ALDO MORO TERZIARIO DOMENICANO E COSTRUTTORE DELLA POLITICA
articolo di Giulio Alfano pubblicato il 17 novembre 2020 sul sito dell’Istituto Emmanuel Mounier – www.istitutomounier.it
Capita,a volte, di riflettere su avvenimenti che appartengono ormai alla storia e che,nonostante tutto,fanno parte anche della nostra vita privata. È più o meno quanto succede a chi scrive queste brevi note ripercorrendo l’impegno politico di un protagonista sempre attuale della nostra storia politica: Aldo Moro. Ho avuto,giovanissimo, la possibilità di incontrarlo, conoscerlo condividere con lui riflessioni e giudizi e fu lui a guidarmi nei primi passi all’interno della Democrazia Cristiana. Ringrazio la casualità di questo incontro che avvenne per motivi familiari a Bruxelles, che mi ha fornito a me ragazzo la ricchezza del suo insegnamento politico,culturale e soprattutto umano,fondato essenzialmente sull’esempio e ancor oggi la sua elevata statura morale lo rende non sempre facilmente collocabile in un ambito storico tanto diverso da quell’epoca eppure altrettanto bisognoso di Maestri e di esempi.
Complessivamente la sua leadership all’interno del variegato mondo democristiano è durata vent’anni,dal 1959 al momento della sua tragica fine:si trattava tuttavia di un rilievo “etico”di uno spessore “morale” che nulla aveva in comune con il posizionismo della politica tradizionale e conservatrice perché esprimeva un costruttivo e responsabile impegno per una concezione della politica legata alla “potestas” che egli offriva,interpretando il vissuto della società civile. Era in sostanza, un intellettuale della politica,nel quale l’epifania della parola diveniva elemento di purificazione della stessa politica,da reinterpretare alla luce delle non facili esigenze di una società in costante e rapida trasformazione.
Artefice di una concezione della politica fondata sul confronto,ricercava sempre una feconda solitudine propria del mastro di pensiero che operava per raggiungere una visione comune tra forze politiche anche alternative tra loro per concezione e retaggio storico. Ne nasceva un progetto che si alimentava della sua profonda cultura meridionale,attraverso un ermetica concezione del linguaggio che esprimeva un ascetismo sociale proprio della sua formazione per una duplicità di ragioni. Da un lato vi era l’uomo di fede che,alla vigilia della seconda guerra mondiale nel1939 e prossimo ad assumere la carica di Presidente della FUCI,avverte il bisogno spiritual di entrare nel Terz’Ordine Domenicano assumendo il nome religioso di Frà Gregorio,in onore di Padre Gregorio Inzitari,Direttore della Fraternita di S. Nicola di Bari. Dall’altro vi era l’acuto intellettuale onusto di studi giudici e filosofici improntati alla cultura di S. Tommaso d’Aquino che,osservando la realtà sociale avverte la necessità di un nuovo modo di vivere la ritrovata e sofferta democrazia rappresentativa nel secondo dopoguerra ed in questo l’insegnamento della filosofia politica dell’Aquinate gli sarà fondamentale ed indelebile:Soprattutto resterà il “metodo” politico che Moro mutua da S. Tommaso:esattamente come il Dottore Angelico avvertiva nel medioevo di svolgere un attenta “mediazione” tra i ceti dell’epoca per pervenire alla promozione dell’uomo “gloria Dei”, così Moro trasforma quel “medium” in una attenta mediazione tra i partiti politici del secondo ‘900 portatori in democrazia di interessi sociali,culturali diversi ma non opposti:conquistare alla democrazia tutti attraverso il dialogo! Questo è l’insegnamento domenicano che resta vivo in Aldo Moro per tutta la sua attività. politica ed accademica!
In un saggio pubblicato dalla rivista “Studium” di cui fu direttore,nel maggio 1945 a poche settimane e giorni dalla fine della guerra,egli sosteneva l’esigenza della “purezza” come libertà interiore e come indipendenza morale da condizionamenti esterni ed estranei alla coscienza,sottolineando come l’intelligenza non dovesse consumarsi in se stessa perché era “doveroso” riconoscersi in quanto cristiani oltre e al di là delle divisioni ideologiche,”tutti puri e liberi,disposti solo all’ossequio della verità che è tutto!”(�Studium,n.2,1945):altro fondamentale inegnamento della Scuola del S.Padre Domenico!
Tuttavia già allora era nitido nella sua coscienza un itinerario fondato sulla costante ricerca dell’accordo come presupposto della visione democratica oltre che cristiana,della politica,che comunque non doveva rinunciare alla difesa ed alla proposta delle proprie legittime posizioni. Lo strumento verbale perció diventa in Moro accorta mediazione fondata sul potere orfico della parola,come capacità di svelarsi dell’uomo,segnato dalla potenzialità creaturale del “dirsi”,del dialogo che è l’essenza della socialità . Ció lo rendeva praticamente unico all’interno anche del suo partito al quale si iscrive con notevole sofferenza sostenuto dal mons.Marcello Mimmi,futuro Cardinale Arcivescovo di Napoli,perché i vecchi popolari antifascisti pugliesi lo vedevano con sospetto giacché era stato Presidente della FUCI,organizzazione tollerata dal regime fascista.Ma la sua estraneità ad ogni forma di dottrinarismo,persuaso che la coscienza religiosa dovesse vivere nella politica,lo rese capace di unire in breve tempo anche nel suo territorio le forze del lavoro,nel pieno vigore della missione del cristiano nel mondo. In questo senso egli apparteneva alla cultura della mediazione politica,dell’intesa su tutto ciò che non rappresentasse un cedimento alla stanchezza della gestione ordinaria degli eventi e la lunga e sofferta vicenda dell’allargamento delle basi democratiche del nostro paese,ne è l’esempio forse più nitido,per recuperare la società civile al metodo della democrazia ,non solo procedurale ma partecipata ,condizione indispensabile per tutelare e conservare la libertà. In lui proprio in virtù della formazione domenicana risalta la lettura che del tomismo aveva dato a partire dagli anni ’30 il filosofo francese Emmanuel Mounier(1905/1950)del quale ricordava la lezione della libertá nella condizione “totale” della persona,perché, dice Mounier: “La libertà è sorgente viva dell’essere e un atto non è propriamente umano se non trasfigura anche i dati più ribelli nella magia di questa spontaneità e la libertà dell’uomo è la libertà della persona che tuttavia è vincolata e limitata dalla nostra situazione concreta e storica” (” Il Personalismo”,ed.AVE 1964,p.97). Ecco nel personalismo di Mounier Moro trova l’humus per la sua proposta e l’attualizzazione del suo retaggio culturale. Per questo motivo agì sempre con gradualità ed attenzione,come fece sin dall’esordio del centrosinistra nella seconda e terza legislatura e quando assunse la carica di Segretario Politico della D.C.nel 1959 mentre le relazioni del partito con gli altri partners politici centristi erano in una situazione di grave deterioramento tanto che non si era riusciti a dar vita stabilmente ad una compagine governativa.
E dopo le dimissioni del governo Fanfani ci fu una breve esperienza del governo Segni,molto precario e sostenuto dall’esterno dal Partito Liberale. Erano anni intensi;sullo scenario internazionale l’avvento alla presidenza USA di Kennedy e al soglio pontificio di S.Giovanni XXIII sembrava rendere possibile il superamento di obsoleti blocchi ideologici oltre la guerra fredda e l’antico blocco delle sinistre era attraversato da non poche tensioni dopo i fatti di Ungheria del 1956. Si trattava di mettere il partito socialista nelle condizioni di cogliere nei rapporti con la D.C. un elemento di quella autonomia socialista che il leader PSI cercava ormai da tempo e l’approdo poteva essere un organica collaborazione di governo assai temuta dai poteri economici forti anche internazionali. L’operazione di superamento dei governi centristi fu piuttosto lunga e duró diversi anni,con un accorta mediazione che esprimeva uno sforzo intelligente di conoscenza dello sviluppo oggettivo della situazione,senza esporre la giovane democrazia italiana ad alcun pericolo salvaguardando il ruolo guida della D.C. come partito ma soprattutto come cultura politica in grado di esprimere maturità e senso dello stato,eredità faticosamente conquistata dall’opera politica di Alcide De Gasperi.,per un mondo cattolico maturo al senso dello stato.
Uno dei motivi per i quali Moro non risulta di particolare attualità è probabilmente la sua estraneità ad ogni forma di alternativa,soprattutto ideologica e tale estraneità era in relazione al timore che essa avrebbe potuto spezzare e frantumare lo schieramento politico del sistema proporzionale,costringendo la d.C. a scegliere un versante o l’altro,mentre per lui doveva restare sempre al centro non del potere ma della strategia politica e in ció si invera il profondo umanesimo popolare moroteo.. Egli riteneva che la D.C. dovesse restare elemento di riferimento di quei processi che avrebbero dovuto aiutare il nostro paese a non temere per il mantenimento della democrazia,allargando a tutte le forze politiche il consenso allo stato e alla costituzione repubblicana.
Aldo Moro ha vissuto e prodotto strategie politiche in un momento storico in cui la democrazia doveva ancora compiersi e a come far procedere la politica nel momento in cui si trovava. Gli anni ’70 con tutto ció che hanno rappresentato nel nostro vivere civile indicavano scenari politici nuovi che egli interpretó con duttile linguaggio ma mai indeterminato,formulando una proposta articolata di rinnovamento delle relazioni democratiche.Si muoveva nella prospettiva di una distinzione tra stato e società ,non dimenticando però di differenziare la società politica da quella civile,comprendendo in essa sia le istituzioni statali che i partiti politici,considerati strumenti indispensabili di mediazione proprio tra lo stato e la società.
Alla metà degli anni ’70 il pluralismo sociale assume nella prospettiva morotea una maggiore autonomia rispetto al politico perché si enuclea uno spazio sempre maggiore rendendo più difficile la relazionalità unitaria con la struttura politica;rivaluta in quegli anni l’identità cattolica dell’azione politica,secondo un ottica etica portandosi su un terreno di sostanziale alterità con buona parte degli esponenti del suo stesso partito. Voleva una D.C. non rappresentante egemone di tutta la società, ma attenta all’ascolto alla riflessione sollecitando una concezione di partito “sociale” e non elemento di puro raccordo elettorale,rispettoso viceversa delle diverse esperienze maturale nella società che dovevano essere coordinate e guidate e questo era il ruolo che egli voleva assumesse la D.C.al di la e oltre ogni scontro ideologico. Il clima di quegli anni con una sempre più forte conflittualità aveva reso la D.C. partito primario nell’insediamento all’interno delle istituzioni e bloccato ogni forma di rinnovamento come invece vi era stata negli anni ’40 e ‘ 50, portando ad una concezione “familiare” della cosa pubblica contro la quale proprio la D.C. delle origini aveva fortemente lottato. La società stava cambiando e la consolidata gestione del potere si doveva superare di fronte all’emergenza delle nuove sfide mentre il potere politico rischiava di schiacciare lo stato di diritto e le nuove identità che inevitabilmente sarebbero emerse di li a poco tempo.
Questo timore per la tenuta della democrazia,resa debole da fattori concomitanti lo espresse compiutamente nel suo ultimo discorso il 28 febbraio 1978 ai gruppi parlamentari del suo partito dicendo tra l’altro: “.la nostra flessibilità ha salvato più che il nostro potere,la democrazia italiana” (Scritti e Discorsi,vol.VI,ed.5Lune p.370).La situazione d’ emergenza doveva comunque essere superata e ciò che Moro pensava di fare si riferiva alla qualità del realismo politico proprio della sua cultura oltre che della sua personalità . Fu certamente anche uomo di partito,esponente della cultura democratico cristiana che lo portó a difendere l’amico Luigi Gui ingiustamente trascinato nel vortice dello scandalo Lockeed nel 1977, ammonendo da vero maestro una gremita ed attenta aula di Montecitorio: ” Non ci lasceremo processare sulle piazze,non accetteremo che la nostra esperienza politica complessiva sia bollata col marchio di infamia!” Tornava nel suo linguaggio politico il primato della D.C. e anche l’incontro col PCI nella sua visione doveva restare transitorio teso a solidificare le istituzioni democratiche e non un cedimento ideologico,per ripristinare i fondamenti essenziali,quindi costituzionali del sistema politico,richiamando anche i comunisti alle loro responsabilità avendo anche essi contribuito e fortemente alla stesura e all’approvazione della Costituzione Repubblicana(si veda l’art. A:MORO,”Gestiamo il presente,guardiamo al futuro” ,in “Il Giorno” 10/12/1976).
Aldo Moro non fu un profeta ma un interprete realista di una fase appunto,la terza,come disse in un celebre discorso a Benevento,della politica italiana,della quale non era ovviamente in grado di indicare la durata,ma che sicuramente restava emergenziale.L’eredità politica e culturale di Aldo Moro è ancora oggi enorme soprattutto nei suoi insegnamenti etici;il suo sacrificio ha segnato la disfatta del terrorismo,della violenza,ma ha contribuito a consolidare le istituzioni democratiche con un fortissimo richiamo ai valori cristiani del vivere civile .
Resta l’insegnamento di come la ragione e il dialogo debbano sempre prevalere sull’odio e sull’egoismo e nel cuore di chi lo ha conosciuto ed amato rimane indelebile la testimonianza di una profondissima fede in Dio arricchita dalla cultura dell’Ordine Domenicano al quale restó sempre legato fino alla fine frequentando insieme al suo amico ing.Galati la fraternita romana di S.Maria sopra Minerva,vivificando quei valori che rendo sempre l’uomo gloria di Dio!
Prof. Giulio ALFANO � Presidente Istituto E.Mounier