Fanfani e Renzi storie toscane e forzati parallelismi
Molti frequentatori di piazze televisive, soprattutto di estrazione di sinistra, si sono avventurati nel paragonare il successo elettorale di Matteo Renzi alle elezioni europee del 25 maggio con quello di Amintore Fanfani del 1958.
È un confronto improprio su diversi aspetti.
Sul piano del risultato elettorale accostare le percentuali significa non leggere bene i numeri. Fanfani nel 1958 ottenne 12,5 milioni di voti con il 42,5 per cento dei voti che rappresentavano il 93,83 dei votanti che furono 30.434 milioni. La percentuale raggiunta da Renzi è del 40,81 corrispondente a 11.172.861 voti assoluti, ma con una percentuale di partecipazione al voto del 57,2 per cento!.
Quel valore del 40,81 è dunque gonfiato dalla massa degli astenuti.
Forse l’unica analogia rispetto a quanto scrive oggi Antonio Polito sul Corriere è il rinnovamento della classe dirigente che Fanfani da segretario politico della Democrazia Cristiana operò con le elezioni politiche del 1958. I deputati democristiani eletti per la prima volta a Montecitorio nel 1958 furono ben 94 su 273 con un tasso di rinnovamento del 34,43. Quel dato fu però inferiore a quello del Pci che rinnovo il gruppo parlamentare alla camera del 40,71 che corrispondevano a 57 deputati sui 140 dell’intero gruppo.
Fanfani veniva da un decennio di responsabilitá governative prima, nei dicasteri De Gasperi ai dicasteri del lavoro nel IV e V D e Gasperi e dell’agricoltura nel Vii De Gasperi , agli interni nell’ VIII De Gasperi e di segretario della DC per un quinquennio. Realizzò quello straordinario piano casa con la costruzione di 300 mila alloggi di edilizia residenziale pubblica ancora visibile nelle cittá italiane. Poi divenne segretario della DC nel 1954, carica che tenne fino al 1959, quando logorato dai franchi tiratori, si arrivò all’epilogo della Domus Mariae e l’avvento della segreteria di Aldo Moro.
Non è neppure il caso di ricordare quel formidabile apporto culturale prodotto con testo in contrapposizione alle tesi di Max Weber, che fu ” cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo” oppure la magistrale storia economica.
Matteo Renzi ha rappresentato una rottura ideologica all’interno del PD e il suo coraggio è stato premiato dall’elettorato. Ma evitiamo accostamenti impropri.
A meno che non si voglia anche accostare la Leopolda al Codice di Camaldoli.
Ad oggi è soltanto la provenienza dalla regione Toscana che li unisce.
Solo il tempo potrá consentire di esprimere un sereno giudizio e tracciare un bilancio politico di quanto realizzerá.
Roma, 27 maggio 2014