Intervento Sen. Eufemi Maurizio alla Festa della Liberazione a San Mauro Torinese

Intervento Sen. Eufemi Maurizio alla Festa della Liberazione a San Mauro Torinese

Autorità civili, militari e religiose, Signore e Signori, Signor Sindaco Goggiola,

Ella mi ha reso un grande onore, invitandomi, a san Mauro, come senatore del collegio, a riflettere sulla ricorrenza del 25 aprile, nel sessantesimo anniversario della Festa della Liberazione, e prendere la parola in questa solenne cerimonia.

Ricordiamo oggi con la celebrazione del 25 aprile il giorno della Resistenza vittoriosa e della conquistata libertà; è festa di tutta la nazione, dalle Alpi alla Sicilia; una bellissima pagina di storia. Una data che unisce e che non può dividere perché appartiene a tutti, a ciascuno di noi!

Richiamiamo alla nostra coscienza l’alto significato ideale della Resistenza nella sua interezza dopo anni di sacrifici, di tristezze, di sofferenze.

E’ nel segno di valori unitari, della continuità tra le generazioni che si muove l’azione dello Stato il quale salda il passato e l’avvenire. Va rispettato il valore di unità di questa ricorrenza. E’ il popolo italiano che nel ricordo della somma dei sacrifici di eroismi di passione che caratterizzò la conquista della libertà celebra la sua rinascita ad una vita libera e civile.

Questo del 25 aprile è il giorno del riscatto che fa l’Italia libera, fiera della sua indipendenza, gelosa delle sue istituzioni democratiche protesa verso la giustizia e la libertà e il progresso. Questa è la grande eredità, questo è il retaggio incomparabile di valori che ci è stato affidato. Quell’avvenire di libertà che ci è stato lasciato dobbiamo costruire e difendere.

Il ricordo del passato è dunque un impegno per il futuro.

Sottolineiamo questi valori supremi con il ricordo commosso di quanti hanno sofferto per la libertà dell’Italia. Appartengo a quella generazione che non ha vissuto e combattuto, durante la Seconda Guerra Mondiale, ma quella dell’immediato dopoguerra e che ha recepito le testimonianze della tragedia che colpì la nazione intera.

Ricordiamo oggi il contributo individuale e collettivo dei tanti italiani diedero alla riconquista della libertà, un pluralismo di generosità e di coraggio, sacrificando anche la vita e sopportando sofferenze di ogni genere.

Forse nessuno meglio dei nostri comuni può rappresentare la “Resistenza silenziosa”, il rifiorire delle virtù civili che segnò il ritorno del popolo italiano alla libertà e alla democrazia.

I comuni hanno svolto un ruolo insostituibile; sono stati la spina dorsale del paese per la costruzione del nuovo assetto istituzionale della Repubblica e per la stessa vitalità democratica del nostro Paese.

Riscopriamo i valori fondanti del loro primato politico in quanto istituzioni più prossime ai cittadini; e intanto la storia ci conferma che ormai da mille anni il comune esiste, resiste e cresce come autentico presidio di libertà.

Ci tornano alla mente quei luoghi della montagna, delle valli, della piana, nei giorni dello sfaldamento del vecchio regime e dell’inizio dell’altra guerra che si combatté lungo la linea mobile del fronte, prima ancora che con le armi e con le formazioni partigiane, con il sacrificio, il dolore e la ribellione di tanta parte della società civile.

Federico Chabod, protagonista del patto di Chivasso non lontano da qui, maestro di tanti giovani storici del secondo dopoguerra, nelle lezioni che tenne a Parigi sull’Italia contemporanea, raccomandò che, nel raccontare le vicende della guerra di liberazione e della Resistenza, non si dimenticasse quell’alta realtà, civile e umana che sopportò la rabbia, la brutalità, le selvagge incursioni del nemico; che non si dimenticasse il ruolo di supplenza e di difesa svolto dal clero verso la popolazione civile.

Arturo Carlo Iemolo, altro maestro della storiografia liberale, ci ricordava come nelle città e nelle campagne, durante l’ultima guerra, si fosse compiuto – come non era avvenuto durante il Risorgimento – il miracolo dell’unione fra clero e popolo gareggiando in aiuto ai perseguitati. E’ un’ora storica che non dovrà essere dimenticata.

Emilio Taviani, che fu tra i protagonisti più nobili della Resistenza, amava rilevare come il legame fra la Resistenza politico-militare e la popolazione civile sia stato fondamentale.

Dunque, c’è una storia della Resistenza a livello della società civile; c’è un ruolo antico di supplenza della Chiesa, per un atto di cristiana comprensione per tutti, alleati e nemici. C’è infine una storia della Resistenza che è storia di un’Italia diversa di una patria naturale, profonda, e di una cultura che ha linguaggi e tempi diversi, una cultura che conosce incroci di civiltà nel Mediterraneo, verso il Sud e verso il mondo del nord.

Alla fine si unificarono nel segno di una diffusa insorgenza civile, umana, solidarista, infine patriottica, che va dal Sud al Nord.

La tragica serie dei massacri era incominciata subito, nel settembre del ’43, a Boves, in Piemonte, sgranandosi, in un rosario di morte.

Storia, dunque, di insorgenze militari ma anche civili contro la violenza atroce dei nemici, storia che non si chiude nel pianto, nella rassegnazione; gesti supremi di sacrificio (come Genny Bibolotti Marsili che distrae il soldato tedesco, lanciandogli uno zoccolo in faccia, per salvare il “figlioletto” che teneva nascosto).

Una antica canzone dei partigiani del Piemonte richiamata da De Gasperi recita:

“Perché combattere?”

“Perché questa antica parola Popolo suoni divina – al mio compagno – Signore e a me stirpe contadina”

Non ci sono, dietro le insorgenze civili, filosofie politiche, non c’e ancora la politica, ma c’è già l’idea di un domani diverso, in cui le parole pace, libertà, diritti umani, giustizia, convivenza vengono riscoperte e rivissute. Costituzionalizzare questa memoria, fu il compito di quegli uomini che combatterono e guidarono politicamente il Paese dopo la guerra. Questa architettura, la Costituzione della Repubblica, è il frutto della lungimiranza di una intera classe dirigente che si ritrovò unita da valori morali, senso dello Stato, amor di Patria.

Tra i Padri di questa Costituzione c’erano uomini politici di diversa impostazione culturale che ebbero il coraggio di tracciare l’idea di Europa. Fecero una costruzione solida fatta per durare nelle generazioni. Oggi la nostra Costituzione, nella prima parte quella che afferma i principi di libertà e i diritti civili, i principi fondamentali, i diritti e i doveri dei cittadini, i rapporti etico sociali è viva ed attuale, perché in essa gli italiani si riconoscono; vanno sostenuti gli sforzi per modernizzare quelle parti che riguardano il funzionamento delle istituzioni stesse.

Tradurre in scelte istituzionali di libertà e di democrazia le motivazioni della Resistenza, le speranze di un futuro di progresso, di civiltà e di ragione, questo il messaggio che viene ancora oggi dalla lettura di quelle carte dove sono scritte le vicende delle nostre popolazioni civili. La fine della guerra fredda e il crollo del Muro di Berlino aumentarono le speranze degli uomini liberi che avevano conosciuto e vissuto le sofferenze delle popolazioni nel corso del conflitto e le violenze disumane del “socialismo reale”.

Giorno della Libertà è divenuto il 9 novembre in ricordo solenne dell’abbattimento del Muro di Berlino, simbolo della oppressione comunista, eretto nella notte del 13 agosto 1961, incompatibile con la libertà.

Pace vuole dire anche giustizia fra i popoli, equità, umanità, convivenza, libertà.

Sottolineiamo questi valori supremi con il ricordo commosso di quanti hanno sofferto per la libertà dell’Italia.

Nei giorni scorsi il Senato ha affrontato, primo tra i Paesi fondatori, il trattato che ratifica la Costituzione europea.

Al termine della fase costituente siamo chiamati ad un momento significativo come la ratifica del progetto, con moltissime novità, e fortissime innovazione, che adotta la Costituzione per la Europa riunita, cancellando “frontiere contro natura”, ma anche una Costituzione senza stato.

” Imperfetta, ma insperata” l’ha definita Valery Giscard d’Estaigne.

Permane il rischio che l’esito sfavorevole di uno o più referendum potrebbe ritardare o ostacolare il cammino europeo e l’attenzione è posta sulla Francia per vedere se prevarrà l’opzione di un moderno realismo rispetto a scadute illusioni.

Non possiamo dimenticarlo: la coscienza europea non fu il prodotto di negoziati al tavolino fra le varie cancellerie, essa “maturò” – come ha ricordato il Presidente Ciampi a Leider attraverso «le tragedie vissute nel XX secolo”, liberandoci dagli atroci miti del passato e aprendoci la strada verso una convivenza di popoli, di fedi, pluralista, in una parola umana.

Una Europa che potrà diventare più forte se sarà unita per modernizzare le Istituzioni internazionali, affermare un multilateralismo capace di arginare un dilagante egemonico unilateralismo ritrovando un più forte legame euroatlantico basato sulla cooperazione e sulla sussidiarietà.

Questo Trattato, nonostante alcune criticità, pone le condizioni per affrontare e superare le sfide dell’allargamento, della mutata situazione mondiale che impone all’Europa riunita un ruolo di global player per coniugare forza e ragione e affermare una visione comune dei problemi anche con un nuovo ruolo di responsabilità nella pace e nella cooperazione internazionale.

L’Europa può svolgere un grande ruolo nella sfida della globalizzazione se afferma i valori del suo patrimonio storico-culturale.

Sono i valori di quel patrimonio prezioso che è l’umanesimo europeo – come ci ricorda quel grande pensatore che è Solgeniztin con la sua critica alla deriva illuministica. Raccogliamo il suo auspicio ad un moderno umanesimo cristiano come momento di riscossa ad una crisi e alla involuzione dell’illuminismo che ha preteso di sostituirsi al cristianesimo pur avendo fatto propri i valori più alti di libertà e di equità, ma recidendone la radice trascendente.

E’ stata recentemente istituita la giornata della memoria e del ricordo.

Ha avuto il paradossale risultato di risvegliare il sentimento delle ingiustizie e dei conti non regolati, piuttosto che di valori condivisi. Riteniamo che debbano essere soltanto momenti di pietà e di lutto e non di ira o di vendetta. Rispettiamo dunque la storia. Deve prevalere una memoria autenticamente condivisa e non la retorica di pluralità di memorie di cui ciascuno difende la propria.

I valori del dopoguerra sono ancora attuali. Da quelle scelte fu aperto un avvenire di libertà, di giustizia, di pace che dobbiamo mantenere nella nuova prospettiva europea.

La somma dei sacrifici che l’evento della guerra di liberazione è costato non deve essere dimenticato.

E soprattutto i giovani non possono essere indifferenti a quelle vicende.

Il 25 aprile è il giorno della festa nazionale della libertà, è il momento di formazione civile, di memoria, di speranza per il futuro, di riflessione sui valori che uniscono e che tengono viva e vitale la Nazione: i valori della Costituzione Repubblicana”. Esaltazione di valori morali che hanno portato l’Italia a costruire un solido avvenire di progresso nella libertà e nella democrazia esaltando quello spirito europeista, quella coscienza europea che ha portato nella libertà, la pace per cinquant’anni, con scelte preveggenti alla Europa riunita. La forza dei nostri valori e della nostra identità ci dà serenità e fiducia per il futuro e ci spinge, ancora una volta, a dire, tutti uniti “Viva l’Italia!”

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