GERARDO BIANCO “NON ISCRITTO AL CLUB DEGLI STATISTI”

GERARDO BIANCO “NON ISCRITTO AL CLUB DEGLI STATISTI”

Gerardo Bianco nasce a Guardia dei Lombardi nel 1931 da Bonifacio Bianco, veterinario e geometra, e donna Maria, nobildonna originaria di Morra de Sanctis imparentata coi principi Biondi Morra: una famiglia della buona borghesia, si direbbe oggi, ma il piccolo Gerardo, come si suol dire, non “se la tirava”, giocava con tutti, studiava, aiutava i compagni meno bravi a fare i compiti, insomma era una perla di ragazzo di cui giustamente andavano orgogliosi i fortunati genitori.

Nulla faceva presagire l’impegno politico del piccolo Gerardo, che tuttavia si interessava alla contesa locale, ed esprimeva le sue idee con libertà seguendo con curiosità la nascita della Dc, e così dissociandosi dalla tradizione leggermente più conservatrice delle famiglie di origine.

Come tanti ragazzi del Sud, allora come oggi, Gerardo Bianco a diciotto anni diverrà “milanese”: entrerà nella prestigiosa università Cattolica, facoltà di lettere e filosofia. L’impronta milanese accompagnerà sempre Gerardo Bianco e altri compagni di università destinati a splendide carriere: Ciriaco De Mita, Riccardo Misasi, per dire i più noti.

Il sodalizio con De Mita nacque a Milano, nella frequentazione degli ambienti della sinistra cattolica lombarda, dove i due giovanotti irpini furono notati da quello che a buon diritto veniva considerato uno dei potenti d’Italia: Enrico Mattei, il presidente dell’Eni il cui nome si lega al sogno della autonomia energetica italiana. Mattei fondó una sua corrente personale nella Dc: la sinistra di “Base”, e ne affidó la leadership all’ex partigiano ,futuro ministro dell’agricoltura, Giovanni Marcora. De Mita, Marcora e Bianco crearono un ponte tra quel “milieu” lombardo e il fervido laboratorio della Dc irpina, dove imperava un giovane parlamentare che fu arruolato da Mattei come leader parlamentare della corrente: Fiorentino Sullo.

Gerardo Bianco era l’ intellettuale del gruppo, “il migliore dei numeri due” lo definiva De Mita, laddove il numero uno era lui. Bianco mise a disposizione del gruppo le sue relazioni di impronta borghese, compresa la frequentazione del salotto romano del suo parente  principe Biondi Morra, dove si narra che si mangiasse ancor meno che in casa Agnelli, al punto che una volta a fine serata Sullo e De Mita imposero una puntatina in pizzeria.

Gerardo Bianco si laureó con tesi su “Iunio moderato Cocumella”, di cui diverrà – secondo la Treccani- il massimo studioso nel mondo. Seguirà una cattedra universitaria in vari atenei italiani, l’ultima a Parma. Ma non sarà l’ università l’approdo esclusivo del professor Bianco: terminati gli studi, il suo amico De Mita era tornato ad Avellino, ed era divenuto- sulla scia di Sullo- segretario provinciale della Dc. Il numero due Gerardo Bianco lo seguì a ruota, prima succedendogli da segretario provinciale, quando Ciriaco divenne deputato, poi raggiungendolo a Montecitorio nelle elezioni del 1968.

Le immancabili baruffe democristiane divisero prima il duo della “Cattolica” dal leader Sullo, e successivamente frantumarono anche il sodalizio tra De Mita e Bianco, che pareva impossibile da scalfire. Scrisse il giornalista irpino Pasquale Grasso: “Sullo, De Mita e Bianco sono tra le intelligenze più attrezzate della Dc, uniti dominerebbero la scena e non ce ne sarebbe per nessuno”. La scena l’hanno dominata per anni, ma ognuno per conto suo: uniti non furono più. De Mita  e Bianco scalzeranno Sullo dalla leadership della Base e dalla guida della Dc irpina, fino a costringerlo ad abbandonare il partito( tranne poi rientrarvi anni dopo, su iniziativa proprio di Gerardo Bianco).

A dividere Bianco e de Mita sarà un diverso giudizio sulla solidarietà nazionale e l’autonomia dei gruppi parlamentari : la maggioranza dei deputati dc diffidava dell’intesa col PCI, e voleva essere guidato dal giovane vicepresidente Gerardo Bianco, che però era ostacolato dalle correnti; a quella carica teneva De Mita, ma i numeri non erano dalla sua. Bianco si candidó e vinse, contro ogni previsione. Ma con la vittoria si consumó una rottura personale che lo addoloró infinitamente.

Nella lotta al potere demitiano nel collegio irpino Bianco ebbe poche solidarietà : principalmente gli fummo a fianco noi giovani che fondammo in gruppo chiamato Proposta 80, sulla scia del gruppo nazionale del deputato lombardo Roberto Mazzotta, allievo di Marcora ,divenuto fieramente anticomunista ( l’asse Avellino-Milano continuava a funzionare).

Bianco combatterà il correntismo democristiano, e si rifiuterá di organizzare una corrente propria, individuando nel frazionismo la fonte della dissoluzione del partito e della nascita di circoli di malaffare. Verrà tangentopoli, che risparmierà quasi soltanto lui, l’onesto Gerardo che – immune da ogni sospetto- sarà anche il solo ad alzarsi virilmente in parlamento a denunciare l’attacco di alcune procure a corpi dello Stato( presenterà in proposito anche un esposto alla procura di Roma, mai preso in considerazione).

“Il cristiano è segno di contraddizione ” diceva Paolo VI e Bianco incarnava contraddizioni virtuose: lui onesto difendeva la Dc dall’ordalia animata da procure e giornali; lui anticomunista , qualche anno dopo, sarà chiamato a guidare il Partito Popolare alleato della sinistra, contro la frazione del partito che Rocco Buttiglione porterà all’intesa con Berlusconi.

In quella occasione le nostre strade si separarono, con grande dolore mio e suo. Prevarrà sempre il suo carattere mite e sincero, sia nel mantenimento dell’amicizia con me, sia nella ricomposizione umana con Buttiglione, che io celebrai con una memorabile serata a tre in birreria.

“Non sono iscritto al club degli statisti” amava dire Bianco, con un filo di snobismo. Invece era un uomo di Stato, come pochi e ben oltre un corso di onori che è stato generoso ma infinitamente al di sotto delle potenzialità di un personaggio che la Dc non aveva valorizzato fino in fondo.

Rimane il tenero ricordo dell’ultimo viaggio assieme a Nusco, per salutare Ciriaco De Mita. Bianco non volle avvicinarsi alla salma, “alla nostra età è solo un arrivederci” sussurró commosso. E infatti se ne andrà sei mesi dopo, nel dicembre del 2022.

Gianfranco Rotondi

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