Intervento in Aula su DPEF
(Doc. LVII, n. 2) Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2003-2006
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Eufemi. Ne ha facoltà.
EUFEMI (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, onorevole sottosegretario Vegas, senatori, questo Documento di programmazione nel quadro macroeconomico non si sottrae ad evidenziare elementi di criticità riconducibili al rallentamento della crescita internazionale dalle incertezze sui mercati finanziari, che per l’Italia si è tradotto in una caduta delle esportazioni. Né vengono sottovalutate le difficoltà ingenerate dal quadro economico nazionale, dalla pesante eredità dell’ extra-deficit e dalla crisi dei mercati borsistici.
Le opposizioni dimenticano o fingono di dimenticare che l’economia italiana vive, da oltre un decennio, ben oltre i cicli, un problema di crescita.
Le linee d’indirizzo puntano dunque ad una forte ripresa degli investimenti e dei consumi, al rafforzamento del tasso di crescita attraverso un forte contributo della domanda. Il Documento di programmazione economico-finanziaria conferma le scelte governative per la stabilità finanziaria nel quadro dei vincoli europei in coerenza con le interpretazioni di saggezza, con regole più flessibili, in considerazione non del caso italiano, ma della situazione francese, tedesca e portoghese, secondo il principio di close to bilance, le scelte di riforme soprattutto nell’ambito fiscale, le scelte di sviluppo e quelle di equità.
Ne deriva un valore obiettivo di indebitamento/PIL fissato allo 0,8 per cento per il 2003 che consente di guardare senza alcuna preoccupazione al principio europeo, perché si tratta, eventualmente, di scostamenti nell’ambito dei decimali.
Il quadro programmatico fa perno su tre riforme quali la riforma del fisco, quella del mercato del lavoro e la riforma della previdenza, nonché il rilancio delle privatizzazioni, la valorizzazione del patrimonio pubblico e una forte spinta alla infrastrutturazione del Paese.
Dall’insieme delle politiche attive, ne deriva un più alto livello di crescita e di occupazione con una relazione forte tra crescita e riforme strutturali. Sono questi gli obiettivi che ci proponiamo, rifiutati solo da chi ha una visione miope, provinciale e distruttiva della situazione.
L’opposizione vuole confermare la ragionevolezza delle proprie posizioni con le critiche avanzate nel precedente documento, dimenticando che oltre l’11 settembre è cambiato il mondo, e che a seguito degli eventi dell’11 settembre si sono avuti riflessi anche sui mercati finanziari con la violazione delle regole contabili, come nel caso Enron e nel caso di WorldCom, la crisi argentina, l’esplosione della bolla e conseguente crisi delle borse internazionali.
Non mi soffermerò sul quadro macroeconomico che pure punta a forzare la crescita – dopo i riflessi dell’azione terroristica – ad una forte riduzione del debito, a ridurre la pressione fiscale concentrata sui redditi più bassi a dimostrazione che la Casa delle Libertà realizza non solo progetti ambiziosi di riduzione delle imposte per le famiglie e per le imprese, sia attraverso la riduzione dell’IRPEG, con la progressiva abolizione dell’IRAP, sia mediante la riduzione di quel cuneo fiscale che fa perdere competitività alle imprese, ma realizza la solidarietà più vera e autentica non quella fondata sull’assistenzialismo.
Siamo impegnati in una forte riduzione fiscale ottenuta attraverso un vasto programma di riforma delle imposte erariali e della progressiva eliminazione dell’IRAP; apprezziamo la prudenza nell’attuazione della riforma procedendo con gradualità e in forma modulare nell’impiego delle risorse disponibili. Ecco perché assegniamo valore strategico alle riforme strutturali: sono tutti elementi propulsivi per lo sviluppo. Altro che il vostro slogan: “dallo sviluppo al declino”.
Il declino è quello di un Paese che durante i Governi della sinistra ha perso competitività con quote di mercato scese dal 4,9 al 3,8 con una diminuzione netta del 20 per cento e che invece, nel 2001, mostrano segni di ripresa.
Siamo stati accusati di colpire la piccola e media impresa quando è vero il contrario. La sinistra si vuole accreditare come grande dialogatrice delle piccole e medie imprese, ma le vostre scelte dimostrano il contrario: avete privilegiato il rapporto con il grande capitale e con la grande impresa, in una visione veteromarxista che guarda al lavoro dipendente. I Governi dell’Ulivo hanno portato l’aliquota di prelievo per le medie e grandi imprese al 30,6 per cento, nei distretti industriali del Nord-Est era del 69,4 per cento (sono dati di Mediobanca). L’IRAP ha colpito pesantemente i settori dell’outsourcing, della esternalizzazione, dell’imprenditorialità diffusa, del contoterzismo, e quelli a più alta intensità di lavoro cosa che noi vogliamo correggere.
Condividiamo la forte spinta alle privatizzazioni per la riduzione del debito, con le operazioni programmate pienamente condivisibili perché guardano alla difesa degli interessi strategici e soprattutto non significano svendite.
È stata imbastita, a sinistra, una polemica sulle valutazioni di Eurostat. Non vi è stata alcuna condanna. Nessuno ha evidenziato che la convalida delle operazioni di cartolarizzazione avrà riflessi positivi sull’indebitamento dell’anno in corso e del 2003.
Guardiamo a ridurre l’area pubblica per migliorare i conti pubblici, per incrementare la spesa di investimento, per riqualificare la spesa pubblica e l’efficienza del sistema, riducendo la spesa per beni e servizi con incisivi programmi di razionalizzazione per liberare risorse per l’occupazione e lo sviluppo.
Tutto ciò non significa nessuno smantellamento dello Stato sociale. Abbiamo espresso, tuttavia, alcune preoccupazioni.
Occorre compiere uno sforzo per un’applicazione indistinta dei princìpi contabili zero budget in contrasto con le tecniche incrementali, per non comprimere i fondi per la ricerca scientifica perché potranno essere individuati nuovi canali di intervento con le imprese. Ma la ricerca non è solo stipendi, è anche programmi e soprattutto il futuro del Paese.
Abbiamo visto con preoccupazione il problema della crisi idrica nel Mezzogiorno. Un problema che abbiamo certo ereditato. Possiamo e dobbiamo guardare all’emergenza idrica, ma soprattutto al futuro e allora non possiamo dimenticare che l’azione della Cassa per il Mezzogiorno fu bloccata proprio nel momento della fase di completamento delle opere idriche. Dobbiamo riprendere in mano la questione ed affrontarla in modo deciso. Perché con l’assenza dell’acqua non solo manca un servizio primario e non si assicurano livelli di vita civile, ma viene meno ogni possibilità di localizzazione di investimenti produttivi.
Copertura dei programmi del ciclo dell’acqua, dissalazione, riutilizzo integrativo comprensivo dei programmi di sistemazione idraulica forestale, con un grande obiettivo per il Sud di 500.000 ettari di nuovo bosco entro i prossimi dieci anni.
Condividiamo una forte scelta come quella operata in questo Documento di programmazione economico-finanziaria di destinare alle aree sottoutilizzate risorse addizionali rispetto ai flussi ordinari di spesa, indispensabili ad uno sviluppo stabilmente al di sopra di quella nazionale e di quella media europea, favorendo così una crescita armonica del Paese.
Occorre, inoltre, recuperare risorse al settore del turismo; una risorsa che va valorizzata estendendo la legge n. 488 al turistico alberghiero come risposta efficace e forse risolutrice di molti problemi.
Interrogativi si pongono – lo ha sottolineato il sottosegretario Vegas – rispetto alla società Sviluppo Italia, rispetto al conto consolidato, alla situazione finanziaria e alla sua organizzazione, al piano industriale e dunque rispetto alla sua missione strategica.
Non possiamo non ricordare che il Documento di programmazione economico-finanziaria 2003 è approvato nel giorno stesso dell’accordo sul Patto per l’Italia che segna la rottura della unità sindacale.
Nonostante i grandi obiettivi raggiunti sul fisco e sul welfare, e nonostante nessuna riduzione delle prestazioni sociali e la previsione di modifiche all’articolo 18 limitate nel tempo e per le piccole imprese, nonostante migliori condizioni per le indennità di disoccupazione, la CGIL si tira fuori, confermandosi il partito del no. Cofferati fino all’ultimo ha tentato di impedire un accordo che guarda al futuro del Paese. Ha fatto ancora una volta una battaglia di retroguardia come nel 1984 sulla scala mobile.
Sorge, allora, un problema di democrazia. Chi ha il potere di porre veti? Le forze politiche parlamentari o il sindacato affiancato dai no-global e dai girotondi? Certo esiste un problema di concertazione (come ricordava il senatore Morando) e di dialogo sociale, senza che questo significhi veti paralizzanti.
Oggi l’opposizione riscopre lo stile, che ritenevamo superato, dell’attacco frontale al Ministro dell’economia nella convinzione che tale azione sia risolutrice per mettere in crisi l’Esecutivo nel suo complesso.
Una breve riflessione nell’ambito delle politiche istituzionali e sul federalismo fiscale si impone. Non è stata affrontata finora la materia della autonomia finanziaria essendo riservata ad altro provvedimento. Ma la disponibilità di risorse necessita per l’attivazione delle competenze regionali in materia di sicurezza, sanità, istruzione, oggetto del disegno di legge n. 1187 di modifica dell’articolo 117 della Costituzione.
Come si concilia il rispetto dei vincoli del Patto di stabilità con l’autonomia regionale e soprattutto se non vi è il rischio di duplicazioni di strutture e competenze con conseguenti aggravi per il bilancio statale in conseguenza dell’intesa del 30 maggio 2002 in sede di Conferenza Stato-regioni-città, laddove si prevede il trasferimento di risorse necessarie per lo svolgimento delle competenze legislative esclusive e amministrative.
Mentre si rafforza l’esigenza di regole di finanza pubblica più efficaci, non è sufficientemente chiaro come i governi locali concorreranno al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica rispetto agli impegni assunti in sede di Unione monetaria. Dobbiamo, cioè, evitare che i governi locali aumentino il livello di tassazione attraverso imposizioni addizionali o con altre iniziative, a fronte dell’obiettivo di riduzione della pressione fiscale. Dobbiamo verificare se non sia il caso di affrontare una astratta devolution combinata con riforme istituzionali svincolate da una coerente architettura e di stabilizzare e correggere un sistema che rischia di naufragare nel più completo disordine.
Non possiamo non rilevare come questo Documento ha avuto l’apprezzamento delle categorie sociali, perché punta alla competitività e alla crescita non inflazionistica. Il nostro impegno è che non ci siano ritardi nella realizzazione della manovra, affinché le imprese ne possano trarre i benefici attesi.
Ai punti di debolezza strutturali, che rappresentano fragilità di sistema, quali bassa qualità dei prodotti, bassa spesa per ricerca e nanismo, si contrappongono i punti di forza che occorre valorizzare, quali la ricchezza finanziaria delle famiglie e la profittabilità delle imprese, la industria finanziaria efficiente e stabile, l’elevato tasso di imprenditorialità, la moderazione salariale, perché gli stessi lavoratori sono ormai rentier orientati alle attività finanziarie e dunque meno propensi all’inflazione.
Se esalteremo i punti di forza del sistema rimuovendo e attenuando i vincoli, favorendo l’imprenditorialità e la mobilità delle risorse, la promozione della concorrenza attraverso il progresso tecnico sotto forma di valori immateriali e dunque in senso dinamico e non statico, determineremo le condizioni per effetti positivi nella crescita dell’economia.
Onorevole Presidente, onorevole Sottosegretario, onorevoli senatori, per ottenere una crescita economica sostenuta e costante, occorre avere il coraggio di contenere la spesa pubblica in modo strutturale in una misura non lontana dalla media europea, perché la spesa pubblica abbassa la produttività anche dell’intero sistema economico. Occorre essere europei quotidianamente e non a giorni alterni.
Ciò non significa ridurre il ruolo fondamentale dello Stato, significa piuttosto spingerlo ad efficienza, ad abbandonare quei settori dove i privati possono fare di più e meglio. Sono queste le condizioni necessarie e indispensabili per considerare credibile l’obiettivo di una crescita ambiziosa come quella che ci proponiamo.
Per queste ragioni, mentre respingiamo le critiche delle opposizioni sulla credibilità della manovra, esprimiamo il valore e la sostenibilità degli obiettivi, che non possono essere messi in discussione da impostazioni culturali che segnano il passo nel mondo industrializzato e che richiedono, tuttavia, prudenza e attenzione sulle variabili reali e su quelle di finanza pubblica, insieme ad una coerente azione riformatrice.
Per queste ragioni e con queste considerazioni, esprimiamo il nostro consenso alla relazione del senatore Grillotti e alle linee programmatiche del DPEF