Seminario fiorentino sulla riforma costituzionale:

Seminario fiorentino sulla riforma costituzionale:

Le Regioni dalla Costituente al nuovo Senato della Repubblica

Per iniziativa delle Associazioni ex parlamentari della Repubblica ed ex consiglieri regionali, in collaborazione con la Fondazione del Consiglio Regionale della Toscana si è svolto a Firenze il convegno sulle “Regioni dalla Costituente al nuovo Senato della Repubblica”. Si è tenuto in una giornata infelice per le difficoltá dei trasporti e delle manifestazioni a sostegno dello sciopero sociale. Ha comunque avuto successo con una larghissima partecipazione.

È stata una importante occasione di verifica sullo stato della Riforma costituzionale Renzi-Boschi che ha ripreso l’esame alla Camera, dopo una iniziale accelerazione al Senato e una altrettanto rapida frenata.

Dobbiamo essere grati ai promotori di questo evento, in particolare all’amico Sergio Pezzati, che hanno saputo coinvolgere insigni giuristi relatori di interessanti e meditate riflessioni. I corpi intermedi, quei corpi sotto attacco politico, in ragione di una verticalitá che non vuole tenere conto della orizzontalitá del Paese – per ricordare le parole di Giuseppe De Rita – hanno voluto tenuto vivo il dibattito su una questione come la riforma costituzionale, marginalizzata dai media nazionali.

Gerardo Bianco ha svolto una prolusione introduttiva ricordando che non vi siano riserve al cambiamento, ma come il passaggio dal bicameralismo paritario a uno differenziato avviene con un intervento complessivo senza chiarezza sui principi. il testo approvato dal Senato è peggiorato rispetto alla idea originaria. Il compromesso raggiunto fa smarrire il filo logico di partenza. Evidenzia le contraddizioni sul principio di rappresentanza, sulla struttura normativa dell’articolo 70 relativo al procedimento legislativo, sulle evidenti lacune nel raccordo tra le due Camere, sulle garanzie costituzionali e sul ruolo di supplenza del Capo dello Stato.

Il Professor Ugo De Siervo, con grande chiarezza e luciditá ha ricostruito le vicende storiche del regionalismo, una storia difficile per la storia nazionale che muoveva dalla rifiutata idea giacobina accentratrice, passando per l’unificazione di 7 Stati sovrani, poi per lo Stato liberale, per il regime fascista fino alla Costituzione repubblicana.

Cita il pensiero di Sturzo per il quale “il passaggio dalla idea al fatto è sempre penoso”. Lo statuto autonomistico siciliano viene introdotto prima della Costituzione del 1948. Sulle Regioni vi fu un dibattito durissimo e lunghissimo che va dal giugno 1946 all’autunno 1947 per discutere sui poteri legislativi delle Regioni e che porterá Livio Paladin a considerare “la pagina bianca della legislazione regionale”. Le Regioni nascono nel 1970 in una fase economica diversa dal 1948, che vede la presenza affermata dello Stato Sociale, delle Partecipazioni Statali e dell’Intervento Straordinario nel Mezzogiorno, prevalendo dunque una cultura nazionale. Su processo di trasferimento delle funzioni si registra una chiusura delle burocrazie sia nel 1972, che nel 1976 come pure nel 1994. Ricorda tuttavia come negli anni settanta vi furono momenti di grande impegno soprattutto quando furono emanati gli statuti regionali. Il Titolo V va in crisi perchè non vengono realizzate le leggi cornice. Poi interverrá anche la decadenza della classe politica.

Sul fenomeno del degrado intervengono altri fattori come la crisi finanziaria, le trasformazioni continue che erodono l’autonomia dei territori, come nei Trasporti, riducendo la separatezza con influenza sugli enti territoriali e, infine, l’invecchiamento delle politiche istituzionali. Per De Siervo nel Senato delle autonomie territoriali non c’è nulla di eversivo. Cita, infine, Giuseppe Dossetti sostenitore della eliminazione del bicameralismo paritario.

Per Giovanni Tarli Barbieri v’è un massiccio ritorno alla legislazione statale con lo strumento dei decreti taglia spesa. È l’eutanasia della legislazione regionale. Illustra la evoluzione della struttura dei gruppi regionali, la formazione di maggioranze asimmetriche sui provvedimenti, i massicci interventi amministrativi, l’addensamento dei controlli sul consiglio anzichè sul Presidente, la definizione di modelli spuri sulla legislazione elettorale regionale, gli effetti della legge Severino, con ben 87 casi, sulla sospensione delle funzioni in conseguenza di procedimenti penali.

Paolo Caretti ha affrontato il quadro delle competenze normative nella evoluzione del titolo V con il nuovo monopolio legislativo del Parlamento Nazionale e gli interventi della Corte Costituzionale rispetto alla conflittualitá. Si voleva ritoccare il titolo V per semplificare i rapporti e si finisce per depennare la materia concorrente. Si interviene su 19 gruppi di materie esclusive e 45 materie. V’è una sovrapposizione di cose diverse. Torna l’interesse nazionale con la clausola di garanzia. Aumenterá il conflitto alla Corte Costituzionale. È dunque un passo indietro.

Per Antonio Brancasi che ha illustrato il tema dell’autonomia finanziaria regionale, l’autonomia va intesa come non dipendenza finanziaria. Si può essere autonomi anche in presenza di finanza derivata purchè vi sia impiego di parametri oggettivi.

Come si può vedere i temi sono di grande attualità e hanno suscitato immediato interesse. Avevo il timore di trovare un clima di maggiore consenso e favore sulla riforma. I timori sono stati fugati dalla libertá di pensiero e di analisi riscontrate negli interventi. Evidentemente ci sono filoni culturali che non trovano spazio ed evidenza mediatica.

Non ho potuto fare a meno di intervenire su molte questioni.

Nonostante le profonde modifiche intervenute sul testo originario che hanno eliminato non poche incongruenze giá evidenziate nella audizione di ieri al Senato, su un testo che è stato praticamente riscritto, altrettante restano ancora sul tavolo.

Per stare al tema principale ritengo che sia stato compiuto un grave errore di metodo quello di avere tenuto tutto insieme. Lo stesso errore che è stato compiuto con la devolution di Calderoli poi bocciata dal referendum confermativo. Si è puntato sul binomio bicameralismo- titolo V piuttosto che correggere il solo titolo V su cui si poteva trovare un più ampio e facile consenso. Così tutto è diventato più complicato perchè non si vede più un modello di riferimento. Da un lato abbiamo un Senato svuotato nelle funzioni e dall’altro il tentativo di fare il luogo della rappresentanza delle autonomie ma che per pudore evita di chiamarlo tale.

Si è voluto cancellare il Senato come camera politica piuttosto che ridurre il numero dei componenti di entrambe le Camere, armonizzandone, differenziandone e specializzandone le funzioni.

E veniamo al punto. Partirei da una riflessione di Costantino Mortati del 1976. “L’autonomia finanziaria come pietra angolare dell’intero sistema autonomistico”.

Se non dispongono di mezzi finanziari, se non c’è una correlazione tra quantum di autonomia e quantum di risorse si arriva inevitabilmente a una situazione di dipendenza finanziaria.

In assenza di legittimità popolare, e quindi di un bagno elettorale avremo un Senato che per la modalità di elezione indiretta diventerà una Camera delle rivendicazioni, delle proteste, delle rivalse, delle frustrazioni, delle contestazioni senza alcuna incidenza. Prima è stato richiamato Dossetti, ma è vero che Dossetti voleva eliminare il bipartitismo perfetto, ma nella sua ultima lezione alla Universitá di Parma il 26 apriperfetto le suo testamento politico, con i suoi richiami al costituzionalismo moderno, guardava al Senato delle Autonomie e delle grandi formazioni sociali con preferenza per un federalismo moderato sul modello del federalismo tedesco così come definito dall’ art 72 della Grundgesetz.

Va detto poi, per tornare al tema del convegno, che in questi anni il legislatore ha stentato a valorizzare strumenti di raccordo e cooperazione tra i diversi livelli di governo in una logica di leale collaborazione.

E’ mancato un sistema di raccordo. Così è stato per la Acof Alta Commissione per il federalismo di cui alla legge 289 del 2002, come pure con la conferenza permanente di coordinamento sulla finanza pubblica disciplinata con l’art. 33 del decreto legislativo 68/2011 che si è riunita solo nell’ottobre 2013.

Se mancano o non vengono valorizzati gli strumenti di raccordo tra i livelli dello Stato come si può dialogare costruttivamente per obiettivi di finanza pubblica rispetto a patti stabilità e crescita?

Se viene abrogato il 117 terzo comma la potestà legislativa concorrente si profila una centralismo neo statalista. Lo Stato torna a decidere su tutto escluso il “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Ciò è coerente con il fiscal compact, ma non con l’autonomia finanziaria degli enti locali.

Con la legge costituzionale n. 1 che novella gli articoli 81, 97, 117, e 119 si correla tutto il settore PA al vincolo del debito nel rispetto delle regole europee; il ricorso all’indebitamento è subordinato a piani di ammortamento e ai vincoli della UE.

In questo modo per lo Stato è stato attivato il navigatore automatico, che per le Regioni e gli enti locali più che cinture di sicurezza di tipo automobilistica, diviene una vera e propria camicia di forza che impedisce qualsiasi movimento.

Se il 117 armonizza il bilancio pubblico alla competenza esclusiva, il 119 è inattuato.

La politica di bilancio si compone dei saldi di finanza pubblica che devono essere garantiti a livello di consolidato nazionale e delle regole di ripartizione degli stessi saldi. Ci deve essere un raccordo. Non c’è quell’unicum tra patto di stabilità interno, scelte di perequazione e legge di stabilità che viene spezzato senza un raccordo una interconnessione tra obiettivi di finanza pubblica al rispetto del patto di stabilità e crescita, convergenza dei vari livelli su costi e fabbisogni standard e obiettivi di servizio per i livelli essenziali delle prestazioni ( lep) e funzioni fondamentali.

Le regole di realizzazione del federalismo fiscale richiederebbero sempre maggiore trasparenza dei dati e informazioni. Manca nel paese una cultura della rendicontazione con una valutazione dei risultati raggiunti rispetto agli obiettivi perseguiti.

Vanno inoltre considerati i controlli della Corte dei conti. Spiega infatti l’art. 1 del decreto-legge numero 174 del 2012, che ha disciplinato la materia, che sono stati previsti “al fine di rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea”.

Si tratta di un controllo che, come previsto dalla Costituzione tende a garantire in funzione obiettiva, cioè nell’interesse generale, il buon funzionamento delle istituzioni le cui risorse sono fornite dal cittadino attraverso il sistema fiscale. Pertanto la Corte esamina la tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali e sulle tecniche di quantificazione degli oneri, le coperture che devono assicurare il corretto equilibrio dei bilanci.

In questo contesto le Sezioni di controllo della Corte dei conti esaminano i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi delle regioni e degli enti che compongono il Servizio sanitario nazionale, per la verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall’articolo 119 della Costituzione. Sempre agli stessi fini le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano altresì che i rendiconti delle regioni tengano conto anche delle partecipazioni in società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività regionale e di servizi strumentali alla regione.

Nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica le relazioni redatte dalle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti sono trasmesse alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dell’economia e delle finanze “per le determinazioni di competenza”. Il conferimento alla competenza esclusiva della legge statale della materia del coordinamento della finanza pubblica costituisce, a ben vedere, uno sviluppo coerente con le scelte già effettuate dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, che ha effettuato analogo conferimento per la materia dell’armonizzazione dei bilanci pubblici e novellato gli articoli 81, 97 e 119, della Costituzione, estendendo a tutte le pubbliche amministrazioni (e dunque anche a tutte le autonomie territoriali) il principio dell’equilibrio di bilancio tra entrate e spese e il principio della sostenibilità del debito». In questo senso, anche alla luce degli sviluppi più recenti della giurisprudenza costituzionale, appare quantomeno dubbio che tale spostamento possa essere compatibile con la salvaguardia dell’«autonomia finanziaria degli enti locali”. Il finanziamento delle regioni è stato perseguito con le addizionali Irpef con una esplosione del fenomeno alterando la incidenza e distorcendo gli equilibri distributivi riducendo gli spazi della politica fiscale affidata a surrogati come i bonus.

La compressione della spesa affidata alla riduzione delle risorse è risultata inefficace per la dinamica della spesa corrente ma progressivamente incidente per la spesa in conto capitale.

La riforma è dunque coerente con la legge costituzionale n. 1 del 2012 ma non con il principio di sussidiarietá edificato a Maastricht e incompatibile con la salvaguardia della autonomia finanziaria degli enti locali.

In materia così delicata come i rapporti centro periferia la soluzione non deve essere di tipo ideologico ma guardando ai problemi reali e con le soluzioni più adeguate.

Un disegno riformatore va incoraggiato e sostenuto purchè privilegi il miglioramento e l’efficienza dell’assetto istituzionale e non determini una rottura dell’equilibrio costituzionale e una alterazione del sistema delle garanzie.

Firenze 14 novembre 2014

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Al seminario fiorentino sulla riforma costituzionale promosso dalla associazione ex parlamentari della Repubblica e dalla associazione ex consiglieri regionali congiuntamente alla fondazione Regione Toscana ho sentito dal top degli studiosi del diritto musica per le mie orecchie.
Pensavo di trovare giuristi sostenitori della riforma e invece è stato un coro di critiche demolitrici dell’impianto governativo, peggiorato dopo il passaggio in prima lettura al Senato. Sono state argomentazioni forte poggiate su basi scientifiche serie e che fanno aumentare le preoccupazioni sull’esito di un progetto che richiede ben altra meditazione. Tornerò ampiamente sulle criticitá.
Oggi da Firenze torno sollevato perchè con questa riforma non si fa un passo in avanti ma uno indietro. Purtroppo c’è l’amara considerazione sul ruolo della stampa in questo Paese e sullo scarso rilievo che viene dato ad iniziative culturali promosse dai corpi intermedi mentre viene dato ampio spazio allo
scandalismo e al gossip quotidiano.
C’è solo da augurarsi che alla Camera in seconda lettura prevalgano libere opinioni piuttosto che logiche di schieramento.

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