Perché Camaldoli 2013

Perché Camaldoli 2013

(nota di Bartolomeo Ciccardini)

Tutti ci domandavamo se l’esistenza del Governo delle larghe intese avrebbe fatto esplodere la crisi del Partito Democratico così come Berlusconi si augurava. La notizia vera è questa: l’esistenza del Governo delle grandi intese ha fatto implodere il PDL e la Lega. Invece il Partito Democratico ha resistito meglio alla siccità elettorale perché ha una sua struttura nel territorio, fa le primarie, ha ancora una rete e che è in definitiva, seppur in dimensioni ridotte, ancora un partito. Anzi, per dare a ciascuno il suo, è ancora l’unico partito che esiste, che ha dei punti di riferimento nel territorio, che produce una classe dirigente locale, che governa le amministrazioni. Il prezzo pagato però è pesante: la preoccupante fuga dalla cabina elettorale. Sembra essere una corsa all’indietro a chi riesce a perdere meno voti.

Questa constatazione ci porta ad una domanda fondamentale: la crisi della democrazia si risolve con la scomparsa dei partiti?

Il presidenzialismo: un’occasione mancata

E veniamo all’argomento principale: la crisi della democrazia italiana.

È evidente che in Italia, anche in conseguenza di una forte crisi economica, è emersa una crisi della democrazia fondata sui partiti. Non a caso, è rinato per la forza che è nelle cose, il problema del “presidenzialismo”. Cosa è stato il presidenzialismo nel dibattito politico italiano?

È stato un tentativo culturale e politico di alleggerire la presenza dei partiti nella democrazia italiana.

La Resistenza e la Costituzione avevano messo al centro del processo politico i “partiti ideologici” e la democrazia esisteva in quanto esisteva una pluralità dei partiti. La società italiana, liberatasi dal fascismo, non era improvvisamente diventata più democratica e più liberale. La struttura forte, ordinata dei partiti, le loro classi dirigenti, provate dalle esperienze del carcere e dell’esilio, la necessità di combattere la dittatura, perfino con le armi, aveva creato dei partiti forti, che per molti aspetti occupavano lo stesso spazio che nella società italiana occupava il Partito Nazionale Fascista.

La differenza fondamentale era la pluralità. E la pluralità garantiva la democrazia. Ma anche questa pluralità non aveva dato luogo ad una alternanza democratica.

Era la pluralità garantita dalla Democrazia Cristiana, che rendeva questo partito insostituibile al governo, garantendo al Partito Comunista di essere in qualche modo insostituibile all’opposizione.

La DC coltivava la pluralità  tenendo in piedi delle alleanze variabili con i partiti democratici, la cui presenza al governo variava secondo le mutazioni necessarie del dibattito politico.

Un sistema siffatto non poteva non generare una partitocrazia. La Costituzione materiale italiana si costruiva attorno a dei principi democratici che prevedevano una grossa influenza dei partiti sul sistema di governo e sul funzionamento della Costituzione. Se questo sistema venisse confrontato con l’esperienza democratica americana od inglese, apparirebbe la differenza: in America una società civile e molto articolata, molto ricca, dotata di autonomie e di contrappesi politici, si manifestava sì attraverso partiti che avevano una struttura debole e che influivano sul Governo del Paese soltanto indirettamente attraverso strumenti istituzionali.

Era chiaro che con l’andare del tempo, con l’attenuarsi della guerra fredda e della contrapposizione fra democrazie popolari e democrazie liberali, il sistema partitocratico avrebbe dovuto alleggerirsi attraverso una maggiore autonomia delle istituzioni dei partiti e attraverso l’adozione di formule presidenzialiste. Il presidenzialismo libera la forma di governo dalla pressione del partito che ha vinto, anche se ne limita il potere nel tempo di durata e nella contrapposizione dei poteri. Il presidenzialismo avrebbe potuto essere la soluzione alla inarrestabile crisi della partitocrazia. L’averlo adottato salvò la Francia. In Italia oggi si rimpiange il non averlo adottato. Ma forse è troppo tardi. Forse il presidenzialismo è soltanto un’occasione perduta.

L’antipolitica non è una soluzione

Questi pensieri ci propongono un’altra domanda: la crisi della forma governo connessa alla crisi economica porta ad una incapacità di decidere? Sentiamo ripetere da anni: “Ci vorrebbe una diversa legge elettorale; ci vorrebbe una diversa burocrazia; ci vorrebbero processi più rapidi; ci vorrebbe più concorrenza; ci vorrebbero servizi più efficienti” e si ha l’impressione che queste aspirazioni non arriveranno mai alla soluzione. Nascono allora formule di rabbia, di scontento e di frustrazione che danno luogo a movimenti di antipolitica che rifiutano di farsi partito. È stata così la Lega, è stato così il berlusconismo ed è così il Movimento 5 Stelle. Non sono stati fenomeni deprecabili, sono soltanto il risultato naturale di una situazione politica senza sbocchi.

La domanda seguente è questa: riusciranno i movimenti di protesta ad incanalarsi in un progetto politico o esploderanno?

Questa domanda è effettivamente tragica. Se i movimenti di antipolitica esploderanno avremo una soluzione necessariamente traumatica, molto probabilmente antidemocratica ed, in ogni caso, con gravi conseguenze per la vita sociale ed economica del Paese. Poi, come dopo ogni crisi e come dopo ogni guerra, si troverà una soluzione su equilibri nuovi. Se i movimenti di antipolitica non esploderanno, essi stessi potrebbero trasformarsi in partiti o in qualcosa di molto simile ai partiti, per rispondere alle necessità di cambiamento divenute questioni di vita o di morte della nostra società.

L’attuale regime è già una tirannia burocratica

Del resto a causa della debolezza dei poteri politici un potere forte ci sta prendendo alla gola. La tirannia burocratica ormai persegue famiglie ed imprese con nuovi ordini, nuovi balzelli, nuove angherie che non sono più controllate da un potere politico che doveva risponderne ai suoi elettori. La burocrazia, come diceva un vecchio inno cattolico, “vincit, regnat, imperat”.

È già di per sé una forma di Governo strutturata ed imponente, dotata di potere incontrollato, che prende decisioni oppressive ed ingiuste nei confronti dei cittadini.

Come a Camaldoli 70 anni fa

La domanda finale non può essere che una: c’è una strada per uscire da questa situazione?

Sì, c’è una strada. Se il Governo di larghe intese riuscisse a fare una legge elettorale basata sull’uninominale a doppio turno e se i sindaci (Renzi insegni), selezionati ed eletti da un congegno analogo si trasformassero in canale rappresentativo delle necessità popolari e tutto questo in pochissimi mesi, ci potremmo anche salvare.

In tutto questo processo si evidenzia la mancanza di una posizione trasversale equilibrata ma innovatrice, popolare e disciplinata, quale era il cattolicesimo politico. Se non si rifonda il cattolicesimo politico che si collochi fra l’antipolitica e la crisi dei partiti, difficilmente so troverà una soluzione. Ma l’attuale cattolicesimo politico che sovrabbonda di idee, di propositi morali, di esortazioni, di studi, di convegni e di seminari non trova l’organismo identitario capace di offrire una soluzione pratica. Un partito? Un movimento prepolitico? Un Comitato Civico distaccato dalla gerarchia? Una entità confessionale? Un semplice Comitato elettorale? Se non si farà qualcosa le parrocchie andranno ad infoltire l’astensionismo che è l’ultima forma dell’antipolitica.

Le Acli e l’Associazione dei Partigiani Cristiani invitano ad una riflessione nel giorno del settantesimo anniversario del Codice di Camaldoli. Allora il cattolicesimo politico acquistò non solo la consapevolezza della tragedia, ma la coscienza di porre fine al disastro e di ricominciare una via nuova. Settanta anni fa a Camaldoli.

Bartolo Ciccardini – 14 giugno 2013

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