LETTERA APERTA DELL’ON. GERARDO BIANCO SU RIFORMA DEL SENATO E DELLA LEGGE ELETTORALE
Caro/a Collega,
in un panorama piuttosto confuso ed agitato che riguarda, peraltro, il delicatissimo assetto del nostro sistema istituzionale, mi sembra “cosa buona e giusta” intervenire per dare il nostro contributo con osservazioni e suggerimenti, per evitare un definitivo “appannamento” della nostra Carta Costituzionale.
Sottopongo pertanto alla tua attenzione alcune considerazioni maturate nei nostri convegni e negli scambi di idee con numerosi colleghi sulle quali ti sarei grato se volessi farci pervenire un tuo argomentato commento.
All’ordine del giorno dell’agenda politica sono stati prioritariamente proposti i due delicatissimi temi della riforma del Senato e della legge elettorale.
È bene che soffi un vento nuovo e forte sulla vita politica italiana, ma è bene anche vigilare se esso sia orientato nella direzione giusta, e così non sembra con la prospettata riforma del Senato.
La questione del bicameralismo perfetto e della revisione del numero dei parlamentari si pose già al tempo dell’approvazione dell’ordinamento regionale. Un gruppo di deputati affrontò la questione presentando una puntuale proposta di legge (20 novembre 1975, nr. 4127), ma le condizioni politiche dell’epoca, di forti divisioni ideologiche, ma di grande cautela costituzionale non consentivano di esaminare e di approvare una così innovativa riforma.
La questione, benché rilevante, è rimasta irrisolta.
Il superamento del bicameralismo perfetto è un passaggio obbligato per dare efficienza al sistema istituzionale, ma non sarebbe affatto lungimirante procedere tout courtcon la soppressione del Senato e della sua funzione deliberante.
La ultra-decennale esperienza parlamentare dimostra come sia spesso necessario intervenire in corso d’opera per correggere errori della prima deliberazione o anche per accogliere ripensamenti dello stesso Governo, fatto tutt’altro che raro.
La strada da seguire è dunque un’altra, già indicata da eminenti costituzionalisti, ed è quella della differenziazione delle competenze e delle funzioni, con la possibilità di richiamo delle leggi da parte della Camera esclusa dalla prima lettura su richiesta di una maggioranza qualificata o dal Governo.
Sulla fiducia all’Esecutivo e su alcuni limitati atti legislativi o su materie di particolare rilevanza le Camere potrebbero deliberare insieme, come avviene per la elezione del Presidente della Repubblica e altre cariche elettive. È questo il modello del Parlamento procedurale che supererebbe i limiti del bicameralismo perfetto, senza annullare la possibilità del secondo esame correttivo.
Nella discussione politica in atto è stata prospettata l’ipotesi di un Senato formato da rappresentanti delle Autonomie locali, già eletti.
Non si comprende quali competenze e funzioni potrebbe avere un Senato così formato, squilibrato rispetto alla Camera eletta con votazione nazionale che non può che svolgersi sulla base di programmi riguardanti l’intero Paese.
Non mi sembra infondato prevedere contrasti, frustrazioni, rivendicazionismi localistici e continue polemiche antigovernative poiché questa Camera, (non più Senato) non potrebbe avere altro ruolo se non quello di provocare risonanze mediatiche. L’obiettivo sacrosanto di una revisione del costo della politica non sarebbe peraltro conseguito, mentre si ridurrebbe lo spessore della nostra democrazia.
È evidente che una soppressione del Senato o la sua trasformazione in Camera dei già eletti nelle amministrazioni locali, comporterebbe come conseguenza il mantenimento di un numero comunque alto dei Deputati (se non proprio l’attuale), con l’effetto di non rendere, come è auspicabile, più snello e penetrante il procedimento legislativo che si otterrebbe, appunto, con la riduzione dei componenti della Camera.
Per coniugare rappresentatività, efficienza, qualità legislativa e anche risparmio economico, senza indebolire l’assetto democratico, è necessario battere altre strade, che passano, appunto, per la differenziazione, e insieme per la parità istituzionale dei due rami del Parlamento, per il dimezzamento del numero dei Deputati e Senatori (315 e 130), per l’adozione di innovativi regolamenti parlamentari, cominciando a privilegiare il metodo redigente in commissione.
V’è, infine, un ulteriore aspetto che mi lascia perplesso e riguarda il prospetto dei tempi per come si accavallano, con paradossali conseguenze.
E’ indubbio che la riforma della legge elettorale sia una assoluta priorità, ma affrontarla subito significa intervenire anche sulla parte che riguarda il Senato.
Che cosa accadrà se, poniamo, tra la nuova legge approvata, e quindi in vigore, dovesse seguire la soppressione o trasformazione del Senato in Camera delle autonomie dei già eletti?
Sul sistema della legge elettorale si va sviluppando un dibattito inappropriato poiché ispirato da calcoli di parte.
Ciò accade perché la premessa del ragionamento è, a mio parere, sbagliata. Si cerca non la buona legge (e i modelli non mancano), ma quella che garantisca il bipolarismo che in Italia non c’è, e difficilmente ci sarà.
Si cerca in sostanza di creare una “camicia di forza” invece di elaborare una legge inclusiva che sia in grado di determinare il massimo di coinvolgimento (come è accaduto con il proporzionale che è stato il sistema elettorale che ha favorito il superamento dei partiti antisistema e quindi il rafforzamento democratico dell’Italia) con l’obiettivo di dare stabilità ai Governi.
Il mattarellum fu concepito con questo metro, dopo il referendum sulla legge elettorale proporzionale.
Seguirne l’ispirazione potrebbe essere un buon filo di Arianna per la necessaria riforma del porcellum, senza l’illusione di garantirsi per legge il bipolarismo che è in crisi perfino nella stessa Inghilterra. Basta leggere un po’ di bibliografia in proposito per rendersene conto!
La legislazione che regola la vita democratica si scrive sotto un “velo di ignoranza”, senza chiedersi: “a chi giova?”. È questo il metodo giusto per fare una buona legge elettorale.
Ed ora un personale auspicio: che non si imbocchi la strada fuorviante del presidenzialismo sul cui tema sarà comunque necessario ritornare ove dovesse profilarsi all’orizzonte con forme improprie o distorte (come il sindaco d’Italia), che di fatto alterano la Costituzione.
Scusatemi se l’ho fatta piuttosto lunga, ma era necessario ripercorrere i vari punti in esame, anche esprimendo la mia opinione, proprio perché tu li possa esaminare criticamente, facendoci pervenire al più presto le tue considerazioni.
Colgo l’occasione per rinnovarti con l’augurio per il nuovo anno il mio affettuoso saluto.
Gerardo Bianco