Bettino Craxi nei libri di Fotia e Martini, a venticinque anni dalla scomparsa, con l’analisi di D’Alema e Gargani

Bettino Craxi nei libri di Fotia e Martini, a venticinque anni dalla scomparsa, con l’analisi di D’Alema e Gargani

Per iniziativa della Associazione degli ex parlamentari sono stati presentati in un unico evento alla Sala del Cenacolo,  due libri su Bettino Craxi, nel venticinquesimo anniversario della scomparsa. Gli scritti sono tra loro profondamente diversi: in uno, quello di Fotia, “Scusaci Bettino” prevale il sentimentalismo, nell’altro “controvento”, quello di Martini, la narrazione storico-politica con una ricchezza di episodi e aneddoti. Oltre gli autori,  ne hanno discusso Massimo D’Alema e Giuseppe Gargani, con la moderazione di Monica Guindotti. 

I temi del rapporto a sinistra tra PCI e PSI e la questione Giustizia con la degenerazione giustizialista, sono stati prevalenti,  ma nell’analizzare il pensiero politico di Craxi, non sono mancati i riconoscimenti al Craxi statista, con i riferimenti alla vicenda della scala mobile e al conseguente referendum, al momento di tensione a Sigonella per i sequestratori della Achille Lauro, al dislocamento degli euromissili, al ruolo dell’Italia nelle relazioni internazionali. D’Alema ha rivendicato di avere avviato fin dai primi anni del duemila, tra i primi, una riflessione autocritica sul riformismo socialista rispetto agli scontri degli anni 70-80, quando quegli sbagli non furono riconosciuti. Per D’Alema Berlinguer e Craxi sono “due volti della sconfitta” per le ragioni della guerra fredda e per le naturali incomprensioni tra i due partiti, perché la somma dei due partiti nel 1975, allargata ad altre forze di sinistra, superava il 50 per cento dei voti. Per D’Alema, allora segretario della figc, i protagonisti dello scontro furono “incapaci della sintesi”. Va però ricordato che la somma algebrica non era una somma politica perchè Berlinguer profondamente toccato dalla vicenda cilena si rendeva conto della impossibilità di governare con una maggioranza debole e guardava all’incontro non con i socialisti ma con i cattolici, nel disegno di Moro della solidarietà nazionale. Gli stessi socialisti avevano rifiutato con il Midas le teorie demartiniane sugli equilibri più avanzati guardando al riformismo autonomista in tutti i sensi anche nei canali di finanziamento. L’unica strada di convergenza possibile tra PCI e PSI restò quella delle giunte rosse che si affermarono nelle amministrazioni locali. 

D’Alema riconosce a Craxi i tratti di uomo di sinistra soprattutto per il ruolo svolto per l’affermazione di un profilo indipendente dell’Italia in ambito internazionale, condividendo l’ azione politica verso il mondo arabo e nella lotta di liberazione dei popoli con scelte coraggiose che pongono in maggiore luce rispetto a vicende di attualità. 

Non sono mancati i ricordi personali come quando ha ricordato la vicenda dei colloqui nel camper o la vicenda Gardini collegata a Di Pietro, quando era direttore dell’Unitá. Prevale però l’analisi politica cin il rimpianto per una storia che avrebbe potuto essere diversa e la prospettiva dell’occasione mancata di potere diventare il Mitterrand italiano per insufficienza del partito socialista. 

I rapporti di forza tra i due partiti rendevano impossibile questa prospettiva.

D’Alema riconosce l’errore di non avere compreso la pericolosità del sentimento giustizialista che si affermava nel Paese, ma afferma che la volontà di liquidare i partiti fu determinata dal patto tra un pezzo di borghesia e della magistratura attraverso una operazione culturale, politica e giuridica nella individuazione dei reati. 

Gargani ha replicato  come il pci abbia scelto la via giudiziaria dopo la amnistia del 1989, con la sconfitta interna della linea Napolitano Chiaromonte. Ha efficacemente argomentato come la spinta di Magistratura Democratica abbia portato all’ autonomia della Magistratura e  come il 73 per cento degli imputati di mani pulite sia stato assolto, ma con l’abolizione dell’articolo 68 della Costituzione c’è stata la fine della politica. Ricorda coma Craxi con il discorso del 3 luglio del 1992 in occasione della fiducia al governo Amato non mancò di polemizzare con i suoi avversari del passato come Berlinguer e del presente come Occhetto. Per il primo Craxi era il nemico della democrazia. Per il secondo ricordava farneticare la “presenza di interventi autoritari e di elementi di regime e di golpismo striscianti”. Nel suo ragionamento non mancò di segnalare  i pericoli del vuoto di potere, così come richiamò l’attenzione su un Europa più unita,  più integrata, più coesa. Una Europa non separata dal muro del denaro. Una Europa capace di una politica estera comune e di affrontare il problema delle ondate migratorie, disilludendo quelli che pensavano ad una Europa come il Paradiso terrestre. Pose però somma attenzione al finanziamento pubblico dei partiti chiamando tutte le forze politiche alle proprie responsabilità. 

“Un finanziamento irregolare o illegale al sistema politico per quante reazione  e giudizi negativi possa comportare – disse Craxi – e per quante degenerazioni possa avere generato non è e non può essere considerato e utilizzato da nessuno come un esplosivo per far saltare un sistema,  per delegittimare una classe politica, per creare un clima nel quale di certo non possono nascere né le correzioni che si impongono né un’opera di risanamento efficace, ma solo la disgregazione e l’avventura”.  

Percepiva che senza una stagione riformatrice la fine della Politica era avviata. Pose in definitiva il Parlamento di fronte al richiamato vuoto. Vedeva i pericoli del qualunquismo. Anticipó con visione lungimirante la crisi della Repubblica, con la  questione giustizia ancora irrisolta che avrebbe cancellato il sistema dei partiti determinando una transizione infinita. 

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