Le fondazioni scoprono l’equo valore

Le fondazioni scoprono l’equo valore

Nel grande silenzio degli organi di informazione si sta giocando la partita del ” cuore” tra Governo e Fondazioni di origine bancaria sul valore da attribuire alla partecipazione nel capitale di Cassa Depositi e Prestiti, oggi, nel rapporto 70 a 30.

Le valutazioni tra compratore e venditore variano da un minimo di 1 miliardo di euro ad un massimo di 5 miliardi di euro. Sono stati espressi pareri che lasciano pochi dubbi. La stessa Corte dei Conti ha assunto una posizione chiara. V’è il rischio di un possibile danno erariale. Di fronte ad un simile scenario le fondazioni di origine bancaria partecipanti cal capitale di cassa depositi e prestiti, hanno rapidamente dimenticato l’autonomia degli statuti e hanno avanzato l’idea di fissare con legge il valore della partecipazione che non solo ha portato in questi anni ad utili considerevoli anche nel periodo delle vacche magre della crisi del sistema bancario, ma anche ad un ingrossamento della holding con progressive partecipazioni nel sistema finanziario del Paese in virtù non di decisioni di mercato, ma di decisioni politiche.

Una rivendicazione di autonomia a giorni alterni. Naturalmente per potere realizzare il disegno hanno bisogno del veicolo parlamentare sotto forma di emendamento al decreto cosiddetto sviluppo, che sembrerebbe più di consolidamento delle posizioni.

Ora per pagare al minimo il valore del riscatto azionario alla scadenza prefissata hanno inventato il “valore equo” che varrebbe per le Fondazioni ma non per il cittadino nei bisogni quotidiani come: equo mutuo, equa commissione bancaria, equo prestito, equo canone, equo margine nel commercio, equo derivato, equo prodotto agricolo, equo pane, equo servizio delle multiutility di acqua, gas, energia elettrica. La lista della equitá potrebbe essere infinita.

C’è un pericolo latente: la scadenza elettorale con un governo tecnico che potrebbe essere tentato dai regali di stato come quelli del biennio 1993. Non dimentichiamo per esempio la vicenda della telefonia e dei metodi di assegnazione della licenza.

Un governo forte della sua tecnicitá di fronte al possibile ricatto della richiesta di liquidazione e di uscita per non pagare troppo il valore del riscatto non dovrebbe avere dubbi: liquidare il socio al 30 per cento, cercare nuovi soci o mettere sul mercato, parti rilevanti del capitale di cassa depositi e prestiti. Sarebbe un segnale forte ai mercati finanziari rispetto al grado di apertura della nosta economia. Eviterebbe di passare alla storia come il governo dei banchieri. In alternativa acquisire il totale controllo della holding che sarebbe tutto in mano pubblica e fare scelte di politiche industriali per promuovere sviluppo e occupazione. È essenziale avere idee chiare.

Naturalmente dietro questa operazione di miliardi di euro si realizzerá un connubio elettorale tra poteri anzi del potere, quello che nel vuoto politico completa le posizioni, le ridefinisce affinché dopo il 10 marzo non vi siano nè dubbi nè incertezze sul valore equo.

La partita si giocherá in questa fase. Difficilmente ci saranno i tempi supplementari.

Roma, 27 novembre 2012

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Social media & sharing icons powered by UltimatelySocial