Partigiani in convento di ENRICO MATTEI
(dai Discorsi di Mattei)
Dicembre 1945 – pubblicato da Mercurio
Quello che hanno fatto i religiosi in questa guerra ha dell’incredibile. In quasi tutte le formazioni partigiane c’erano cappellani, ufficiali e volontari. Non c’è stata una brigata, una divisione che non abbia avuto l’assistenza religiosa, il conforto agli infermi, ai moribondi. Il sacerdote partigiano era il fratello che confortava il fratello ammalato, ferito, il morente.
Fuori di quell’ora solenne, in cui la creatura ritornava al creatore, il sacerdote viveva la vita di stenti di pericoli coi partigiani.
Spesso assumeva il compito di ufficiale di collegamento, preoccupato di far giungere alle formazioni armi, cibarie, vestiario. Altre volte erano i sacerdoti che facevano da intermediari per lo scambio degli ostaggi.
Più guerriero che sacerdote
Accanto ai cappellani i parroci. Nelle zone occupate o battute dai partigiani il parroco era sempre il primo partigiani che si incontrava. Sfidando sospetti, rischi, perquisizioni, deportazioni, i parroci erano sempre pronti ad apprestare il loro aiuto.
Solo in una zona del parmense 15 sacerdoti vennero fucilati per favoreggiamento. La storia delle barbarie e delle sofferenze dei partigiani e del clero dovrà essere narrata. Si vedrà allora quanto hanno potuto l’amore cristiano e l’amore di Patria.
C’era un prete, anima di tutte le formazioni, che nell’adempimento dei suoi compiti sembrava più guerriero che sacerdote, Padre Carlo delle formazioni del Nord Emilia.
C’era una suora (Suor Cecilia di Como) che non dubitò mai di sfidare la sorveglianza dei poliziotti pur di portare notizie delle famiglie ai detenuti. Essa era in collegamento col servizio assistenza del comando generale, e recava ai partigiani alimenti e la parola soave del suo cuore.
Dal cappellano del carcere (Don Castelli), tutto dolcezza e comprensione, attendevamo ansiosamente la Messa. Fra il freddo invernale della tetraggine del luogo sentivamo il calore della sua parola. Vedevamo nel cappellano un partigiano senza distinzione politica. Era il fratello nostro maggiore, era il padre che confortava tutti, facendoti intendere fugacemente, durante la Messa, sotto gli occhi dei carcerieri nuove situazioni. Quando, dopo 37 giorni di detenzione, riuscì a fuggire dal carcere di Como, sorse contro Don Castelli una accanita diffidenza. Di fatti fu imprigionato e poi liberato grazie all’intervento del suo Vescovo. Un altro brutto giorno fu quando si seppe che il “posto andò bruciato”. Avevano arrestato il Colonnello Palumbo (Pieri) e Sogno (Franchi).
Dovevamo trovarci insieme da Monsignor Paolo, la cui casa era piena di documenti compromettentissimi. Era il luogo di riunione del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà e di tutti i capi delle formazioni democratiche-cristiane, il nostro quartier generale.
Vi si discutevano i piani, vi venivano decisi i colpi di mano, impartiti gli ordini.
Arrivavamo uno per volta con andatura circospetta, con le borse ricolme di “gravi carte”.
“Conferenza di San Vincenzo di Paoli” era la nostra parola d’ordine. Maria, la sorella di Monsignor Paolo era la nostra sorella maggiore, tutto cuore, tutta ansietà per noi. a Monsignor Paolo confidammo che Cadorna era con noi. era stato capitato degli alpini nella guerra 1915-18: egli volle essergli presentato. Era commosso per la nostra attività e volle lui pure fare qualcosa per l’Italia. e quanto ha fatto! Un giorno chiesi al mio fedele amico “Gino” di trovarmi un rifugio. Si doveva cambiare il posto di riunione del comando. “Gino mi presentò a Padre Edoardo”. Trovai in lui un’accoglienza più che fraterna. Non l’avevamo mai veduto. La sua alta figura, il suo viso sorridente, la sua accoglienza aperta, mi accertarono subito che potevamo contare su di lui come su di un grande amico. Fu molto lieto di aiutarci, di mettere a nostra disposizione i locali del suo laboratorio. Padre Edoardo volle conoscerci tutti. La sua affettuosità, il suo interessamento per la nostra attività, conquistò, commosse tutti. Di sopra, Padre Edoardo, nel suo ufficio lavorava per i giovani randagi, per gli ebrei nascosti, per gli scappati, per i perseguitati dalla polizia, ma di fuori il nemico cominciava a ronzare. Furono date le segnalazioni ammonitrici e “Gino” dovette ricercare un altro sicuro rifugio. Ci portò in un convento di suore, un grande e vecchio edificio poco distante dal punto dove, il 26 ottobre 1944 Saletta fece di noi una grossa retata.
Una grande impresa
“Gino” ci presentò a Madre Rosa Chiarina, la superiora generale, due occhi lucenti, intelligenti, vivacissimi. Appena ci vide la sua faccia si illuminò. Non sapeva chi fossimo. Sapeva da “Gino” che “cospiravamo” per liberare l’Italia dal tedesco. Fu felice di concorrere alla nostra impresa, dandoci tutto il suo aiuto. Dalle nove del mattino alle venti di sera restavamo in una stanza a lavorare senza sosta. La prima volta, verso sera, Madre Rosa Chiarina, non vedendoci uscire si preoccupò e venne a picchiare alla porta. Un bel giorno Madre Rosa Chiarina si trovò innanzi a noi, non più cospiratori, ma a comando generale militare del CVL. Le chiedemmo di ospitarci per la notte e di metterci a disposizione il telefono e qualche locale per mettere in piedi degli uffici. Madre Chiarina fu colta da evidente sorpresa, confusa di trovarsi impensatamente dinanzi al Comando. Avendo obiettato che non poteva darci ospitalità per la notte ,essendo un monastero femminile sottoposto alle leggi canoniche, le rispondemmo che noi eravamo da quel momento il Governo dell’Alta Italia e come tale investito di tutti i poteri in virtù dei quali proseguimmo alla requisizione di una parte del monastero. Quell’atto mise in pace la coscienza di Madre Rosa Chiarina. Era il pomeriggio del 25 Aprile. Partito l’ordine dell’azione in breve il monastero diventò quartier generale del CVL e vi alloggiammo comandanti, ufficiali di collegamento, staffette.
A nostra disposizione avemmo alcune suore che furono preziose nostre collaboratrici. Occupata la prefettura, la mattina del 26 Aprile vi trasferimmo il nostro comando, lasciando, non senza nostalgia, l’ospitale monastero. Subito dopo la Liberazione, il Generale Cadorna inviò alla superiora generale la lettera che mi piace qui riportare: “Milano 5 Maggio 1945. Reverendissima Rosa Chiarina Scolari, superiora generale delle suore della Riparazione, Corso Magenta, 79 – Milano.
Reverendissima Madre Generale,
il Comando Generale Militare desidera esprimerle i più vivi ringraziamenti per la cordiale ospitalità datagli nei giorni che precedettero la Liberazione, e nella memoranda notte che segnò la fine della tirannide. In quel giorno da codesta casa generalizia, di decisero le sorti di questa preziosissima parte dell’Italia, affidata al Corpo Volontari. Per noi queste ore di intenso lavoro, svolto nella serena quiete del suo monastero, rimarranno nel nostro più caro ricordo, come un giorno gli italiani conosceranno che da codeste mura partirono gli ordini per la resurrezione della Patria”.
Ricordando oggi questi fatti fra i tanti episodi della Guerra di Liberazione penso con ansietà ai rischi ed ai pericoli corsi dai tanti generosi e silenziosi collaboratori dell’azione partigiana. La loro opera non sarà dimenticata.
Enrico Mattei