De Gasperi e la Comunità europea di difesa e il nuovo ordine internazionale
La CED, De Gasperi, l’Unione Europea e il nuovo ordine internazionale.
La Presidenza di Donald Trump ha impresso una svolta alle relazioni euroatlantiche, creando una frattura su valori e principi che cancellano con mosse disinvolte ottanta anni di rapporti di sostanziale convergenza geopolitica al di là di tensioni temporanee. La divergenza delle posizioni è difficilmente componibile perché gli interessi prevalgono sui valori.
Assistiamo al paradosso che gli avversari della NATO di allora nata come alleanza difensiva e filoputiniani di oggi sono diventati improvvisamente sostenitori trumpiani.
La dottrina Trump rinnega la linea di azione delle amministrazioni USA fino all’ultima Presidenza Biden e pone l’Unione Europea, da sola, di fronte a nuove responsabilità e a scelte ineludibili.
Il disegno degasperiano della CED dopo la occidentalizzazione del dopoguerra ridiventa di straordinaria attualità. Occorre allora volgere lo sguardo al pensiero degasperiano per approfondire la profondità dell’analisi.
Nel novembre del 1948 a Bruxelles alla Grandes Conferences Catholique De Gasperi tenne il primo discorso in favore dell’Europa Unita.
Fa ogni sforzo per recuperare la Germania federale dal suo isolamento, fino al punto da respingere la partecipazione italiana al patto di Bruxelles, successivo a quello di Dunkerque, concepito da Bidault e da Bevin come strumento contro il ricostituirsi della potenza tedesca. Diede una impronta alla C.e.c.a. sforzandosi di compiere progressi sul terreno europeo in tutti i campi.
Il problema della CED fu esaminato per la prima volta al consiglio ministeriale della Nato nel settembre del 1950. Allora il ministro degli esteri USA aveva chiesto alla formazione di divisioni tedesche in un esercito europeo integrato. La spinta italiana trovava resistenze nei francesi attestati sul piano Pleven in cui i tedeschi sarebbero stati integrati solo a livello di compagnia o al massimo di battaglione. I delegati di De Gasperi svolsero un ruolo di mediazione eliminando ogni discriminazione finché il 27 maggio del 1952 si giunse a Parigi alla firma del progetto di Trattato sulla formazione della Comunità Europea di Difesa (CED).
Churchill in un discorso ai comuni l’11 maggio del 1953 proponeva un incontro tra i “grandi” per una generale distensione e un accordo con l’Unione Sovietica che provocò in Italia vive polemiche tanto è vero che quando De Gasperi incontra Churchill nel giugno, lo statista inglese chiese “se è vero che il mio discorso è stato un disastro per lei nelle elezioni in Italia?”
De Gasperi rispose con una risposta che si deve dare ad uomini del valore e della statura di Churchill “disastro no, ma del danno ce ne ha fatto”.
Poi s’era tenuta la conferenza delle Bermude del 4-7 dicembre 1953, dove si erano avute conferme della necessità di costituire la CED e di garantire la sicurezza. Delle divisioni occidentali ne dà conferma il quotidiano l’Unitá del 9 dicembre 1953 che poteva così titolare: “l’incontro alle Bermude chiusi tra seri contrasti
i 3 costretti ad accettare la conferenza con l’Urss”.
De Gasperi riteneva questa battaglia sul piano politico interno – rispetto all’atteggiamento antiatlantico e anti europeista con il neutralismo del leader socialista Nenni che per Taviani rappresentava un mero miraggio – ancora più importante di quella sul Patto Atlantico ritenendo indispensabile una grande mobilitazione del Partito sia attraverso gli organi di stampa che delle strutture organizzative territoriali.
La CED fu punto rilevante dell’accordo di governo della coalizione centrista DC psdi pli e pri che portò al governo Scelba, dopo il Governo monocolore Pella.
Nello Statuto della CED non era stata ignorata la eventualità che il predominio militare di uno Stato, prevedendo direttive vincolanti alla unanimità dell’organo preposto dall’organo sovranazionale che era il consiglio dei ministri nazionali.
Se si guarda poi agli aspetti militari, la CED prevedeva una organizzazione secondo principi comuni nel reclutamento istruzione formazione dei quadri nonché degli statuti e regolamenti;
integrazione delle forze armate a partire dalle unità di base omogenee fino ai gradi più elevati; istituzione di un programma comune di armamenti con la specializzazione di ciascuno Stato nella produzione di armamenti; l’integrazione degli organi logistici e l’istituzione di un bilancio comune.
Il Patto Atlantico fu la risposta a una precisa esigenza allorché dopo il secondo conflitto mondiale l’Urss venne meno agli accordi di Yalta che prevedevano anche la restaurazione dell’indipendenza e della libertà dell’Europa orientale e non diede segni di smobilitazione delle forze armate concentrate sul confine dell’Europa occidentale.
Nella visione di De Gasperi un esercito europeo che non fosse al servizio di una sopraordinata autorità politica comune rappresentava una contraddizione in sé. La sua preoccupazione fu formulata al discorso tenuto alla Assemblea consultiva del consiglio d’Europa: “se noi chiamiamo le forze armate dei diversi paesi a fondersi insieme in un organismo permanente e costituzionale e se occorre a difendere una patria più vasta, bisogna che questa Patria sia visibile, solida e viva; anche se non tutta la costruzione è perfetta occorre che sin d’ora se ne vedano le mura maestre e che una volontà politica comune sia sempre vigilante perché riassuma gli ideali più puri delle nazioni associate e li faccia brillare l’area alla luce del focolare comune. … Il genere di solidarietà previsto dal trattato della comunità di Difesa solidarietà che va dalla vita alla morte, non potrebbe resistere alle tendenze separatiste e individualistiche che in certi momenti potrebbero sorgere in qualche parlamento nazionale”.
In questa linea entró il famoso articolo De Gasperi al 38 del trattato che prevedeva la CEP (Comunità Politica Europea).
L’iter delle ratifiche del trattato CED sfociò nel rifiuto della Assemblea Nazionale francese nella notte del 29 e 30 agosto per il rifiuto opposto da una coalizione di gollisti e comunisti.
All’indomani del voto francese, il 31 agosto, il governo italiano così ne commentava con una nota ufficiosa, le conseguenze sull’europeismo e sull’Atlantismo:
“La crisi aperta dal voto francese non è la crisi dell’atlantismo come l’opposizione vorrebbe far credere. È anzi di tutta evidenza che venendo a mancare almeno per ora quella particolare forma di associazione che la CED aveva previsto, di rafforzi la esigenza di un più stretto ed operante collegamento Atlantico. E non è neppure la crisi dell’ europeismo se non nella misura in cui esso viene a subire una sosta nel suo storico e necessario sviluppo”.
De Gasperi il 18 agosto del 1954 scongiurò tutti gli amici politici e protagonisti del processo decisionale di impedire il fallimento. Poche ore prima della morte, a proposito delle trattative, disse alla figlia: ” questo non è un problema di gioco parlamentare, sul quale si possa giungere a compromessi; è una pietra angolare. Se l’Unione Europea non si da oggi la si dovrà fare tra qualche lustro; ma cosa passerà tra oggi e quel giorno, Dio solo lo sa. Vedi, se io potessi essere a Bruxelles, sento che questa battaglia si vincerebbe. Saprei porre certi responsabili di fronte alla loro coscienza di uomini prima che di politici e sono certo che non uscirebbero di là senza avere firmato.” Il riferimento era al socialista radicale Pierre Mendés-France considerato con il suo astensionismo il becchino della CED.
E se la sua spina – come scrisse a Fanfani – fu la CED, “questa spina lo punse non perché vedesse la CED come elemento di conservazione, ma perché constatava ogni giorno che gli avversari della CED fra i sei o fuori dai sei Paesi erano in sostanza i timorosi della novità, i mantenitori dello status quo, i beati possidenti, desiderosi di conservare ai propri Eserciti o la gloria Napoleonica o il frutto di recenti invasioni. La spina della CED lo aveva mortalmente trafitto perché in quella crisi ha visto chiaramente una battuta d’arresto non alla costruzione di una coalizione militare, ma alla costituzione di un’unità politica europea. ” Questo disse Fanfani il 24 agosto del 1954 al consiglio nazionale in Piazza del Gesù, per commemorare solennemente De Gasperi nella sede politica della DC.
Con il fallimento della CED veniva colpito a morte il nucleo della concezione europeista di De Gasperi e coincide con la sua morte, ma l’opera di De Gasperi è viva più che mai, non solo come eredità spirituale, ma nelle strutture istituzionali e deve essere proseguita coltivata, affermata nelle sue finalità dalle generazioni future.
Come con la crisi energetica del 1973 si ebbe la prova tangibile della debolezza dell’Europa, così oggi con l’occupazione e la guerra in Ucraina si riscontrano queste debolezze aggravate dalla dottrina Trump.
Ora come allora le aree di crisi si inseriscono e si intrecciano nello stesso disegno. Oggi l’Ucraina, Gaza, il medio oriente, l’Iran, Formosa, allora, negli anni cinquanta la guerra di Corea, Indocina, Berlino, Trieste. Rileggere oggi i documenti allora segreti della Farnesina e dei nostri diplomatici che relazionavano sull’iter della CED significa meglio comprendere la grande posta in gioco.
Per maggiore chiarezza allego il dispaccio al Ministero degli Esteri dell’ambasciatore italiano a Mosca Di Stefano dell’agosto del 1954.
Gli obiettivi della Russia di Putin non sono lontani dall’Urss di allora, che avrà tanto più possibilità di perseguire i suoi obiettivi e le sue opzioni tanto più l’Europa si mostrerà debole e divisa, vulnerabile nel funzionamento della democrazia.
Riscoprire De Gasperi significa oggi difendere una idea di Europa capace di stare da protagonista nello scenario mondiale nel solco del pensiero del popolarismo europeo.
Maurizio Eufemi
Bibliografia essenziale
A. De Gasperi, discorsi politici, Edizioni Cinque Lune, 1956
P.Acanfora, Miti e ideologia nella politica estera DC, il Mulino, 2013
Impegno per l’Europa: Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Robert Schuman, Konrad Adenauer Stiftung, Roma, 1981;
G.Vedovato, Storia dei Trattati e Politica Internazionale, Europa sperata,Europa possibile, Eurografica, Firenze, 1976;
Atti e documenti della Democrazia Cristiana 1943 -1967, voll I e II, Edizioni Cinque Lune, 1968
Farnesina.ipzs.it
Allegato
L’AMBASCIATORE A MOSCA, DI STEFANO, AL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI(1)
Telespr. segreto 2701/1191(2). Mosca, 11 agosto 1954.
Oggetto: L’URSS e la CED.
Riferimenti: Mio rapporto n. 1159/490 dell’11 aprile u.s. ed altro carteggio.
Ho avuto occasione di esprimere ripetutamente il mio avviso sulla consistenza effettiva della politica estera del Cremlino volta ad impedire la costituzione della CED ed il riarmo tedesco occidentale. Gli avvenimenti delle ultime settimane mi confermano nell’opinione già manifestata. Tuttavia, alla vigilia del Convegno di Bruxelles, può non essere superfluo rifare il punto della situazione, brevemente e senza ritornare sulle precedenti analisi più dettagliate:
1) L’URSS è, a mio parere, ostile ad un riarmo, ancorché controllato e limitato, della Germania di Bonn con qualsiasi veste od addentellato puramente occidentale: si tratti cioè di CED quale è oggi, od in una forma più allentata, od in connessione con la NATO, o di un futuro riarmo più o meno autonomo concordato cogli Stati Uniti.
2) Non mi sembra quindi realistico cercare di stabilire oggi una gradazione tra i modi e le forme di un eventuale riarmo della Germania Occidentale in un’eventuale CED allentata, col proposito di spiacer meno al Cremlino.
3) Mosca, intanto, non si acconcia affatto a dar per scontato un riarmo della Germania Occidentale quali siano per essere le modalità. Qui evidentemente sperano, e mi auguro che s’illudano, di riuscire a rinviare l’eventualità o il momento di tale riarmo, grazie alla situazione nel Parlamento francese, all’azione dei loro simpatizzanti e dei loro accoliti in Francia ed in Italia e grazie agli ondeggiamenti di vari uomini politici occidentali.
4) La battaglia contro la CED viene e verrà perseguita frontalmente e brutalmente. A noi pusembrare che se i russi la conducessero con maggiore sottigliezza o con maggiori risorse e più allettanti iniziative diplomatiche, essa potrebbe essere piefficace. È probabile che così sarebbe ma occorre non dimenticare che il Cremlino non si sottrae, e non pusottrarsi, alla fatalità storica che deforma e paralizza la politica estera di qualsiasi dittatura. Sarebbe, credo, un errore ritenere che il Cremlino sia sempre pifurbo di quanto non appaia e che i suoi punti di vista, quali ribaditi quotidianamente e monotonamente nella stampa, siano sempre velati da falsi scopi. In realtà la politica estera del Cremlino è alle volte assai elementare e tra convinzione e propaganda non vi è sempre un grande divario.
Nel caso specifico della CED o comunque del riarmo di Bonn, la stampa sovietica, con ritmo crescente, da molti mesi, ma specie in queste ultime settimane, va proclamando che i popoli dell’Occidente e gran parte dei suoi uomini politici vi sono nettamente contrari. Le facciate della «Pravda» e degli altri giornali sovietici si dedicano a dar rilievo a tutte le pur minime manifestazioni o dichiarazioni od articoli che in Occidente si pronunciano contro la suddetta eventualità e che evidentemente i diplomatici russi ed i corrispondenti della TASS si affrettano a «montare» nei loro dispacci per porsi a Mosca in buona luce. A leggere questa stampa, si ha l’impressione che l’Occidente viva nella sua grande totalità nel terrore della Germania e che isolati siano i sostenitori della CED. Raramente è stata orchestrata una campagna diretta all’interno ed all’estero di tanta mole.
Non escluderei che, in definitiva, gli stessi dirigenti sovietici rimangano in certo qual modo prigionieri delle proprie formule e finiscano per esser alquanto succubi della loro stessa propaganda, così come avvenne a suo tempo anche da noi ed in Germania.
Sicché è pure possibile che i dirigenti del Cremlino ritengano l’eventualità di un’approvazione della CED ancora piardua di quanto essa sia. Il che pucontribuire a render tanto poco duttile la loro politica contro un evento, le cui conseguenze, secondo la loro propaganda, sarebbero, a più o meno breve scadenza, catastrofiche.
5) L’iniziativa anti CED della diplomazia sovietica, mediante la Nota del 24 luglio(3), era attesa da tempo, come già ripetutamente riferito. In realtà la mossa era stata congegnata con minore efficacia di quanto si poteva pensare, per il nulla di nuovo contenuto nella Nota e per il fatto che essa, non fissando neanche una data, si prestava ad una risposta dilatoria. Di fronte a queste reazioni occidentali, è sopraggiunta la successiva dichiarazione del 4 agosto(4), che sarebbe stata certo piatta agli scopi sovietici di disturbo della CED se inviata il 24 luglio in luogo della precedente Nota grossolana, il cui danno non poteva ormai piriparare sul terreno diplomatico.
6) Il quesito principale che le Ambasciate occidentali di Mosca si pongono è ora il seguente: qualora le scadenze della CED rimarranno quelle che sembrano essere state recentemente fissate e, qualora tutto proceda normalmente prima al Consiglio dei Ministri di Francia, poi a Bruxelles e quindi al Parlamento francese, quale sarà la reazione sovietica?
Cercher per parte mia, di rispondere semplicemente e colla possibile chiarezza.
Gli occidentali escludono, in primo luogo, ed io condivido l’impressione comune, che la Russia possa giungere ad azioni implicanti un vero e proprio pericolo a breve scadenza. Mosca non considererà la partita chiusa fino a quando non sarà entrato in funzione il Trattato. Essa intensificherà ogni possibile azione esterna ed interna per cercare di impedire le ratifiche risolutive. Farà probabilmente ricorso alternato a lusinghe e pressioni specialmente nei confronti dell’ultimo Paese che non avesse ancora approvato definitivamente il Trattato ed, in pari tempo, è possibile che il tono della diplomazia e della propaganda sovietiche si faccia piminaccioso contro la CED, confidando negli effetti psicologici. Non rinunzierà, inoltre, a nuove manovre ed iniziative sul terreno diplomatico, forse più allettanti di quelle sin qui fatte.
Quando infine Mosca si trovasse colle spalle al muro e vedesse cadere le sue tenaci illusioni, potrebbe presentarsi l’alternativa seguente:
od una pausa nella politica di distensione nei confronti dei Paesi della CED, sostituita da una serie di disturbi e da un irrigidimento della situazione tra le due Germanie ed a Berlino nonché in Austria;
oppure, anche, essa potrebbe forse decidersi a compiere altre mosse diplomatiche, trattandosi perprobabilmente di offerte limitate e fatte a denti stretti.
Sarebbe da escludere, infatti, che salvo eccezionali avvenimenti e pressanti necessità, l’URSS possa indursi ad un brusco capovolgimento della sua politica in Germania Orientale od a concessioni territoriali per quanto concerne le sue posizioni centro-europee. Cianche per motivi di politica interna: poco vi è da dubitare che, rebus sic stantibus, ad un abbandono del governo di Pankov si opporrebbe il partito comunista dell’URSS per ovvi motivi ideologici, mentre ritirate territoriali desterebbero un vivo malcontento dell’esercito e degli elementi nazionalisti russi. Non parrebbe che il governo Malenkov voglia e possa correre tali alee nei prossimi tempi.
252 1 DGAP, Uff. IV, Versamento CED, 1950-1954, b. 24, fasc. 88.
252 2 Sottoscrizione autografa.
252 3 Vedi D. 243, nota 3.
252 4 Vedi D. 251, nota 3.