“Romanzo di formazione politica” di un “siciliano anglicizzato”, Calogero Pumilia
Moro su Donat Cattin aveva poteri da fachiro: lo sedava. Oggi in politica prevale il leaderismo: si cambia la linea senza cambiare leader. Con tutti i suoi difetti, la Dc aveva una grande virtù: era contendibile. La prova? di volta in volta persero il potere De Gasperi, Fanfani, Moro, De Mita.
Intervista tratta dal giornale onlibe “beemagazine” 4 Maggio 2022
Calogero Pumilia è stato presidente dell’Organismo Universitario Palermitano, dirigente nazionale dei giovani della Democrazia Cristiana. Giornalista pubblicista, poi redattore del periodico Sicilia Domani e direttore del periodico Sicilia Oggi.
Dal 1972 è stato eletto alla Camera dei Deputati nella Democrazia Cristiana, per cinque legislature dal 1972 al 1992. Poi sottosegretario nei governi Andreotti IV e V e Cossiga I e II.
Sindaco di Caltabellotta in più mandati sia negli anni Settanta sia nella prima decade del 2000. Attualmente è presidente della Fondazione Orestiadi Istituto di Alta Cultura, di Gibellina.
È autore di numerose pubblicazioni:
Attraversando la politica, Palermo, Centro Sturzo, 1997.
La Sicilia al tempo della Democrazia Cristiana, Rubbettino, 1998.
Ti la scordi la Merica!, Sciacca, Aulino Editore, 2016, Partecipazione e cambiamento. Un'(auto) biografia politica della Sicilia, in Sintesi e proposte, vol. 73, Lussografica, 2018.
Come è stato il tuo l’avvicinamento alla Dc negli anni Cinquanta?Era il 1956. Nella direzione nazionale eravamo Salvatore Saetta e io, tutti e due componenti della direzione. Era una cosa abbastanza insolita con due agrigentini su undici. La scintilla che ti ha fatto entrare nella Dc; chi è stato il tuo mentore?Ho percorso la via normale, prima nell’ Azione Cattolica come dirigente diocesano per la diffusione della dottrina sociale della Chiesa. Il vescovo della mia diocesi di Agrigento dopo la licenza liceale mi nominò dirigente diocesano dei giovani di Azione Cattolica e della dottrina sociale. Cominciai una attività in cui si facevano tre conferenzine serali sui temi economici, sociali e politici. Era una zona di confine con la politica, negli anni di dura contrapposizione tra mondo cattolico e il Pci. In quegli anni ho visto che c’erano polemiche forti con il Pci, con Rinascita; e ancora prima ho visto quella tra Malfatti e Zangrandi sul periodico “per l’azione”! Sì, poi da lì passai al movimento giovanile della Dc nel momento in cui Fanfani costruiva il partito nuovo, lo radicava nel territorio molto strutturato, organizzato, lo rendeva simile al partito “leninista” con l’idea di competere con il mondo comunista, organizzarsi per prendere autonomia rispetto ai comitati civici e alle gerarchie ecclesiastiche. Si costruiva il partito laico. Venivi ogni settimana a Roma? Entrai in direzione nazionale con il congresso di Perugia nel 1962. Facevano riunioni costanti, ci occupavano ciascuno di un particolare settore. Chi c’era con te che poi hai ritrovato in Parlamento? C’erano Pisanu, Gargani, Angelo Sanza, Franco Mazzola di Cuneo, poi dopo Luciano Benadusi e Ettore Attolini, arrivò Bonalumi. L’attività ci impegnava spesso nei fine settimana in convegni. Ricordo quelli con Tina Anselmi a Piacenza, con Moro a Bari, con Taviani a Genova. E tanti altri promossi da noi anche senza questi personaggi. A livello siciliano chi ti orientava? Ero redattore di una rivista che ebbe un ruolo importante si chiamava Sicilia domani che sostenne il primo governo di centro sinistra. Ed ebbe in Giuseppe D’Angelo che fu presidente della Regione un grande ispiratore; fu quello che chiese la costituzione della commissione nazionale antimafia al Parlamento italiano con una scelta che era basata sul fatto che la mafia non poteva essere considerata una questione isolata, ma dovesse essere affrontata in sede nazionale con gli strumenti e poteri che l’istituzione nazionale aveva. Fu presieduta prima da Donato Pafundi e poi da Francesco Cattanei. Fu anche una grande delusione. Feci molte polemiche sulla commissione sostenendo che non andava a fondo nei rapporti tra mafia e politica, mafia e affari. Tanto è che fui convocato dalla commissione di inchiesta nel 1970. C’è una storia della mafia scritta da un magistrato comunista pubblicato da Editori Riuniti che dice che l’unico siciliano a dare un contributo concreto sono stato fui io! Hai scritto sull’organo dei giovani Dc per l’Azione? Sì, sui temi economici e sulla cultura. Poi sei entrato in Parlamento nel 1972 e sei stato rieletto fino al 1992. Come nasce la candidatura nel 1972? Creai una piccola corrente seguendo Fiorentino Sullo e Vito Scalia che era segretario generale aggiunto della Cisl; si chiamava “nuova sinistra” ed ebbe un buon successo. Poi nella fase in cui stavamo confluendo in Forze Nuove di Donat Cattin nel 1972 ci fu il primo scioglimento anticipato della legislatura perché dopo la elezione di Leone con i voti determinanti dei missini alla Presidenza della Repubblica si determinò la rottura dei rapporti con i socialisti. Improvvisamente mi trovai di fronte alla scelta. In quella fase ci fu una forte crescita della destra? Nel 1971 il MSI fu il primo partito a Catania. In sede regionale ci fu una forte avanzata della destra. La Dc perse 7, 8 punti per la ventata a destra per due fattori: la legge Cipolla – De Marzi che stabiliva un diverso riparto dei prodotti agricoli e venne interpretata come attacco alla proprietà contadina anche da parte di alcuni settori Dc e dalla Coldiretti che contribuì a creare questo clima e la ipotesi – che rimase tale – di Fiorentino Sullo di intervenire sulla proprietà dei suoli che avrebbe stroncato parte della speculazione. Non si fece nulla, ma creò questo clima.Quando mi candidai fui accompagnato da questa scelta. C’era l’on. Volpe di Caltanissetta – che hai conosciuto -; per tentare di sminuire quando gli chiedevano di me diceva: “Ma niputi, picciotto intelligente, peccato che è comunista”. Ho avuto grosse difficoltà; qualcuno non ha voluto neppure aprire sezioni di partito. Non smentii mai le mie posizioni perché ero consapevole che avrei perduto dignità e voti.Nonostante questo fui ampiamente eletto, dimostrando che nel partito – nonostante il potere degli uscenti c’erano spazi di manovra con le preferenze multiple. Il capo elettore del mio paese aveva il riferimento in un deputato uscente però aveva sentito parlare me, mi aveva incontrato, e “tirava” una delle preferenze. C’erano organizzazioni che ti sostenevano come le Acli, la Cisl la Coldiretti o le Confcooperative? La Cisl a Trapani e in parte a Palermo. La Cisl sosteneva candidati vicini al sociale. Della esperienza parlamentare cosa ricordi? Ricordo la tua battaglia parlamentare sulla riconversione industriale che poi divenne la 675 del 1977? Già Moro anticipò il problema di una ristrutturazione industriale dopo lo shock petrolifero del 1973. Che ricordi hai di quella fase, di quelle scelte rispetto al drenaggio di risorse da parte del Nord? All’inizio della seconda legislatura diventai vicepresidente del gruppo Dc con la responsabilità delle commissioni economiche con Piccoli capogruppo. Donat Cattin era ministro dell’Industria e anche il mio capo corrente. Queste battaglie le facevo, in parte, in accordo con lui. Che ricordi hai di Donat Cattin? Donat Cattin era un uomo di straordinaria intelligenza, di grande forza, umanamente difficile, il rapporto con lui era molto complicato. Però valorizzava tanto i deputati? Era un capo scuola come Marcora. Entrambi li possiamo considerare capiscuola. Sono quelli che più valorizzavano i giovani? Sì, più di Marcora. Partecipavi alle riunioni di corrente del mercoledì sera di via Colonna Antonina? Sì, ci riunivamo nel salone riunioni, Donat Cattin introduceva in un tempo in cui i parlamentari non avevano grandi ruoli e all’inizio della loro esperienza non è che conoscessero molte più cose di quelle che leggevano i giornali. Non era come adesso con i potenti uffici studi che sfornano documenti ricerca? Tu arrivavi in Parlamento e non avevi neppure un tavolo né una sedia! Donat Cattin dava a noi un tavolo, una sedia, non il telefono che te lo dovevi procurare da solo, e ti creava la opportunità di lavorare e di stare in comunità, una comunità politica! Faceva una relazione. Non amava molto essere contraddetto. Se dicevo cose in dissenso – aveva un rapporto curioso con me – mi diceva che ero un siciliano anglicizzato: con i difetti dei siciliani e la freddezza degli inglesi. Mi piace ricordare che molto spesso annunciava rotture, battaglie e poi la settimana successiva veniva con una posizione diversa, perché aveva incontrato Moro e Moro nei suoi confronti esercitava un potere da fachiro indiano, lo sedava; lo riconduceva ad una logica meno irruenta, più tranquilla. Ho letto una intervista recente di Vito Riggio. Venendo dalle Acli lui aderì all’Acpol di Labor. Come andò la vicenda degli aclisti siciliani? Marini non aderì; Carniti era quello più spinto. Donat Cattin rimase sempre Dc; non segui la strada della scissione. Immediatamente dopo le elezioni del 1972, dopo l’insuccesso elettorale eclatante del MPL, diventai deputato; cominciai a chiamare alle mie riunioni Riggio, Cocilovo e D’Antoni. Tanto è che qualcuno dei miei amici mi diceva che perdevo tempo con questi che non erano Dc, ma io capivo che erano dei ragazzi molto intelligenti. Volevi fare una azione di recupero? Poco alla volta poi riuscimmo, insieme con Nicoletti a fare intervenire Macario, segretario nazionale Cisl, sulla struttura di Palermo, che era molto fatiscente, molto compromessa, e fare nominare D’Antoni commissario della fib Cisl e poi commissariare la Cisl, quindi entrarono nella Dc attraverso la Cisl. Dopo questa esperienza sei andato al governo Che rimane di quella esperienza? Rimane quella del Ministero del Lavoro che è durata di più e dove ho avuto spazio notevole dal ministro Enzo Scotti nel seguire vertenze importanti, con visibilità notevole. Poi una bella esperienza all’Agricoltura con la delega alla Comunità Europea, con Marcora, un ottimo Ministro! Non mi hai dato un giudizio della 675? Come tutte le leggi che si facevano e dovevano confrontarsi con la realtà economica che tirava verso il nord. Era difficile. La ristrutturazione andava laddove le imprese c’erano. Una legge che giocò molto a privilegiare l’esistente. Non dove andava creato il nuovo anche con industrializzazione forzata?Appunto. Poi hai fatto il sindaco a Caltabellotta prima e dopo. Che rimane di quella esperienza amministrativa? La considero l’esperienza politica più coinvolgente; è quella che ti mette a contatto con i problemi reali e con la gente vera. Mentre nell’ attività parlamentare non vedi risultati nella attività amministrativa ogni tua scelta lo provoca, lo vedi. Se promuovi la raccolta della spazzatura o scegli le imposte in un certo modo, hai risultati diretti. A me come sindaco si attribuiva un potere che andava al di là! Non c’ è limite di legge che possa impedire o bloccare. Una bellissima attività. È stata facilitata dalla esperienza parlamentare? Svolgevo un ruolo di coordinamento tra i sindaci. Voglio ricordare anche la bella esperienza seppure breve nel Cda di poste. Nella fase della ristrutturazione e privatizzazione di Poste quando cominciavano a svolgere servizi finanziari e diventavano banca ? Le Poste finirono di essere una struttura dello Stato finanziata sul bilancio dello Stato, diventarono una Spa; dovevano trovare sul mercato le risorse per vivere; cominciarono a fare attività para bancarie e assicurative. Fu una fase di passaggio durissima. Immagina il tipico postale che era abituato da una vita a timbrare i francobolli che si è trovato improvvisamente di fronte ad un computer! C’è stato un salto tecnologico ! Una bella esperienza. Poi ho cominciato a organizzare cultura, a fare il presidente di una fondazione tra le più importanti nell’ambito dell’arte contemporanea e del teatro. Abbiamo due Musei con molte iniziative. Come è la Sicilia oggi? Quanto assistenzialismo c’è? Il livello della classe dirigente ovunque è quello che è. Manca la selezione. La mia storia politica è come quella di tutta la mia generazione sia Dc sia Pci e Psi; facevamo la scuola, l’apprendistato e la gavetta. Oggi si diventa classe dirigente per un like e per cooptazione; manca poi un riferimento culturale e ideologico. La Sicilia è sempre più una terra che non trova in sé lo possibilità di un suo sviluppo autonomo, proprio, una terra di consumo; continua ad essere terra di emigrazione e di assistenzialismo. Però in passato c’erano state scelte positive con i poli industriali. Ricordo Peppino Sinesio per Porto Empedocle. Sicuramente la Sicilia è cambiata come il resto d’Italia, con tentativi importanti. Purtroppo non sempre hanno avuto seguito, spesso sono state isolate. Non hanno diffuso cultura imprenditoriale. C’ è stata anche una brutta devastazione del territorio. Oggi c’è una maggiore attenzione. La prospettiva del turismo – che non è risolutiva per lo sviluppo – tuttavia aiuta. Però l’agricoltura ha fatto passi avanti notevoli, ci sono prodotti siciliani affermati nel mondo, c’è stata una specializzazione produttiva? Ci sono stati risultati importanti nel vitivinicolo, nell’ortofrutta, nella agricoltura. Hai scritto un bel saggio sulla rivista Intrasformazione su mafiopoli e tangentopoli, titolato “Dc e mafia: dalla ‘svolta di Agrigento’ allo stragismo”, che cosa emerge dopo 30 anni dopo queste drammatiche vicende giudiziarie? Il dato di fondo è quello che ho cercato di scrivere, che la penetrazione della mafia era assolutamente evidente, storicamente consolidata, ma non si capì il cambiamento che era intervenuto a metà degli anni Settanta, con una mafia che diventava sempre più potente, pericolosa, autonoma e sempre più protesa a controllare settori della politica, piuttosto che ad essere al servizio come lo era stata storicamente. Ci dovette essere lo sforzo enorme della magistratura, di personaggi straordinari – se leggi ciò che ho scritto – assecondati dalla politica in quegli anni. Il tema ha finito per essere spesso uno strumento di lotta politica. Quella unità che si trovò per combattere il terrorismo, qui non si trovò mai, anche se era più difficile e perché le metastasi erano diffuse. Però ci fu il tentativo del Pci di strumentalizzare un fenomeno esistente. Però è stata criminalizzata la Dc e il suo elettorato!Non c’è dubbio. È un disegno politico: insieme a tangentopoli doveva esserci mafiopoli. Non era inventata come non erano inventate le tangenti. Il problema non erano le tangenti, ma la strumentalizzazione; ad un certo punto si pensò che incriminando Andreotti e Mannino, il gioco di buttare dalla torre la Dc diventava più facile. C’è molta obiettività in quello che ho scritto. Che manca al Paese, oggi, in cui ha prevalso il vaffa di Grillo, con i limiti dei cinque stelle? Come può riprendere questo Paese? Manca una destra europea, manca una posizione moderata; nel Paese se la destra è quella di oggi, hai voglia di creare un sistema bene equilibrato; e manca una sinistra che riscopra il linguaggio e la vocazione della sinistra che non è solo quella della Ztl o delle élite, ma riaccenda un rapporto con la gente e le esigenze reali. E soprattutto mancano i luoghi di incontro della politica e delle persone. Manca una cultura democratica. Prevale il leaderismo. Oggi cambiano linea senza cambiare leader! Noi – tu lo sai bene – veniamo dalla esperienza di una grande tradizione democratica. Quando un leader sbagliava si apriva il confronto interno. Una delle caratteristiche, insieme a tanti difettacci, era che la Dc era contendibile. È avvenuto con De Gasperi che perde nel 1953 e viene messo fuori, avviene con Fanfani nel 1959 quando è presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e segretario del Partito e perde tutto, con Moro nel 1968 quando finisce il primo centro sinistra e con De Mita che nel 1989 viene messo da parte. Se il partito è personale ed è tuo chi te lo può contendere! Come può essere Salvini prima trumpiano o poi forse diventare popolare europeo? Non puoi cambiare la felpa ogni volta. Emerge in Sicilia qualche personaggio in grado di affrontare i tempi nuovi o dobbiamo rassegnarci? Francamente non ne vedo. Basta vedere le vicende delle elezioni di Palermo. Per fortuna il Pd è riuscito a tirare fuori un candidato credibile e fare una alleanza con i 5 stelle seppure nella loro friabilità assoluta, non si capisce cosa porteranno, ma a destra ci sono quattro candidati sindaci. Dunque una lotta di potere con il coltello tra i denti.Quindi una polverizzazione del voto senza un coagulo positivo… Maurizio Eufemihttps://beemagazine.it/romanzo-di-formazione-politica-di-un-siciliano-anglicizzato-calogero-pumilia/ |
La storia non può essere distorta o ignorata.Ricordare La Torre vuol dire anche riconoscere l’impegno della Dc contro la mafia. Non è accettabile questa tendenza a cancellare il contributo determinante del mondo democristiano alla definizione di strumenti legislativi idonei a combattere i fenomeni di stampo mafioso. I fatti stanno a dimostrare che la Dc ebbe idee chiare e apprezzabile coraggio. Maurizio Eufemi Leggevo ieri sulla rassegna stampa un articolo di Giancarlo Caselli, commemorativo del compianto Pio La Torre, che merita qualche puntualizzazione. È veramente curioso assistere a uno stravolgimento della storia. Mi limiterò ad alcune osservazioni elementari. Cominciamo dal titolo della legge, che Caselli assegna a La Torre; riscontriamo perfino la rimozione di Virginio Rognoni, Ministro dell’Interno, promotore della iniziativa governativa sottoscritta anche da Clelio Darida e Rino Forrmica, rispettivamente Ministri della Giustizia e delle Finanze. Anche uno studente delle medie sa che senza l’avallo del governo quella legge non avrebbe fatto passi avanti. Al contrario, c’era la ferma volontà della Dc di portare rapidamente all’approvazione quel provvedimento in materia di legislazione antimafia. È sufficiente leggere gli atti parlamentari. La legge Rognoni-La Torre fu approvata in sede legislativa, quindi in commissione, sia alla Camera che al Senato. Anche un bambino sa che basta il diniego di un gruppo parlamentare per non concedere la sede legislativa, determinando di conseguenza il passaggio “normale” in Aula (con allungamento dei tempi e incertezza sull’esito). Il gruppo Dc fu in prima fila e con tutto il suo peso parlamentare, avendo presentato una mozione di indirizzo firmata da tutto il Direttivo, con un ruolo determinante di Calogero Mannino nella stesura, al fine di sostenere e strutturare una strategia di lotta alla mafia dopo l’uccisione di Piersanti Mattarella. Per capire il contesto è sufficiente leggere la relazione Rognoni che accompagna il testo dell’articolato, compresi gli interventi nel processo penalistico. I relatori Dc furono Giovannino Fiori alla Camera e Learco Saporito e Mario Valiante al Senato. Nicola Mancino motivò la dichiarazione di voto Dc in Senato. Per la Dc intervennero nel dibattito La Penta, Agrimi, Coco, Vitalone, Calarco, La Russa e alla Camera Raffaele Russo, Zolla, Carlo Casini, De Cinque, Gitti, oltre ai Ministri anche i sottosegretari Giuseppe Gargani e Angelo Sanza. Nelle commissioni riunite l’esame del testo inizia il 3 marzo 1982. Il 5 agosto viene esaminato in sede legislativa, poi subentra l’interruzione per la pausa estiva. A settembre sarà approvata. Dunque, molte congetture e scarsa adesione alla realtà: dobbiamo invece rendere omaggio all’impegno dei parlamentari Dc facendo ricorso correttamente, a dispetto di quanto detto o non detto da Caselli, a un atto di verità e di giustizia. Semmai verrebbe da chiedersi, in questo frangente, dove sono gli amici di Virginio Rognoni. Perché non sentono il dovere di difendere la storia, prima ancora dell’ex Ministro? Per ora mi fermo più. Aggiungo solo che molti di questi avvenimenti li ho illustrati al Tribunale di Palermo sotto giuramento in un giorno particolarmente triste per me, il giorno successivo ai funerali di mio padre. E poi sono argomenti e rilievi che direttamente proposi, con precisione, al dott Caselli in un pubblico dibattito a Venaria Reale di fronte a centinaia di studenti. Troppo spesso, non potendo riconoscere i meriti della Dc, si tende a ignorare la storia. Maurizio Eufemisul giornale online “Il domani d’Italia” del 2 maggio 2022 |