FILIPPO MARIA PANDOLFI
La figura e l’opera
Il Circolo “Verso l’Europa” sorto ad Arezzo per lungimirante iniziativa di Donato Palarchi più di quaranta anni fa, con l’intento di sensibilizzare soprattutto i giovani ad una cultura e a una politica europeista ha avuto il sostegno di molti amici e tra questi un posto tutto particolare lo occupa Filippo Maria Pandolfi, Presidente del Premio Europa: Camaldoli , La Verna terre aretine di spiritualità europea”. Per meglio comprendere la figura e l’opera di Filippo Maria Pandolfi pubblichiamo alcune riflessioni maturate in occasione di tale celebrazione il 1° dicembre 2012. Vuole essere solo una testimonianza parziale perchè la storia non sia cancellata.Filippo Pandolfi è entrato in parlamento nella V legislatura a 43 anni nel pieno della maturità professionale, non senza avere svolto, in precedenza importanti ruoli politici nella sua terra come segretario provinciale DC, partito al quale aveva aderito giovanissimo nel 1945. Aveva poi collaborato da vicino con Dossetti.Da deputato in commissione Finanze e Tesoro svolge un ruolo importante nella definizione e approvazione della delega relativa alla riforma tributaria, prima grande scelta di dare modernitá al sistema dei tributi, perequazione tra i contribuenti, semplificazione, efficienza, riduzione dei costi di gestione e adesione agli obblighi internazionali e comunitari in materia di IVA.Una riforma costruita sul dialogo governo – parlamento e non impostata in logiche di contrapposizione. Una riforma che si realizzava dopo lunghi lavori di due commissione di studio nel solco delle scelte vanoniane degli anni cinquanta.Dagli atti parlamentari emerge la figura di un protagonista di quelle scelte di politica tributaria in cui fa prevalere un linguaggio costruttivo. Pose grande attenzione all’ordinamento fiscale anglosassone sui controlli incrociati. Tenne sempre a riferimento i principi insito nell’art. 53 della Costituzione relativamente alla capacità contributive e alla progressività. Riteneva che il sistema tributario dovesse avere manovrabilitá anche a fini congiunturali e a fini di programmazione economica, che fosse equo e moderno nel rapporto tra imposte dirette e indirette, quindi tra tassazione del reddito e dei consumi, che non potesse essere trascurato, infine, il riassetto della finanza tra Stato e enti locali, allora fortemente centralizzato.Quell’impegno dará la svolta al suo futuro politico. Sará infatti chiamato nel IV e nel V governo Moro come sottosegretario alle Finanze, poi nei governi Andreotti della solidarietá Nazionale assumerá la responsabilitá della guida di dicasteri economici, alle Finanze prima, e al Tesoro che guiderà anche successive legislature nei Governi Cossiga I^ e Cossig II^. Con I Govern Forlani e Fanfani guiderà il Ministero dell’Industria; Con I Dicasteri Craxi I^,Craxi II^ Fanfani e Goria guiderà il Ministero della Agricoltura. Poi nel 1988 diventerà Commissario Europeo.Rileggendo i suoi interventi, le sue prese di posizione si ritrova una precisa linea politica, una visione liberal, puntuali riferimenti culturali, lo sguardo rivolto ai Paesi più evoluti e industrializzati, il perseguimento di obiettivi volti alla modernizzazione del Paese nel momento in cui la crisi e le contraddizioni avanzavano prepotentemente.V’è in molte circostanze la consapevolezza di avere visto per tempo sia la diagnosi sui mali del Paese che la terapia per affrontarli.In occasione del grande convegno economico che si tenne a Perugia nel 1972 venne chiamato a presiedere la commissione sui problemi congiunturali e le strutture monetarie e creditizie che con uomini della cultura e della professione accademica nonchè operatori politici ed economici come Nino Andreatta, relatore e Giordano Dell’Amore, Francesco Parrillo, Francesco Cesarini, Antonio Fazio, Francesco Mattei, affronterá i problemi della crisi attraverso nuove forme che garantiscano una maggiore libertá di movimento del tesoro, una valutazione del sistema creditizio come strumento di una politica di sviluppo, la struttura del finanziamento del sistema industriale, sperimentando strumenti nuovi, l’uso della leva fiscale per il finanziamento delle imprese, incentivi fiscali legati per favorire l’occupazione.E’ in quella sede che anticipa le linee guida della future riforma della contabilità che si concretizzerà con la legge 468 del 1978, quando Pandolfi diventerá ministro delle Finanze prima e del Tesoro poi, affidando alla legge annuale di finanza, giá conosciuta in molti paesi europei più progrediti, lo strumento per consentire le variazioni mobili del sistema tributario come aliquote, quote esenti detrazioni, che si renderanno necessarie e renderle compatibili con la politica economica.Aveva la consapevolezza che l’inefficienza delle tecniche prescelte porta a dilazionare oltre ogni limite ragionevole l’attuazione del provvedimento adottato.V’era un richiamo a superare lo stato arcaico, guardando ad uno stato che proprio per rispondere alle accresciute responsabilitá gestionali si rinnova nei metodi, negli strumenti, nell’organizzazione.Per Pandolfi il ” sistema tributario è chiamato a fornire nuovi e più aggiornati metodi di intervento incentivante nel quadro del programma economico , attraverso la trasformazione delle esenzioni, agevolazioni e regimi sostitutivi aventi carattere agevolativo, in contributi anche sotto forma di buono d’imposta, in incentivi fiscali cioè contabilizzabili e manovrabili”. Aveva l’ambizione di introdurre nell’apparato tributario l’efficienza e la preparazione professionale. Mai dimenticato il suo progetto di potenziare la Scuola Centrale Tributaria “Ezio Vanoni” dotandola di un ampio convitto e di insegnanti tra i più prestigiosi, sul modello della Scuola della pubblica Amministrazione francese. “L’ampiezza delle riforme da studiare trova un limite soltanto nella compatibilità con i principi generali che disciplinano la Pubblica Amministrazione”.Quando il 19 novembre 1981 si confronta con Napoleone Colajanni Roberto Mazzotta, Piero Bassetti, Luigi Spaventa e Guido Carli ricordò come Perugia rappresentò una risposta razionale verso l’aprossimazione con l’ingresso in politica di una giovane generazione di studiosi e accademici immessi nelle responsabilitá politiche con una comunicazione forte tra questi mondi. Ricordò in quella sede come nel primo lungo incontro con Carli, il governatore della Banca d’Italia gli disse come ammonimento : ” si ricordi il vero nemico è il populismo”.Ma v’ è un punto che merita di essere sottolineato. ” il maggior probema con cui noi ci confrontiamo, perchè il Welfare, anche se oggi è un problema di tutti i paesi inustrializzati, è un gravissimo problema nostro, in quanto sul piano macro-economico la crisi dello stato sociale produce i fenomeni di finanza pubblica, i trasferimenti alle famiglie, il sistema di sicurezza sociale con tutti i suoi costi e per di più con questa forbice tra costi crescenti e e benefici decrescenti”.Richiamava inoltre l’altro problema legato alla politica dell’offerta e alle difficoltá e strozzature del sistema industriale.Ma v’è un punto che merita di essere sottolienato per le implicazioni politiche che ne sono derivate.Come Ministro del Tesoro nel 1978 presenta, insieme alla prima legge finanziaria, il piano triennale per dare una logica programmatoria alla azione di governo.Come convinto europeista è protagonista in quell momento della trattativa per la adesione dell’Italia al sistema monetario europeo, che diviene questione di scontro tra DC e Pci e che porta alla fine della esperienza della solidarietá nazionale. Non fu una decisione improvvisa della DC alla ricerca della rottura politica con una motivazione europea piuttosto che il ricorso a ragioni di politica interna. Pandolfi nella esposizione economico-finanziaria del 10 ottobre 1978 illustra il piano triennale che nel titolo indica una scelta chiara.“Una proposta per lo sviluppo , una scelta per l’Europa”. Una economia quella italiana che si trova ad avere da anni un corso deludente: insoddisfacente il tasso di crescita, alto saggio di inflazione, elevati i costi sociali soprattutto in termini di disoccupazione e di squilibri territoriali. L’obiettivo era promuovere azioni per una crescita stabile con una economia di sviluppo. Due linee era in contrapposizione: quella del “sussultorio declino” come era stato definite, ovvero la stabilità nella crescita.Ma su un punto Pandolfi è chiaro. “La proposta di politica economica del Governo associa agli obiettivi di sviluppo nella stabilità l’opzione per l’Europa, chiarendo l’intesa di Brema con l’istituzione di un nuovo sistema monetario europeo e provvedimenti complementari necessari a sostenere le economie meno prospere”. Il nuovo sistema dovrebbe essere in grado di assicurare una difesa più efficace della nostra moneta dagli attacchi speculativi limitando le spinte inflazionistiche che nascono da ingiustificati deprezzamenti del tasso di cambio. Pandolfi non nasconde “le rigidità addizionali nell’uso della leva monetaria e di bilancio”. Per Pandolfi era “necessario racchiudere tutte le monete comunitarie per non accentuare le divergenze di andamento delle rispettive economie; non isolarsi, né contrapporsi nel contesto del sistema monetario internazionale rispetto ad altre aree valutarie; distribuire nel caso di deviazione degli andamenti di cambio una equilibrata distribuzione degli oneri di aggiustamento tra paesi in disavanzo esterno e paesi in avanzo; mantenere un adeguato grado di flessibilità anche in relazione all’ampiezza dei margini di fluttuazione consentiti; essere sorretto da accordi sufficientemente ampi in vista della creazione di un vero e proprio Fondo Monetario Europeo”. Per Pandolfi era indispensabile che la “nostra economia si avviasse su un diverso sentiero, perché altrimenti non basteranno elementi di flessibilità ad assicurare la possibilità di permanere nel nuovo sistema”Era un percorso chiaro, realista, senza ambiguità come era nella visione pragmatica di Pandolfi. Una visione europeista nel segno di un cammino comune nella solidarietà piuttosto che nell’egoismo.Dopo il vertice di Bruxelles, la Camera dei deputati vota una mozione di indirizzo. Prevalse una posizione europeista con il Pci che vota contro la mozione della maggioranza. Va tuttavia ricordato che nel vertice di Bruxelles Francia e Germania come paesi forti sostennero la via dei cambi fissi accordando all’Italia solo un maggiore margine di oscillazione dl 2,5 al 6 per cento, senza quella gradualitá che veniva auspicata dalle forze politiche e sindacali di sinistra ritenendo che il prezzo più alto sarebbe stato pagato dal mondo del lavoro.Naturalmente la ricostruione da parte di esponenti dell’allora PCI è ancora oggi diversa. Interessante è questo stralcio di intervista di Luciano Barca recentemente scomparso che ha ricostruito alcuni passaggi di quella vicenda per il quale è un falso che il PCI abbia rotto con il governo di solidarietà nazionale, Andreotti, sulla questione dello Sme. Una prima rottura nei rapporti di maggioranza e in Parlamento era già avvenuta sulla questione delle nomine negli Enti e quando intervenne il voto sullo Sme la crisi era di fatto già aperta sul cosiddetto “Piano triennale” messo a punto da Pandolfi.Purtroppo l’idea del piano triennale era proprio partita da noi – dice Barca – che avevamo raccolto una proposta di Luigi Spaventa (a Pandolfi l’avevamo presentata Spaventa ed io) tesa a coprire il vuoto programmatico del governo di solidarietà. Superata con strascichi pesanti la vicenda conclusasi con l’assassinio di Moro – l’unico leader DC portatore di una strategia – il governo Andreotti si era ridotto a una gestione dell’ora per ora senza un progetto, senza scelte di medio periodo. E Spaventa propose di aprire un dibattito su queste scelte. Pandolfi ne parlò alla Segreteria Dc e ad Andreotti e fu incaricato di redigere una bozza sulla quale aprire un confronto. Il guaio è che quando andiamo al primo incontro di tutti i partiti della solidarietà nazionale, il 24 ottobre, Pandolfi ci presenta un testo che già nelle prime righe è per noi inaccettabile, perché prevede come scelta primaria la riduzione del salario orario. Il confronto divenne immediatamente duro e di contrapposizione e inutili furono i tentativi di mediazione operati con me e con il socialista Signorile da Ferrari Aggradi. Inutile fu anche la mia proposta, concordata con Berlinguer , Chiaromonte e Napolitano, di sostituire la riduzione del salario orario con “ la riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto.” Pandolfi rifiutò ogni modifica ed in privato mi disse che questa era la posizione dettatagli dalla segreteria democristiana. Berlinguer a questo punto mi incaricò di pronunciare un discorso in Aula , dove era in corso il dibattito sul bilancio, di dura critica alla politica economica del governo. Il discorso fu giudicato dal gruppo DC ( anche questo è agli atti della seduta della Camera) un discorso di opposizione.E’ in questa situazione di pre crisi che arriva in Parlamento il voto di adesione allo SME sul quale il governo ed in particolare Pandolfi avevano , anche per merito di Baffi, mantenuto una posizione prudente che avevamo apprezzato. Ne fa fede il documento della Direzione del PCI il quale afferma che l’Italia può aderire all’accordo monetario “sulla base delle condizioni già esposte dal Ministro del Tesoro in Parlamento, e di precise garanzie, non tanto per la pur necessaria flessibilità della manovra monetaria, quanto per la modifica della politica agricola comunitaria e per il coordinamento tra le politiche economiche dei Paesi membri”.Il 12 dicembre, senza che nulla ci venga prima comunicato da Andreotti, si va al voto alla Camera su una mozione che prevede l’ingresso immediato e pieno.Napolitano motiva con grande chiarezza che il nostro voto non è un voto contro l’Europa, ma un voto per impedire che l’Europa nasca male, e che si vada incontro a svalutazioni, crisi, uscite drammatiche dallo Sme.Ho letto in diversi saggi, anche in una ricostruzione storica di Castronovo, che il voto contro lo Sme suonò come una conferma dell’immaturità del Pci sul terreno di una politica estera e del rapporto con l’occidente. Nulla di più falso. Basta ricostruire i fatti anche solo consultando le carte parlamentari; nel mio archivio presso la Fondazione Feltrinelli ci sono d’altra parte, anche se per ora da me secretate, alcune lettere di Baffi .La lettera di Andreotti (lettera di Roy Jenkins del 15 ottobre ndr) che fece pervenire a Barca merita una qualche riflessione, perché incrina l’ipotesi che fu fatta, che Andreotti, di fronte al maturare della crisi della solidarietà nazionale, abbia preferito rompere sull’Europa, facendoci passare per antieuropeisti, piuttosto che su nodi interni non risolti: nomine, lottizzazione, piano triennale, occupazione.Sul piano dell’ impegno politico meritano di essere ricordati due grandi eventi: il suo ruolo nel grande convegno economico di Perugia di cui abbiamo accennato e la sua partecipazione alla Assemblea degli esterni della dc nel 1981.In questo consesso ribadisce la criticitá del modello di partito chiuso dalla logica delle correnti con il passaggio al ” feticcio proporzionalistico” introdotto nel 1964, con la reviviscenza del principio cujus regio ejus religio”. Poneva il problema di introdurre regole elettorali capaci di modificare la logica delle correnti e le nuoce forme di adesioni al partito.Rivolse la sua attenzione ai temi economici e sociali, “essendo venuto meno il riparo totalizzante della dottrina sociale della Chiesa.” ” Il ritmo dello sviluppo odierno non consente di ottenere quanto si è realizzato in passato. Si sono ristretti i margini. La caduta della produttivitá che caratterizza la presente fase storica successiva al Welfare State impone di motivare in modo nuovo l’attivitá umana nella produzione della ricchezza.Respingendo la illusione di poter risolvere la crisi con l’introduzione di nuove dosi di localismo la DC deve ricollegarsi alla sua funzione originaria per dare una risposta adeguata alle nuove generazioni, come oggi impone la logica dello Stato Sociale, a sottrarre quote crescenti di ricchezza”.V’era in quelle riflessioni una visione prospettica anticipatrice della crisi che coinvolge il sistema produttivo e la intera societá italiana.Pandolfi Ministro dell’Industria nel luglio del 1981 presenta il terzo Piano energetico Nazionale dopo gli effetti del secondo shock petrolifero, aggiornando I tentativi precedenti di Donat Cattin negli anni settanta, per ridurre la dipendenza dal petrolio, diversificando le fonti energetiche con un incremento dell’uso del carbone con le più moderne tecnologie antinquinanti, un certo peso di gas naturale per gli accordi con Algeria e Unione Sovietica e un peso del nucleare limitato e controllato a 6 centrali.Pandolfi utilizza il metodo del dialogo e del coinvolgimento delle popolazioni locali e degli aiuti incentivanti per chi sopporta il peso e i costi delle localizzazioni.Come Ministro dell’Agricoltura, ultima esperienza governativa prima di approdare come Commissario Europeo a Bruxelles, fu protagonista del negoziato sulle quote latte. Purtroppo le assegnazioni delle quote furono fatte sulla base di dati statistici Istat riferiti al 1983 sbagliati, per difetto che penalizzarono fortemente il settore italiano su una vicenda che si è trascinata con asprezza per tantissimo tempo e seppure mitigate negli anni successive da un incremento della quota rappresentò una questione divisive per l’intera agricoltura italiana.Nel 1988 Pandolfi si dimise dalla Camera dei Deputati, lasciando il seggio parlamentare dopo venti anni, per approdare, lui, in Europa come Commissario Europeo per la Scienza, la Ricerca, lo sviluppo, le telecomunicaioni e l’innovazione e la tecnologia della informazione. Divenne anche Vicepresidente della Commissione Europea. Concluse a Bruxelles, come europeista convinto, la sua carriera.Roma, 20 novembre 2012 BibliografiaI problemi dell’economia italiana superamento della crisi e nuove prospettive di svilupo sociale Edizioni cinque lune vol. 2, 1973 RomaAttualità delle Idee di Perugia n. 9 Edizioni cinque lune, 1983 RomaAssemblea Nazionale DC Per una società nuova un grande partito di Popolo, vol. 2, 1983Atti parlamentari, Camera dei Deputati V^ leg. Resoconto Stenografico, Esposizione Economico-finanziaria seduta 10 ottobre 1978Atti Parlamentari, Camera dei Deputati V^ leg., Resoconto Stenografico seduta 22 giugno 1970www.eticaeconomia.it, Il PCI e l’Europa, Intervista al Sen. Luciano Barca, 2004 |