Personaggi Dc, la Galleria di Eufemi. Pietro Rende, protagonista del meridionalismo

Personaggi Dc, la Galleria di Eufemi. Pietro Rende, protagonista del meridionalismo

Anche la Calabria ha avuto il suo don Luigi Sturzo. Quando Umberto Agnelli disse: Popolari sì, populisti no. La linea europeista, che prevedeva le privatizzazioni, non è nata sul Britannia. Forlani? Un realista, attento al rinnovamento. Si ribellò a Fanfani. Due “siparietti” con Andreotti. Marcora disse a Misasi: questo Rende le prossime elezioni me lo porti a Roma. Selezione classe dirigente, la mancata rielezione di Mortati grida vendetta. Pure il Pci non rielesse Gullo padre e Gullo figlio. Guarasci, il politico calabrese più amato. Moro, “resta un dubbio: facemmo tutto il possibile per salvarlo?”

5 Luglio 2022 – Intervista di Maurizio Eufemi tratta dal giornale online “beemagazine.it”

Pietro Rende classe 1938, una lunga esperienza giovanile in provincia di Cosenza con Guarasci, consigliere comunale e assessore al Comune di Cosenza, prima di essere eletto deputato dal 1972 al 1987, poi consigliere regionale in Calabria.

Molti amici di partito, vista la situazione politica che viviamo, sono frastornati e incerti sul da farsi e si sono “fermati”. E tu? Può essere utile riavvolgere il nastro della storia per leggere il presente e trovare spunti per la Politica?

Dalla Azione Cattolica sono passato alla politica. Abitavo di fronte alla parrocchia, il parroco dopo la maturità scientifica, mi coinvolse. In più seguii un congresso provinciale della Dc dove c’era un prete, don Luigi Nicoletti, un moralista, che veniva tenendo il suo intervento. (Era un fondatore della Dc, una delle figure più rappresentative del movimento cattolico nell’Italia meridionale ndr).

Era un prete impegnato come don Luigi Sturzo?

Sì. Sono andato a vederlo e sono entrato proprio quando parlava questo prete storico della Dc cosentina nel 1957.

Poi sono entrato al consiglio nazionale dei giovani al congresso di Merano.

Chi c’era in quel periodo?

Guido Bodrato e Riccardo Misasi, che erano gli uscenti dal movimento giovanile. Tra gli entranti, ricordo Luciano Benadusi e Giuseppe Gargani.

Dove scrivevi?

Sul Popolo parecchio, quando sono stato responsabile nazionale per il Mezzogiorno, sotto la segreteria Zaccagnini.

In quel congresso di Merano del 1958 ha vinto la linea di centro sinistra.

C’erano quelli che non volevano il centro sinistra, come Angelo Sanza che allora era colombiano.

Sono andato in treno da Cosenza a Merano, con Misasi.

In Calabria venivano fatti i corsi di formazione?

Sì, lì facevamo in Sila, in estate, Quando ero delegato giovanile dal ‘56 al ‘68 fino a trent’anni, perché poi si usciva per il limite di età.

E la esperienza in Comune di Cosenza?

Fui candidato al Comune di Cosenza per tre consiliature dal 1962 al 1977. Una volta capolista e assessore alle Finanze nel periodo in cui entrò in vigore la riforma Preti sulla finanza locale.

Quali iniziative hai assunto in Comune?

Ho proposto la istituzione dei consigli di quartiere. Ho fatto venire Andrea Borruso da Milano perché li già c’erano. (Borruso partecipò come delegato giovanile al convegno del Sestriere del 1957)

In provincia di Cosenza, sono stato assistente di Guarasci, la prima provincia di centrosinistra dell’Italia meridionale. Guarasci era considerato in Calabria il migliore uomo politico che abbiamo avuto.

È stato presidente della provincia dal 1962 al 1972.

Come funzionava l’accordo elettorale tra le province con il sistema proporzionale?

C’erano i voti di preferenze; Avevamo una corrente a livello regionale con Misasi capolista n. 1 poi io, poi l’avvocato Senese di Catanzaro, deputato e senatore.

Che ricordi di più del periodo parlamentare? Di tre legislature a Montecitorio?

Abbiamo fatto sempre guerra, sempre alla opposizione. Praticamente l’amicizia con Bianco; ci siamo ribellati alla retorica della nuova Dc che poi non c’era. Comandava sempre piazza del Gesù; ricordo questo conflitto.

La battaglia per l’autonomia dei gruppiLa battaglia tra Partito-Gruppo c’è sempre stata, anche ai tempi di De Gasperi?

Abbiamo fatto la battaglia, nel 1979, per elezione di Bianco a capogruppo.

C’era il problema di linea politica liberal democratica rispetto a una linea più statalista. Il problema dello SME e della scelta europeista.

Su Bianco abbiamo avuto Arnaldo Forlani. Da soli non l’avremmo fatto. Ci ha dato grande sostegno.

Forlani e De Mita avevano lanciato l’idea della nuova Dc, del patto generazionale a San Ginesio; volevamo fare a livello locale il discorso di San Ginesio.

Abbiamo fatto la esperienza rivoluzionaria dei gruppi parlamentari votando per designare con le primarie quelli che dovevano andare al governo e per le cariche elettive e per le presidenze delle commissioni. Bianco è andato a piazza del Gesù a presentare i risultati.

Gli hanno detto “ma voi chi siete!”

Noi abbiamo contrapposto il partito degli eletti al partito delle tessere, e dire tessere voleva dire correnti e dire corrente voleva dire lo scandalo, la questione morale!

Dunque la organizzazione che prevaleva sui liberi pensatori e sulle idee!

Oltre la battaglia del capogruppo cosa c’è stato?

La grande battaglia sulla questione meridionale. Perché l’alleanza programmatica con il PCI prevedeva per loro, la distruzione, la cancellazione della Cassa per il Mezzogiorno e quindi dell’intervento straordinario.

È sempre stato il loro vero obiettivo, quello del Pci?

C’era Abdon Alinovi, responsabile del Mezzogiorno del Pci che ogni giorno attaccava sull’Unitá Alberto Servidio, presidente della Cassa.

Lo vedevano come centro di potere della Dc come le Partecipazioni Statali.

La stessa cosa.

Poi forse se ne saranno pentiti?

Si, poi però sono arrivati i leghisti, che approfittarono di queste battaglie in corso per affossare la Cassa.

Poi frequentavo Cossiga, Peppino Pisanu, Mario Segni naturalmente con la corrente dei “Cento”.

Foste accusati di essere gli “hiltoniani”, in senso spregiativo?

Si facemmo un convegno all’Hilton.

Parliamoci chiaro, dietro questo c’era anche Andreatta. Era la linea di Andreatta. Non si esponeva, ma con i nuovi Dc quelli del rinnovamento del 1976 (101 nuovi eletti alle politiche del 1976 ndr) per salvare l’Italia dal pericolo comunista, con quelli avevamo creato il gruppo dei “Cento”. Intervenni per dire: “Attenzione noi siamo qui liberal democratici, va bene, ma non dimentichiamo la nostra radice popolare”.

Ci fu l’intervento di Umberto Agnelli che mi replicò “popolari si, populisti no!”

Vedi quanti anni sono passati! Tutto questo lo riportò il settimanale l’Europeo. Ecco chi erano gli hiltoniani!

Era negativo l’accostamento a Giscard d’Estaing?

Era la linea più liberal-democratica, più moderna. Era quella che quando Andreatta va sul Britannia e concorda con il capitalismo internazionale la linea delle privatizzazioni, poi la privatizzazione dell’Iri non poteva che farla Prodi, che era allievo di Nino Andreatta.

Era la linea europeista. Non era nata sul Britannia, ma parte da lontano. Mi hai citato nel tuo libro. (Pagine democristiane ndr). Noi eravamo maggioranza nel Direttivo del Gruppo. Abbiamo vinto, quando venne Andreotti che era sempre titubante, lo SME è passato, ma quelli che predicavano lo SME avevano paura della competizione.

Quel dicembre del 1978 fu un mese di particolare tensione politica in cui il gruppo parlamentare fece sentire la sua voce?

Rappresentai la linea del gruppo Dc in Aula e ci fu la rottura con il PCI. Ci fu la riunione dei parlamentari del Pci che fu contrario. Da lì nacque la crisi con la sinistra.

Ricordo che Galloni mi chiamò perché aveva bisogno del testo del mio intervento per vedere cosa era stato detto perché non avevano capito. Volevano dare a me la colpa di una parola di troppo. Le parole erano misurate.

Lì, nacque la crisi delle convergenze parallele.

Come hai vissuto negli anni ottanta la crisi delle PP.SS.? La crisi della industrializzazione?

Noi abbiamo fatto sempre la battaglia di tipo ‘’saraceniano’’ della industrializzazione forzata per la riduzione dei divari e la grande battaglia della riserva delle PPSS, poi abbiamo scoperto che la riserva del 40 per cento delle PPSS non riguardava l’industria, ma i servizi e veniva aggirata. Bastava aprire una stazione di servizio dell’Eni sull’autostrada, una pompa di benzina… e rispettavano la riserva!

È stata una battaglia nominalistica che purtroppo non ha dato risultati.

Le abbiamo già vissute queste vicende; oggi mi viene da ridere.

Con la chiusura dell’Agenzia per il Mezzogiorno, nel 1993 non fu accettata la gestione stralcio?

Perché venne e vinse la Lega!

Poi i leghisti scoprirono che le PP.SS. stavano anche al nord (il 20 per cento delle aziende partecipate era situato in Lombardia con un fatturato di 10.000 miliardi e in Friuli 30.000 dipendenti di PP.SS. ndr).

La legge 808 sulla impresa aeronautica era concentrata su Varese, nel territorio di Bossi?

C’erano aziende delle Partecipazioni statali al nord.

Un’altra battaglia nominalistica era di ridurre l’intervento nelle aree deboli del centro-nord.

Incontrai Andreotti sul corridoio della Posta. Mi disse: ‘’Rende mi hanno detto che hai fatto una intervista per ridurre le aree degli interventi nel centro nord: “Guarda che noi non abbiamo regalato niente. Se noi riduciamo l’intervento nelle aree depresse del centro nord, la legge sull’intervento straordinario ce la votiamo io e te”.

Hai capito! Guardava lontano. Era un grande Maestro.

E degli altri leader chi ricordi?

Forlani certamente, e naturalmente Bianco.

Di Forlani mi piaceva il realismo e nello stesso tempo la consapevolezza che bisognasse rinnovare, ma senza rompere il giocattolo. Era prudenza, però, e volontà di acciaio.

Si era ribellato a Fanfani. Ha capito che si doveva uscire dall’equilibrio materiale, dalla spesa pubblica, dalle PP.SS.

Dopo Palazzo Giustiniani? (Un accordo nel ’73 tra Moro e Fanfani, ndr)

Andreotti l’ho conosciuto poco, l’ho sempre visto come una persona intellettualmente raffinata.

Ti racconto un’altra lezione. Salii gli scranni, andai a lamentarmi sulla Cassa per il Mezzogiorno perché erano entrate le Regioni nel Cda. C’era il pericolo che si bloccasse tutto con le loro angustie.

“Rende l’hai letta la Gazzetta Ufficiale di oggi?” mi dice Andreotti.

“Come faccio a leggerla se arriva a casa dopo una settimana!”

“Guarda che sono stati già firmati i decreti. Le Regioni sono già dentro il Cda. Perché non sei venuto prima!”

Ovviamente non è che sarei riuscito a cambiare il decreto!

Le Regioni dovevano mantenere solo la parte programmatoria senza entrare nella gestione.

Quello è stato l’errore. Il meridionalismo è finito con l’ingresso delle Regioni.

E questa ipotesi degli economisti delle macro regioni che farebbe crescere il pil?

Cresce il Pil da loro ma non da noi!

Si ritorna al periodo borbonico.

Ho timore per l’unita d’Italia.

Come è la Calabria rispetto all’intervento straordinario!

Ora non esiste proprio. Ci sono spese da revocare, I fondi europei non vengono utilizzati.

Perché manca la capacità di programmazione?

Manca il motore principale che è l’industria, la fabbrica sopra i 5000 dipendenti. Non possiamo pensare di decollare senza industria. Siamo in presenza di una miriade di fabbrichette, di artigiani, ma come Calabria non esportiamo nulla, siamo lo 0,1 per cento dell’export nazionale.

Eppure c’erano imprese ferroviarie efficienti?

OMECA (Office meccaniche calabresi). Anche le industrie ferroviarie sono entrate in competizione con fabbriche del nord. Vedevano OMECA come fumo negli occhi. Sono andate avanti solo quando i calabresi al governo hanno difeso le officine meccaniche e la presenza per servizi e collegamenti.

E il tessile di una volta che era una realtà sul litorale tirrenico?

C’era Lanerossi, prima ha iniziato Olivetti con i nuclei industriali, con la stagione eroica. Pastore aveva convinto industriali di Novara a localizzare insediamenti produttivi a Praia a mare, a Cetraro e Maratea. Furono belle esperienze.

Ho conosciuto due ministri Pastore e Marcora che andavano in giro a toccare con mano la realtà toccavano con mano i problemi.

Diventai deputato per Marcora. Mi conobbe sentendomi parlare a Soverato a un convegno regionale della Base sulla finanza locale con Galloni e Mazzotta nel 1971.

Avevo studiato bene problemi e criticavo la trasformazione della finanza locale, cancellata, da autonoma in derivata!

Marcora dopo avere sentito il mio intervento critico chiamò Misasi e gli disse: “Questo Rende, le prossime elezioni me lo porti a Roma”.

Misasi mi disse: “Guarda che Marcora ti ha notato e ti ha messo nel suo taccuino”.

E Misasi per Piero Rende che cosa ha rappresentato?

Se non avessi avuto il suo appoggio (di Misasi) non sarei mai stato eletto la prima volta nel 1972.

Per la Calabria cosa è stato?

Cose grandiose. L’università della Calabria fu idea di Guarasci, ma non sarebbe mai partita perché non c’era scritto in quale città sarebbe nata.

Misasi, ministro della Pubblica Istruzione, non solo ha scelto Cosenza, ma ha scelto anche Andreatta come rettore. Un modello di gestione che non immaginavano. Ha avuto una idea geniale. Andreatta con il primo miliardo di stanziamento, anziché tenerlo bloccato in Tesoreria, come avveniva in quei tempi, con un parere di un amministrativista, cominciò con gli interessi del primo miliardo; ha fatto una aula polifunzionale, a turno come una sala chirurgica a turno a seconda della specialità, tutte le facoltà hanno cominciato a fare lezione là. L’università di Arcavacata è decollata così. Questo con gli interessi del primo miliardo di stanziamento!

E il porto di Gioia Tauro?

Quando fui nominato commissario della Camera di commercio dalla Giunta dal mio amico Agazio Loiero che stimo molto, ho potuto verificare che è un porto giudicato limitato, di container, solo di carico e scarico.

Non c’è la lavorazione, ma solo il passaggio per le destinazioni. Auspichiamo una ZES una zona economica speciale, dove queste materie prime possano essere lavorate. Mancava il collegamento tra porto e rete ferroviaria – come ha scritto Necci – per il contrasto tra i vari enti. C’era frantumazione tra i diversi enti che operano su quel territorio. Il consorzio industriale era insormontabile.

E il successo dei Cinque stelle in Calabria come lo spieghi?

Ad un certo momento la politica meridionalistica si riduceva ad appalti e lavori edilizi. Ho sempre sostenuto questo quando ero responsabile Dc del Mezzogiorno, fino a quando De Mita segretario mi cacciò per mettere Manfredi Bosco. Questo lo addebitavo alla debolezza di Misasi.

Basta lavori più lavoro, era lo slogan. Aprivano i cantieri e poi chiudevano e tornavamo alla miseria di prima. L’edilizia ha questo limite. Non è riciclabile. Chiude il cantiere, scatta la cassa integrazione. Mancava l’industria. Abbiamo fatto una grande battaglia con Angelo Sanza sulla 675, sulla riconversione industriale. Con lo shock petrolifero del 1973 volevamo la riserva degli investimenti per il Sud, ma Donat- Cattin che era Ministro dell’Industria, era contrario perché l’apparato industriale era tutto al nord.

L’apparato industriale: in Fiat, hanno preferito fare i mutui con Gheddafi. La Fiat si è fatta finanziare ciò che occorreva per la nuova ristrutturazione. Hanno preferito Lafico (istituto per le partecipazioni estere della banca Centrale Libica ndr) con una loro strada autonoma a livelli internazionale, facendosi finanziare della finanza internazionale piuttosto che dall’intervento straordinario.

Forse la ragione è che se utilizzavi la legge 675 ci sarebbero stati la presenza e i controlli dello Stato?

Sì.

Le ragioni dell’avanzata dei movimenti dell’antipolitica in Calabria dove risiedono?

L’avanzata nasce con il surrogato del lavoro.  Il lavoro purtroppo lo offre la mafia dando lo stipendio stando a casa.

Ti arruolano, ma ti pagano il sonno. Anziché il capo bastone, lo Stato ti dà il reddito di sussistenza, ci pensa lo stato per assicurarti il reddito di sussistenza. In tutta Europa c’è questo politica, questo aiuto. In Francia ha cominciato prima mentre noi li davano prima alle fabbriche.

In tutto il mondo si da questo aiuto questo sistema.

Anche in USA è limitato per pochi mesi. Da noi zero. A livello delle imprese si fermava tutto li.

Da noi però erano antisistema?

Appena sono entrato a Montecitorio ho visto un ceto stantio, che non si voleva muovere più. Ho fatto la proposta del limite dei tre mandati.

Per lo meno non poteva stare nella stessa Camera elettiva.

Un giorno ricevo una chiamata dai vertici della burocrazia della Camera: la sua proposta di legge è irricevibile perché è incostituzionale. Va a mettere un limite che la Costituzione non prevede all’elettorato passivo.

Può farla come norma di partito, come norma interna se volete farla. Devo metterlo nella costituzione riformandola.

Però poi è stata introdotta con legge per i sindaci?

Anche con la riforma costituzionale di D’Alema se avessero voluto! Ma anche D’Alema era un altro intramontabile. Subito ho notato che c’era una fossilizzazione. Erano sempre gli stessi.

La norma sul porto franco in Calabria avrebbe portato benefici?

Come per Gioia Tauro, da quando è stato fatto saltare il cantiere di Lodigiani da quel momento non è venuto più nessuno. Non si è avvicinato più nessuno. Facevano le riunioni e dicevano: non andate al sud che vi fanno saltare i cantieri in aria.

E sul viaggio in America?

Nel periodo dell’eurocomunismo di Berlinguer siamo stati ricevuti a Washington, al desk Italia al 7 piano, del Ministero Esteri, al piano dove c’era Henry Kissinger, per parlare con gli esperti della situazione italiana. Secondo loro l’eurocomunismo di Berlinguer non esisteva. C’era eurocomunismo in Spagna con Santiago Carrillo e Dolores Ibarruri, in Francia con Marchais poi Berlinguer in Italia, ma non erano vasi comunicanti. Ci dissero: il primo partito comunista che andrà al potere nell’Europa libera sarà in Francia con Mitterrand, ma non durerà a lungo; non erano preoccupati per la NATO perché la Francia era nella Alleanza Atlantica solo a livello strategico e non a livello militare. Dunque l’Eurocomunismo di Berlinguer non ha radici, non ha futuro.

Con chi andasti?

Eravamo quattro segnalati dall’ambasciata USA come giovani parlamentari, tra cui Franco Mazzola, Gianfranco Sabbatini e Angelo Sanza.

Abbiamo conosciuto l’America da dentro.

Spingevano il rinnovamento dei quadri della Dc, ma a Piazza del Gesù non ci sentivano. Soprattutto insistevano nel rappresentare con franchezza la situazione economica.

È stata una esperienza interessante.

Dopo l’attività parlamentare?

Mi sono dedicato alla Fondazione Antonio Guarasci che è stato il primo presidente della Regione Calabria scomparso prematuramente in un incidente. Al ricordo dell’uomo politico più stimato che ha avuto la Calabria.  Con quell’incidente stradale è morta la speranza della Calabria.

Abbiamo fatto cose bellissime. La vedova ha avuto l’idea di chiamarmi alla Presidenza per raccogliere gli amici a ricordarlo a diffondere il suo pensiero, richiamandoli tutti, a cominciare da Piero Bassetti, Nicola Mancini, Guido Fanti.

Quello che ha creato il primo discorso sulla rifondazione della finanza pubblica a livello regionale è stato Bassetti.

Pensavano di rifondare lo Stato partendo dalle Regioni. Una grande ingenuità intellettuale perché le diverse regioni non marciavano allo stesso ritmo della Lombardia.

Dopo una grande effervescenza la Fondazione ora ha un po’ rallentato. Raccoglie tutto ciò che ricorda Guarasci. Mancini sindaco di Cosenza ci ha aiutato a comprare la sede che è un archivio storico.

Purtroppo Il limite di questi grandi personaggi storici in Calabria è che non hanno lasciato delfini.

Non hanno mai immaginato una classe politica in dialettica con loro, non in rottura, non l’hanno mai immaginata; prevaleva la subalternità.

E il frazionamento della Regione?

È un dramma perché la Regione diventa una missione. Non vedi l’ora di scappare. Fui designato una volta da Marcora e una volta dal commissario Nicola Quarta. Potevo essere un piccolo Antonio Guarasci, ma tutti i notabili mi hanno combattuto. Lo stesso avevano fatto a Guarasci. Adesso i deputati nessuno li conosce in Calabria con la legge senza preferenze. Ecco perché sono nati i cinque stelle. È venuta fuori veramente una grande esclusione. La gente si è sentita esclusa. La scelta più difficile che hanno i cinque stelle è quella del terzo mandato. Lo avevo sollevato nel 1982 quaranta anni fa!

Purtroppo non c’è più un luogo di formazione politica, dove è la palestra?

Oggi sono tutte sigle. La selezione della classe dirigente è peggiorata. Anche nella prima repubblica la selezione avveniva al rovescio. Noi in Calabria non abbiamo rieletto quelli che avevano scritto la Costituzione come Costantino Mortati o Celestino Arena, insigne economista, (per il contributo per la parte finanziaria alla Costituente, non eletto nel 1953. Ndr) Sensi, il fratello del cardinale, Luigi Quintieri, un liberale, fondatore della banca di Calabria che era stato negli Stati Uniti nelle delegazioni governative (con Cuccia, Mattioli, Morelli e Ortona fu definita pietra miliare del rapporto Italia USA ndr) aveva stabilito rapporti con la finanza americana prima ancora di De Gasperi, per i futuri aiuti finanziari e il piano ERP. Sono venuti fuori i quadri.

La vicenda Costantino Mortati grida vendetta al cospetto di Dio!

I comunisti hanno fatto fuori Gullo padre e Gullo figlio!

Non è tutto oro, in tutti i partiti!

Dove va l’economia adesso? Va male dappertutto

La nostra è economia dipendente. Siamo dipendenti. Siamo legati a questo sistema.

Siamo bene rappresentati da Draghi. Siamo a reddito fisso. Se non ci fosse Draghi chi ci difende da una inflazione all’8 per cento!

Negli anni Settanta dopo lo shock petrolifero e una forte inflazione al 12 per cento abbiamo dovuto mettere l’IVA al 20 per cento, sotto ferragosto in un decreto di cui ero relatore, sulla parte posteriore dei bovini. Abbiamo scoperto che gli italiani amano i quarti posteriori, i tedeschi gli anteriori, quelli brutti, muscolosi e anche meno teneri.

Sull’aumento dell’IVA per i tartufi ci fu stata una ribellione. Dissero: si stanno ribellando, ci distruggi l’economia!

E di Moro cosa ti rimane?

Un ricordo dolcissimo. Perché era un uomo veramente mite.

Fece un discorso a Bari sulla importanza della cultura nella questione meridionale e nella politica meridionalistica.

Mi sono fermato a parlare con lui a Montecitorio, nel corridoio della Posta, sul suo discorso di Bari. Di una umiltà! L’unico dubbio: Tante volte mi domando: Tutti noi io, te, Bianco, Segni, siamo sicuri che abbiamo fatto tutto per salvare Moro oppure non siamo stati all’altezza?

Hai visto l’ultimo film di Bellocchio?

Non ci sono andato, perché mi è bastato il giudizio di Stefano Andreotti! Per solidarietà non sono andato. È una vergogna attaccare i morti.

Maurizio, sembra di rivivere l’Eneide, i tempi felici. Siamo ancora rispettati. La più grande soddisfazione è che ancora oggi mia figlia mi porta i saluti di tante persone che incontra nella città di Cosenza.

Maurizio Eufemi

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