Intervento in Commissione Bilancio del Senato su riforma contabilità

Intervento in Commissione Bilancio del Senato su riforma contabilità

(1492) AZZOLLINI ed altri: Modifiche alla legge 5 agosto 1978, n. 468, relativamente alla denominazione e al contenuto della legge finanziaria. Delega al Governo in materia di conti pubblici, rinviato dall’Assemblea in Commissione nella seduta del 17 settembre 2002 (1548) MORANDO ed altri: Modifiche alla legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, relativamente al titolo I, IV e V, in tema di riforme delle norme di contabilità pubblica, rinviato dall’Assemblea in Commissione nella seduta del 17 settembre 2002 (1979) EUFEMI: Modifiche ed integrazioni alla legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, in materia di contabilità di Stato (Seguito dell’esame congiunto e rinvio)

Si riprende l’esame congiunto sospeso nella seduta del 20 marzo.

Il senatore EUFEMI espone l’iniziativa di cui è proponente, che nasce dalla conoscenza anche storica della nostra tradizione contabilistica, che va dal progetto Sella ripreso dalla Scialoja, la legge Cambray Signy del 1869, al metodo di Cerboni del 1872 alla legge Magliani del 1883, alla legge De Stefani del 1923 fino alla legge Curti del 1964, che trasformò radicalmente la struttura del bilancio statale con l’unificazione in un unico disegno di legge di tutti gli stati di previsione della entrata e delle spese e una nuova classificazione economia e funzionale delle entrate e delle spese, alla legge 468 del 1978, che segnò il passaggio dalla legge di bilancio alla politica di bilancio con manovra annuale, fino alle modifiche più recenti, che hanno segnato il passaggio forte alla programmazione finanziaria, l’introduzione dell’unità previsionale di base, muovendo da previsioni di sviluppo e ampliando la portata della manovra. Richiamando l’esperienza dell’ultima sessione di bilancio, sottolinea tuttavia la necessità di interventi correttivi urgenti della legislazione vigente per determinare una decisione di bilancio funzionale agli interessi del Paese nel mutato quadro europeo, riprendendo il cammino riformatore. Occorre inoltre assicurare l’indispensabile coordinamento tra la finanza nazionale e la finanza locale, attraverso meccanismi di raccordo ulteriori rispetto agli interventi realizzati in questi ultimi anni attraverso il Patto di stabilità interno, nell’ambito di un’autonomia responsabile, tenendo conto delle novità introdotte al titolo V della Carta costituzionale. Il rispetto delle regole europee deve trovare un momento forte di coesione tra tutti i livelli di governo ponendo in essere limiti più stringenti finalizzati al contenimento e alla razionalizzazione dell’aggregato della spesa pubblica nella consapevolezza che il passaggio dalla “legge finanziaria” alla “legge di stabilità” non deve essere solo un mutamento nominalistico o terminologico ma deve assumere il significato forte del passaggio a una fase politica diversa, dopo il trattato di Maastricht. Rileva quindi come la creazione di buone regole di finanza pubblica costituisca oggi una condizione necessaria anche se non sufficiente per porre in essere una politica ottimale per realizzare obiettivi di stabilizzazione e di sviluppo. Ricorda altresì che l’articolo 28 della legge finanziaria 2003 rappresenta un indubbio passo avanti, recependo la necessità di creare una rete telematica che permetta una conoscenza in tempo reale dell’andamento dei flussi di finanza pubblica sia dello Stato che degli enti decentrati, insieme ad efficaci sistemi di rendicontazione. 

Si vanno a definire gli strumenti per la realizzazione del consolidato di cassa della pubblica amministrazione quale esigenza eticamente, politicamente e gestionalmente necessaria, affiancando alle procedure oggi in vigore un meccanismo che porti direttamente a disaggregare le informazioni disponibili secondo le varie esigenze. Sottolinea poi come il recupero del ruolo del rendiconto – che, con il trattato di Maastricht, ha assunto dignità di norma sovranazionale – costituisca la base di tutte le riforme istituzionali, assicurando l’esercizio di un’efficace funzione di controllo da parte del Parlamento. Osserva inoltre che la strada maestra dell’innovazione politica ed amministrativa si fonda su nuovo modo di fare la legge finanziaria, con il passaggio, solo apparentemente tecnico, che comunque è già nei fatti, da una gestione di competenza ad una gestione di cassa. Ribadendo le perplessità già espresse in passato su iniziative quali il decreto “bloccaspese” (che, se da un lato ha consentito di contenere le spese, dall’altro consente al Ragioniere generale dello Stato di decurtare la manovra di bilancio decisa dal Parlamento), ricorda le polemiche sul fabbisogno e sull’indebitamento netto. Evidenzia che la gestione per “competenza” – che si basa sull’affidamento a ciascuno dei vari livelli dì responsabilità politica ed amministrativa di un importo da spendere per scopi definiti, di fatto senza limiti di tempo – colloca la concorrenza tra i vari soggetti politici ed amministrativi non sull’efficienza oppure sull’efficacia della spesa bensì nella fase, tutta politica, dell’approvazione della legge finanziaria, vincolata esclusivamente dal Patto di stabilità. Tale importo vale tanto più se non viene speso. Da qui l’assenza strutturale della cultura del rendiconto, nell’attuale sistema. La spesa pubblica tende a divenire strutturalmente inefficiente, a frantumarsi in rivoli sempre più piccoli, in luogo di strumento di soluzione di problemi strutturali. I tempi di realizzazione si dilatano e cosi il loro costo, si allarga la “faglia” istituzionale tra i cittadini e gli eletti, la macchina amministrativa ha un alibi colossale a “non fare” e la concorrenza tra le forze politiche alimenta continuamente questo alibi. Non c’è alcun incentivo a spendere presto e bene, al contrario, si rileva tutti i giorni l’esistenza di un formidabile incentivo a comportamenti opposti. Con la gestione per cassa che si propone si vuole dare forma giuridica ed istituzionale coerente a una strada di fatto già intrapresa, ponendo in essere sostanzialmente un quadro macroeconomico di medio periodo, che sia allo stesso tempo un vincolo ex ante all’uso del denaro pubblico e un documento di direzione di politica economica, prevedendo una verifica di cassa mensile per ogni livello di governo. In questo modo tra i vari soggetti responsabili della spesa si crea un meccanismo competitivo in quanto le risorse non si possono tenere ferme. Si apre così la strada ad una cultura politica ed amministrativa di “zero budgetíng”, che annulla ogni anno le rendite di posizione acquisite e riporta correttamente tutto ad una forma di concorrenza tra le amministrazioni basata sui risultati. La legge finanziaria, dovrebbe essere quindi un documento fondamentalmente non emendabile, contenente gli elementi di direzione di politica economica in un quadro macroeconomico di medio periodo ed i vincoli ex-ante all’uso delle risorse pubbliche.

 Il Titolo V della Costituzione andrebbe applicato costruendo, dentro i paletti della legge finanziaria, un budget di cassa mensile per ogni livello di governo, con una verifica costante dei risultati. Illustra quindi nel dettaglio i singoli articoli del disegno di legge n. 1979. L’articolo 1, redatto in forma di novella alla legge n. 468 dei 1978, definisce in termini di cassa il quadro programmatico macroeconomico entro il quale deve svolgersi l’attività di tutta la Pubblica Amministrazione. Con i capoversi 2-ter e 2-quater dell’articolo 1, si ridelinea la ripartizione delle competenze tra Governo e Parlamento, rafforzando, in sede di approvazione della legge finanziaria, il potere di proposta del Governo mentre al Parlamento spetta il potere di controllo e approvazione. Ad esso spetta in particolare il compito di fissare dei limiti al prelievo e al debito che dovranno essere tassativamente rispettati dagli esecutivi, sia da quello centrale che da quelli periferici. Il capoverso 2-septies dell’articolo 1 definisce in particolare il significato operativo del federalismo fiscale ovvero la diffusione coerente, a livello di territori, quindi di governi locali, dei limiti di utilizzo delle risorse pubbliche disponibili fissate dall’articolo 1. L’articolo 3 è teso al raggiungimento, da un lato, dell’obiettivo di contenere la crescita annuale della spesa corrente al netto degli interessi al di sotto dei tasso di inflazione in modo da generare un suo calo in rapporto al PIL, e quindi un saldo attivo da destinare alla riduzione dei deficit annuale di cassa, alla crescita degli investimenti e quindi maggiore crescita annua e alla riduzione del debito innescando un circolo virtuoso con conseguente miglioramento del saldo annuale derivante da una minore spesa per interessi da destinarsi ai due scopi citati. Il secondo obiettivo è bloccare la crescita del debito garantito e non garantito che deriva dalla minore spesa conseguente a rinvio di pagamenti, e non dalla riduzione strutturale della spesa, oltre alla crescita del debito relativo a deficit annuali di cassa prolungati ed eccessivi. Con questo provvedimento si costringono le amministrazioni a vendere il patrimonio per ridurre il debito. L’articolo 4, infine, pone in essere un meccanismo di concorrenza interna tra i territori e tra le amministrazioni al fine di premiare l’efficienza ottimizzando l’impiego delle risorse pubbliche e migliorare la cultura amministrativa del Paese. Sottolinea infine l’esigenza di intervenire sul procedimento di esame dei provvedimenti di bilancio non consentendo la riproposizione degli emendamenti respinti se non sottoscritti da un certo numero di senatori. Osserva in proposito come la modifica dei regolamenti parlamentari debba mirare a rafforzare i poteri dei Presidenti delle Camere e il ruolo della Commissione bilancio, recuperando il suo compito di filtro del lavoro istruttorio.

Su proposta del PRESIDENTE la Commissione conviene quindi di rinviare il seguito dell’esame congiunto.

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