Voglia di democrazia, voglia di rappresentanza
Con il risultato referendario del 4 dicembre, 19.419.507 elettori hanno scritto una pagina indelebile di democrazia.
La straordinaria partecipazione al voto, pari al 65,5 per cento, è stata la più chiara dimostrazione che nel popolo italiano non c’è stanchezza di democrazia, ma voglia di democrazia.
Le condizioni erano difficili. Nonostante una data inusuale, quasi a ridosso del Natale, un quesito difficile da interpretare compiutamente, un contesto economico precario sul sistema bancario, una legge di bilancio di natura elettorale, una straordinaria sproporzione di mezzi di comunicazione tra i sostenitori del SI e quelli del NO, il ruolo abnorme del Governo nella competizione, sia nella progettazione della riforma che nella competizione elettorale, il risultato è stato inequivocabile, schiacciante.
Il governo Renzi si è messo in gioco ed ha perso la partita.
Il popolo italiano ha rigettato operazioni oligarchiche, rifiutando deleghe in bianco. La difesa della Costituzione del 1948 ha prevalso rispetto a concezioni ardite sulla velocità, sulla rottamazione, sull’anticasta, sul taglio delle poltrone, sui costi della politica, sulla presunta semplificazione del sistema, sull’accozzaglia delle posizioni contrarie.
Il voto popolare ha ritenuto tutto ciò ininfluente o marginale rispetto alla difesa del principio della sovranità popolare, alla possibilità eleggere i propri rappresentanti, ad un quadro riformatore sbagliato, lacunoso, precario
Naturalmente c’è chi è uscito sconfitto. Non solo i principali protagonisti. Oltre questi anche quelli che ai diversi livelli di responsabilità non hanno saputo difendere la cultura democristiana, quella della rappresentanza, della partecipazione, delle formazioni sociali, dei corpi intermedi, pesantemente penalizzati da un progetto di riforma che cancellava il principio di sussidiarietà, cardine positivo del Trattato di Maastricht.
Escono sconfitti da questa vicenda coloro che, per pavidità e convenienza, nella coalizione del governo non hanno avuto il coraggio di agire per temperare gli eccessi della riforma, operando le necessarie, indispensabili correzioni non cogliendo la necessità di evitare forzature sul piano metodologico innanzitutto, ma anche sulle scelte che portavano ad disegno neoaccentratore lontano dalla cultura Sturziana delle autonomie locali. Anche mettendosi in gioco. Ne avevano la possibilità e non hanno saputo e voluto muoversi dentro il PD e nella coalizione per interpretare il “sovraccarico di domande” che salivano dalla società civile.
Si erano illusi di essere moderni, veloci. Eppure proprio i giovani e la rete esprimevano un dissenso profondo una reazione a soluzioni imposte non condivise così come deve essere per le regole di tutti.
Le norme della Costituzione secondo Togliatti, non riflettevano i difetti dei legislatori costituenti, ma riflettevano luce per l’avvenire, per citare un verso di Dante “ come quel che va di notte e porta il lume dietro non giova a sé ma dopo sé fa le persone dotte”.
Ecco gli italiani hanno voluto tenere accese le luci della democrazia, evitando anche prevalessero le tenebre, il mondo oscuro delle oligarchie.
Giuseppe De Rita alla vigilia del voto ricordava come siano saltate tutte le cerniere tra corpo sociale e poteri. E da lì che bisogna ripartire per dare ascolto al corpo sociale con scelte condivise e non imposte.
Roma, 4 dicembre 2016