Per lo sviluppo dell’Italia a partire dal Mezzogiorno
Napoli Hotel Royal 12 – 13 marzo 2013
Intervento Sen. Maurizio Eufemi
La ubriacatura dei bocconiani è finita il 25 febbraio. È finita anche una idea di austeritá c’è porta alla recessione. La soluzione non può essere una decrescita felice(?) che porta alla miseria, già conosciuta dalle generazioni del dopoguerra.
Il Mezzogiorno è scomparso dall’agenda politica, ma non i suoi problemi che investono l’intero Paese. Di fronte alla crisi prevalgono interessi egoistici piuttosto che una solidarietà diffusa.
Il debito pubblico è conseguenza di politiche assistenzialistiche universalistiche che hanno accentuato la ricchezza privata dei rentiers. Solo il 18 per cento della ricchezza finanziaria appartiene al Sud. Mentre il 63 per cento appartiene al Nord. Una quota rilevante del costo del debito pubblico ritorna alle famiglie del nord generando flussi aggiuntivi di reddito. Calcolando la media annuale dei BTP del 4,12 per cento nel quadriennio 2009-2012 de deriva che oltre 4,5 md di interesse rappresentano un flusso diretto dello Stato italiano al Nord ( un terzo di punto di PIL).
Il problema è che il Mezzogiorno oggi, più che in passato, soffre il problema del credito. E’ evidente la sottobancarizzazione del Mezzogiorno dove non c’è una filiale di banca estera. IL numero delle società quotate è di 12 su 272, perfino inferiore al numero di 13 del 1955. La crisi del credito è evidenziata dai finanziamenti, dalle sofferenze dell’industria e delle famiglie, dai divari dei tassi di interesse attivi e dalla minore remunerazione con tassi di interesse passivi interiori al resto del Paese. E come se il valore dell’euro fosse diverso tra le aree del Paese. Il merito di credito standardizzato finisce per penalizzare il Mezzogiorno e le sue aziende più competitive.
La Banca del Mezzogiorno con i suoi 250 sportelli appare inadeguata rispetto agli oltre 13 mila sportelli postali. Il volume degli impieghi è marginale rispetto a banche come Banca Sella o Banca delle Marche che con numero di sporlelli della stessa dimensione sviluppano rispettivamene impieghi per 8 miliardi e 17 miliardi.
Il quadro negativo del sistema bancario meridionale è completato dal peso insignificante delle Fondazioni bancarie che non garantisce il Welfare di comunità, assicurato dai corpi intermedi, tale da compensare l’arretramento del Welfare pubblico, con la compressione della spesa sociale.
La Fondazione con il Sud appare più una operazione filantropica, una granello di sabbia nel deserto, limitata nella azione e nei settori di intervento che non uno strumento operativo valido per attivare azioni rilevanti. Le fondazioni del Mezzogiorno pesano per il 4,9 per cento dell’intero sistema. La riforma delle Fondazioni di origine bancaria non deve riguardare solo il legame con la politica, ma anche riparametrare le erogazioni sia rispetto alla raccolta bancaria sia rispetto ai clienti.
L’uscita dalla crisi non può prescindere da una riprogrammazione dello sviluppo, dalla rivisitazione del sistema bancario, dalla presenza e dal ruolo di una banca pubblica. Forse occorre ripensare le lungimiranti idee di Vanoni, di La Malfa e di Saraceno.
Roma, 13 marzo 2013