Audizione del Presidente della Associazione ex parlamentari Gerardo Bianco presso la 1 commissione Affari Costituzionali nell’ambito della indagine conoscitiva sulle riforme istituzionali
PRESIDENTE FINOCCHIARO. Ringrazio per la sua presenza il Presidente dell’Associazione ex parlamentari della Repubblica, Gerardo Bianco, cui cedo la parola.
BIANCO. Signora Presidente, desidero anzitutto ringraziarla per aver accolto il nostro invito ad essere oggi ascoltati su un tema che, ovviamente, interessa direttamente la nostra associazione. Mi riferisco alla questione principale su cui abbiamo orientato la nostra attenzione, che è la cosiddetta riforma del Senato della Repubblica, sia nella sua impostazione, così come prevista dal disegno di legge del Governo, sia negli effetti che una eventuale diversa – ci auguriamo – elezione del Senato può avere sulla legge elettorale e sul sistema democratico del Paese. La riforma così come concepita non può non avere degli effetti anche sulla riforma elettorale, per una serie di considerazioni che per brevità non sottolineo, ma che credo non possano sfuggire e che riguardano l’assetto democratico del Paese.
Per quanto concerne il Senato, voglio subito fare una precisazione. Nella stragrandemaggioranza, noi siamo ovviamente favorevoli alla differenziazione. Da tempoabbiamo portato avanti un discorso che riguardava una differenziazione e – quindi – ilsuperamento del cosiddetto sistema bicamerale paritario. Mi permetto di dire chel’argomento è presente fin dagli anni Settanta, quando presentai in questa sede unaproposta legislativa che prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto (lei, signora Ministro, non era ancora nata, perché si tratta di una proposta presentata nel lontano 1975). Purtroppo questo ritardo sta dimostrare che è giusto l’impulso che il Governo ed anche le forze politiche danno affinché si affronti finalmente questo problema.
A noi sta molto a cuore capire sulla base di quale principio si imposta questa riforma.
A nostro avviso, per come è concepita, l’effetto disgregante – uso un termine forte – sul piano della Carta costituzionale è assicurato. Secondo il mio punto di vista, che è confortato da analisi di importanti studiosi, l’effetto sarà – paradossalmente – esattamente contrario a quello che il Governo desidera. Si tratta, cioè, di un classico esito storico della eterogenesi dei fini: si finirà inevitabilmente per incontrare una serie di contrasti di posizioni, soprattutto quando si tratterà di affrontare temi che riguardano la legislazione nella quale anche il Senato, così come riformato, dovrà intervenire.
Faccio questa affermazione per dire che la nostra preferenza è indirizzata – ovviamente – verso quello che a suo tempo, come noto, Leopoldo Elia definì bicameralismo procedurale. Si tratta di un bicameralismo che non affrontava il problema, che oggi si deve invece affrontare, dello squilibrio che viene a determinarsi tra le due Camere, con una asimmetria che inevitabilmente avrà degli effetti negativi,
ma anche con una serie di contraddizioni ed aporie interne che immediatamente emergono dalla lettura del testo del Governo. Senza andare molto lontano, mi permetto di osservare che quando si prevede che «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato delle autonomie», ciò implicherebbe una sostanziale parità di funzioni. Tuttavia, non appena si passa al secondo comma, vi è già una differenziazione, con una serie di effetti, secondo me estremamente gravi, nel momento in cui si afferma che «Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione». Allora, se i componenti del Senato della Repubblica, che vengono eletti come previsto nel testo, non rappresentano la Nazione, cosa rappresentano? Inevitabilmente interessi particolari. Questa impostazione, peraltro, viene poi paradossalmente a scontrarsi – perché diventa un purus flatus voci, come dicevano i latini – con la definizione dell’articolo 5, che rivede l’articolo 67 della Costituzione, ove si sottolinea che «I membri del Parlamento esercitano le loro
funzioni senza vincolo di mandato». Ora, un presidente di Regione, o il sindaco di una città eletto senza che rappresenti la Nazione inevitabilmente finisce per sentirsi vincolato al mandato per cui è stato eletto, con effetti che non possono che essere quelli di rappresentare sostanzialmente una Camera delle rivalse, delle frustrazioni, delle contestazioni. Osservo ancora che il testo prevede che il Senato delle autonomie partecipa all’attuazione degli atti normativi dell’Unione europea, se non fosse che all’articolo 15 la Camera delle autonomie viene esclusa dalla ratifica dei trattati internazionali. Ad una lettura rapida ho contato 32 discrasie e contraddizioni. Tutto questo per una ragione molto semplice: lo stesso concetto del Senato delle autonomie, così come impostato, si scontra con l’assetto del nostro sistema istituzionale. La nostra Repubblica è «una e indivisibile», come sancito dalla Carta suprema: non è una Repubblica federale; non è la Repubblica dei Länder.
Visto che il Ministro ha richiamato anche l’attenzione ad un programma dell’Ulivo, del quale fui uno dei partecipi e fondatori, mi permetto di dire che in quel caso era abbastanza chiaro ed evidente che si voleva indirizzare il Paese verso la costruzione di uno Stato federale, peraltro collegato ad un sistema elettorale chiaramente indicato (che era quello del doppio turno), con una filosofia completamente diversa. Quindi, il richiamo alla coerenza rispetto a quel progetto non può essere rispecchiato in questo testo che, così com’è formulato, ripeto, avrà effetti assolutamente diversi da quelli che si vogliono raggiungere, ad esempio la rapidità delle decisioni. Vorrei ancora richiamare un altro elemento. La Camera delle autonomie può richiedere la presenza costante del Governo che, secondo una disposizione, è obbligato ad essere presente. Anche in questo caso, paradossalmente, così come è formulato, il progetto prevede una situazione asimmetrica all’interno della asimmetria del Parlamento, nel senso che c’è un Senato che da una parte perde ruolo e potere e diventa una Camera secondaria per tutta una serie di effetti, e dall’altra parte, finisce per avere poteri ed influenze tali, in una situazione di asimmetria, da determinare persino il blocco e quindi la difficoltà di procedere. Il groviglio, a mio avviso, invece di sciogliersi finisce per diventare ancor più gordiano, e non ci sarà nessun Alessandro a rompere il nodo con un colpo
di spada!
Questi sono una serie di elementi negativi ma ne cito anche un altro: la scelta della modalità di elezione, per esempio, dei giudici costituzionali, ovvero tre eletti da una Camera e due dall’altra, con una Camera che non ha un’investitura diretta. Anche qui c’è un problema rilevante che credo il Senato debba affrontare.
Vogliamo, come obiettivo, rilegittimare le istituzioni? Ebbene, la rilegittimazione delle istituzioni passa inevitabilmente attraverso una consultazione diretta di chi deve essere rappresentato; solo un bagno diretto di elezione del Senato, secondo logiche appunto tradizionali (che sono quelle dell’investitura diretta) può rilegittimare le istituzioni.
Il problema dei costi è facilmente affrontabile. La proposta di legge che, solo per memoria storica, ho citato risale al 25 novembre del 1975, e prevedeva una netta riduzione del numero dei parlamentari: metà deputati e metà senatori. Mi permetto di aggiungere che prevedere la riduzione dei membri della Camera dei deputati significa rendere la stessa più efficiente, perché è ben diverso gestire Commissioni con la metà dei membri o un’Aula che passa da 630 componenti a 315, o anche a 400. Questo renderebbe tutto più semplice, andando proprio nella direzione di ciò che il Governo giustamente insiste nel voler ottenere, ovvero la rapidità delle decisioni. Peraltro chi ha avuto lunghe esperienze alla Camera e al Senato sa che tale obiettivo sarebbe molto più facilmente conseguibile attraverso una seria revisione dei Regolamenti parlamentari: basterebbe utilizzare la sede redigente per poter accelerare i processi
legislativi e quindi ottenere risultati positivi. Detto questo, presenterò un dossier dove è contenuta della documentazione al riguardo.
Voglio concludere dicendo che a noi sembra rispondere meglio alle esigenze della giusta riforma del Senato il provvedimento presentato dal senatore Chiti, anche se, a mio avviso, deve essere corretto e rivisto soprattutto per le procedure. Mi permetto solo di osservare che il Governo, secondo una logica di celerità e di volontà dello stesso di attuare il proprio programma, sarebbe più facilitato dall’avere due Camere differenziate nelle competenze, senza l’obbligo della doppia lettura. Quest’ultima potrebbe essere realizzata solo se una delle due Camere, a maggioranza assoluta dei propri componenti, lo richiedesse per una correzione. Sappiamo, infatti, che spesso è lo stesso Governo ad aver bisogno di rivedere decisioni che sono state adottate. Chi ha lunga esperienza parlamentare sa bene che molte volte è proprio il Governo a chiedere all’altro ramo del Parlamento di correggere alcune delle decisioni adottate.
Tutto questo si otterrebbe molto più facilmente con la possibilità del Governo di scegliere l’una o l’altra Camera per l’approvazione di un provvedimento, senza bisogno di revisione. Aggiungo che c’è una piccola minoranza che aderisce all’idea di fare del Senato una sorta di Senato sul modello di quello francese (qui non siamo al Bundesrat, che è un modello completamente diverso, in un quadro diverso, in una coerenza diversa di Repubblica federale). Penso, in conclusione, che la cosa più importante sia cercare di ottenere l’obiettivo che il Governo si pone, proprio correggendo ciò che il Governo ha proposto.
PRESIDENTE FINOCCHIARO. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l’audizione odierna.
Rinvio il seguito dell’indagine conoscitiva in titolo ad altra seduta.
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Audiovideo della audizione del Presidente della Associazione ex parlamentari on. Gerardo Bianco presso la Commissione affari Costituzionali del Senato nell’ambito della riforma istituzionale