per recuperare una rotta della grande tradizione democristiana significa riaffondare le radici nel solco della politica dell’Europa comunitaria piuttosto sul predominio germanico.
Non c’è molta differenza tra gli automatismi tedeschi e le pagelle delle agenzie di rating.
Roma 24 giugno 2012