Ricordando GIULIO ANDREOTTI: la politica a servizio della persona
articolo di Giulio Alfano pubblicato il 2 aprile 2020 sul sito dell’Istituto Emmanuel Mounier – www.istitutomounier.it
La politica ha valore se ancorata a qualcosa di superiore;essa è anche prassi anche vita quotidiana, risposta alle esigenze dell’immediato senza dubbio, ma qualcosa di diverso per trasmetterlo soprattutto ai giovani,per far si che ci siano dei punti di riferimento!.
Con queste parole Il presidente Giulio Andreotti il 25 ottobre 2004 ricordava cosa fosse la politica e cosa soprattutto fosse stata per lui,per i giovani degli anni della seconda guerra mondiale,aprendo un convegno dal titolo “De Gasperi,ritratto di uno statista” in occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa dello statista trentino,suo grande maestro che tanto fortemente aveva influito sulla sua formazione e sulle sue scelte giovanili.
In quel periodo il mondo giovanile “tout court” viveva la grande stagione della formazione sociale nella FUCI,la federazione universitaria cattolici italiani fondata proprio a Roma nel 1894 da don Romolo Murri(1870/1944),discusso animatore anche della prima Democrazia Cristiana, fermata dalla enciclica “Graves de communi” ndi Leone XIII b nel 1901, ma erano anche gli anni del fervore della GIAC il ramo giovanile dell’Azione Cattolica rivitalizzato proprio per formare i giovani da Pio XI e affidata alla guida del prof.Luigi Gedda(1902/2000). Andreotti giovane della Roma storica delle antiche strade del centro storico in quel decennio vive una formazione culturale,religiosa e morale all’interno di quel vivace mondo cattolico,che però faceva i conti con un regime politico sempre più distante ed a volte avverso alla vita cattolica e quindi dobbiamo collocare le sue scelte e le sue caratteristiche in quello specifico periodo. In questo senso la formazione politica morale,ma direi anche religiosa che Andreotti ha ricevuto non puó essere disgiunta dal clima storico vissuto dai giovani di quella ormai a noi lontana generazione, che era caratterizzato da una pesante limitazione dell’espressione personale, ma anche da un fervore irrorato da rinnovati studi e direi da innovativi approcci alla dottrina cattolica iniziando dagli anni trenta,segnati da radicalismo ontologico sempre maggiore.
Certo dobbiamo ricordare che su quel mondo giovanile esercitava un forte fascino e un profondo ascendente l’intensità editoriale e filosofica francese,importata in Italia da mons.Giovanni Battista Montini (!1896/1978),il personalismo di Jacques Maritain ma soprattutto di Emmanuel Mounier,che offri a quella generazione un apertura di vedute culturali senza precedenti. Per questo ho concentrato il mio intervento non gia sull�apostolato politico della lunga carriera dello statista Andreotti,ma sugli anni quarata,quando matura proprio nella FUCI la sua coscienza civile di cattolico impegnato nella da poco rinata Democrazia Cristiana della quale fu uno dei maggiori esponenti per mezzo secolo.
Giulio Andreotti nasce a Roma sotto il pontificato di Benedetto XV,il pontefice dell’ “Appello contro l’inutile strage” durante gli anni critici del primo conflitto mondiale e da questo appello il presidente americano Wilson avrebbe l’anno successivo prese spunto per la proposta dei famosi “14 punti” per radicare meglio le democrazie una volta fosse finita la guerra. Ecco, proprio nell’anno in cui nasce Andreotti il mondo attolico si sveglia fortemente e viene fondato il Partito Popolare di don Luigi Sturzo(1871/1959),,dopo appena 4 giorni dalla sua venuta al mondo,nell’hotel S. Chiara non distante dalla suaabitazione. La felice congiunzione degli eventi lo fa nascere da famiglia di origine ciociara,di Segni,,ma in una via del centro storico di Roma,via dei Prefetti,culmine del vecchio rione Parione adiacente a Montecitorio,luogo che il futuro statista democristiano avrebbe a lungo frequentato!
Quel rione pieno di tradizioni del cattolicesimo romano minuto e devoto,sarebbe rimasto sempre nel suo cuore,tanto che per anni il suo ufficio fu in piazza Montecitorio,di fianco quasi aalla via della sua nascita. Papa Francesco che ha voluto dedicare un sinodo proprio ai giovani,ai quali rivolge sovente la sua pastorale attenzione,,che: “La gioia della verità esprime il desiderio struggente che rende inquieto il cuore di ogni uomo fin quando non incontra,non abita e non condivide con tutti la luce di DIO” (Veritatis Gaudium�,1)
Ecco allora che anche quei giovani di tanti anni fa,la gioia la trovarono nella formazione cattolica di base,nelle parrocchie,nei circoli giovanili,anche nelle stesse omelie che i parroci svolgevano in quegli anni tanto difficili,dai loro pulpiti,per ricordare che l’uomo è essenzialmente “creatura di Dio”, persona,quindi immagine del Creatore. Vi era un forte bisogno di ermeneutica evangelica S che fece loro capire gli inganni immani dei totalitarismi e li aprisse alla vita,alla bellezza della fede vera autenticamente vissuta e testimoniata,in un atmosfera spirituale di ricerca e di certezza,per tornare alla ragione fondamentale del vero credere e la filosofia personalista fece irruzione in quel tornante drammatico degli anni trenta,nella formazione di una generazione destinata a reggere per decenni i destini dell’Italia,protagonista della rinascita europea!
U ltimo di tre figli,una sorella muore a soli 18 anni,la madre Rosa Falasca,donna di solidi principi e di amorevole fermezza,scomparsa nel 1976,vedova di Filippo,maestro elementare,morto quando il piccolo Giulio aveva appena due anni,tornato gravemente malato dalla grande guerra e come il presidente poi avrebbe spesso confidato,lui e suo fratello Francesco,futuro comandante della polizia urbana della capitale,avevano il terrore di morire a 33 anni perché a quella etá erano morti il padre e il nonno!
Negli anni del liceo,prima frequentato al Visconti poi al Tasso, direi che egli sperimenta la liberta,una forma un po anomala di liberta anzi una liberta di privilegio vedendo che i figli del Duce alunni di quel liceo facevano un po come pareva loro data la posizione dell’importante genitore!. Quindi ancora la parola magica proibita in quel periodo “liberta” un tema quello della libertà che lui frequenterà spesso nei suoi tantissimi discorsi, ma soprattutto negli anni della militanza giovanile,tema che sara anche la chiave di volta della sua definitiva scelta politica in favore di un partito che nel simbolo aveva proprio la parola “libertas”. Confidera molti anni dopo lo stesso Andreotti in un intervista:”.. Non ero affatto bravo,ero pteparato aquato bastva per non essere bocciato,ma niente di più e devo confessare che non mi piaceva affatto studiare!”. Sembra un paradosso in un uomo non solo politico,ma fine intellettuale,che avrebbe fatto della scrittura nei suoi tanti e sempre arricchenti libri,lo strumento specifico del suo lavoro. Voglio, a margine,ricordare che egli � stato l�uomo politico italiano che ha lasciato in eredita la maggiore quantita di libri articoli,saggi,con uno stile arguto e facondo,oltre ad un immenso archivio assai minuzioso di oltre 3000 titoli affidati alle cure dell’Istituto Sturzo. Ma quello studente cosi particolare che viveva nella Roma dei vicoli,che quasi non aveva conosciuto il padre,si impegnava comunque in una sempre piu profonda interiorita spirituale che ne avrebbe fortificato il carattere e gli avrebbe fonferito uno spirito religioso e uno spessore etico che lo avrebbero accompagnato tutta la vita,soprattutto nei momenti piu delicati e difficili,pubblici e privati.
Ecco questa era la vera liberta che il giovane Giulio andava costruendo in se,la liberta interiore che rende veramente uomini,attraverso un etica fondata su fortissimi principi morali e sempre piu comprendendo che la fede religiosa è si un dono, ma anche qualcosa di più che ci arricchisce e ci completa,come ammonisce Jean Racine nel suo capolavoro “Athale2, ” Di un cuore che ti ama Dio mio nessuno turba la pace!” e la pace interiore di Andreotti non sara turbata neanche negli anni del lungo processo di cui fu vittima!.
Nel 1937 si iscrive all’università ,facolta di Giurisprudenza e si impiega, esempio moderno di studente lavoratore ed anche quando cambierà quartiere e casa le modeste entrate di mamma Rosa che da pensionata reversibile doveva mantenere due giovanotti, non gli permetteranno di essere esclusivamente uno studente;Si impiega all’ufficio imposte,sezione tasse sui celibi,e nel 1941 consegue il diploma di laurea. Sono gli anni cruciali della sua formazione e del suo slancio in un apostolato che da associativo diverra ben presto politico,sotto la guida di mons.Montini che educa i giovani della FUCI,della quale Giulio diverra presidente succedendo ad Aldo Moro. Con lo statista pugliese il rapporto è molto stretto pur nella diversita del carattere :diversi ma complementari. In quel periodo dovendo adempiere agli obblighi militari Andreotti era rimasto tre giorni presso l’ospedale militare del Celio, dove lo avevano riconosciuto inabile al servizio militare, prevedendogli addirittura solo sei mesi di vita. Anni dopo confidera che una volta divenuto ministro provo a rintracciare l’ufficiale medico che gli aveva fatto una cosi drastica previsione, ma purtroppo seppe che era morto nel dopoguerra.
Collabora e poi dirige il periodico “Azione Fucia”,organo della FUCI e si forma anche giornalisticamente pur preferendo dedicarsi a scrivere articoli di critica cinematografica,quel cinema verso il quale proverà sempre grande interesse e per salvare il quale scrisse nel dopoguerra la legge in favore delle produzioni italiane.
Proprio nel 1941 Pio XII istitui l’ufficio della segreteria militare, col compito di mantenere i contatti coi giovani dispersi sui vari fronti e Andreotti si occupo dei contatti coi giovani militari della FUCI;
La laurea arriva appunto il 10 novembre 1941,mentre era reggente della presidenza nazionale FUCI,essendo Moro richiamato militare La tesi riguardava “Il fine delle pene ecclesiastiche e la personalità del delinquente nel diritto della Chiesa”,con la votazione di 110 su110 e relatore il prof.Pio Ciprotti. Va ricordato che in quel periodo tra ragazzi e ragazze nella FUCI ci si dava del lei non per distanza ma per rispetto; in quelle occasioni di incontro si formeranno grandi solidarietà e profonde amicizie, anche tra esponenti che poi sarebbero stati su sponde politiche opposte, basti pensare ai rapporti che Andreotti inizio a stringere con figure come Franco Rodano e Adriano Ossicini, del mondo comunista.
Quei giovani ovunque politicamente collocati sembra anticipassero quanto ci esorta oggi a fare papa Francesco:�Nella formazione di una cultura cristianamente ispirata,si deve scoprire in tutta la creazione l’impronta trinitaria che fa del cosmo in cui viviamo una trama di relazioni in cui è proprio di ogni essere vivente tendere ad una vera spiritualita della solidarieta globale che sgorga dal mistero della trinita�(Veritatis Gaudium�,49)
Parole odierne che applichiamo all�origine di una formazione che con determinazione giunse all’emergenza della creaturalità irripertibile della persona umana, come poi quei giovani seppero dimostrare di riconoscere nel partecipare alla redazione del testo della Costituzione Repubblicana. Il valore della persona passa e della politica al servizio della persona,passa attraverso l’apprendistato che Andreotti vive dopo l’incontro con De Gasperi e nei primi omenti dell’adesione al partito della Democrazia Cristiana.
Sotto la guida di Igino Righetti e del giovane assistente Montini in quegli anni la FUCI svolge un intenso lavoro formativo e culturale;lo scopo principale è proprio quello di sviluppare all ‘interno del mondo cattolico una seria corrente intellettuale capace di dare allo stesso una nuova incisività ed un nuovo slancio. Per questo l’invito costante ai fucini da parte di Montini era di approfondire la dottrina cattolica. Scrivera infatti in quegli anni il futuro Paolo VI:” Noi dobbiamo cercare libri,maestri,idee,metodi per rendere a noi accessibile e possibile lo studio e l’affermazione di questa superiore dottrina!” (G.B.Montini,”Logica di un attività in “Azione Fucina”4/XII/1932)
Negli anni del fascismo nelle associazioni cattoliche irrompe infatti il pensiero personalista maritainiano che lascia traccia quasi esclusivamente nei movimenti intellettuali giovanili in particolar modo nella FUCI,mancando negli altri rami dell’Azione Cattolica una riflessione in termini culturali sull’impegno di testimoniare il cristianesimo a livello sociale con un progetto politico.
Qui risiede secondo me,la palingenesi che il giovane Andreotti subisce a cavallo tra l’inizio e la metá degli anni quaranta, soprattutto perché nell’estate del 1943 la redazione di quello che impropriamente o piu genericamente viene definito “Codice di Camaldoli”, mentre la definizione del documento redatto dal giovane e purtroppo assai prematuramente scomparso Sergio Paronetto,si chiamava “Per una comunità cristiana” sconvolge gli orizzonti dei giovani cattolici impegnati nel mondo associativo.
Ecco il concetto di “comunità” è il centro della riflessione di quei giovani chiamati a raccolta dal mondo cattolico a Camaldoli dal 18 al 24 luglio 1943.
Il Regime fascista già da tempo vacillante è sul punto di crollare, ci si interroga,dopo vent’ anni di dittatura cesariana, quale stato sarebbero stati chiamati a realizzare i cattolici una volta fosse finita la guerra. Quei giovani come Andreotti,La Pira,Taviani,Colombo, neanche sapevano chi fosse Sturzo e tantomeno De Gasperi ridotto all’anonimato nella Biblioteca vaticana.e l’incontro col futuro statista trentino ebbe contorni quasi comici perché recandosi in biblioteca vaticana e sentendosi chiedere perché volesse fare una tesi sulla marina pontificia, Andreotti rispose stizzito a quell’allampanato signore di mezza età ignorando che quell’incontro casuale sarebbe stata come egli amava ripetere “una scintilla” che gli avrebbe aperto un mondo nuovo, incontrandolo poco tempo dopo in una riunione semiclandestina in casa di Giuseppe Spataro in via Cola di Rienzo.
Ma cosa è una Comunità e in cosa differisce da una società? Lo ribadirà molti anni dopo lo stesso Andreotti ricordando che “Ogni momento della politica si deve aggiornare alle novità ,ai contesti di carattere interno ed (G.Andreotti,”De Gasperi,ritratto di uno statista”,Rizzoli,Milano.1976,p.28) questo possiamo vederlo nella rivoluzione che il messaggio personalista produce nel cuore e nella cultura di quei giovani nella calda estate del ’43.
Essere “comunità”significa riconoscersi come uguali nella alterità mentre essere solo società vuol dire essere semplicemente “individui casuali”,che stanno assieme per un fine ma non riconoscendosi reciprocamente, per questo il liberalismo politico è una dottrina e la democrazia un ideale.
Cosa significa riconoscersi? Vedere nell’altro il volto di Cristo,la creatura persona il soggetto vivente da rispettare ma anche fonte di arricchimento perché vi è il supremo tribunale ontologico. Il giovane Andreotti soprattutto nella maturazione acquisita durante la permanenza in FUCi fino alla presidenza,comincia a disporre di una griglia analitica che gli consente di rilevare le carenze del processo di sviluppo che aveva condotto alla tragedia della guerra ma comprende meglio anche come avessero potuto configurarsi le grandi soluzioni politiche fino ad allora emerse,dall’individualismo al socialismo liberale, alle soluzioni totalitarie,ma capisce anche che se l’operare esterno allora imperante si svolgeva secondo tali costanti,esse originavano la struttura della convivenza civile,le sue componenti strutturali che implicavano ambiti popolari ad esse in qualche modo corrispondenti, quelle che uil Codice di Camaldoli definisce “Democrazia della partecipazione”. La lezione montiniana prima e l’incontro di Camaldoli poi gli fanno comprendere che in quanto “persona�”-ciascuno è dotato di capacitá potenziali ad essere autore del proprio agire e del proprio operare e il realizzare tali capacità è per ciascuno una necessità un dovere,del proprio “essere uomo” ;in questo nasce il nucleo di quella “democrazia della partecipazione”che sarà il centro del contributo che i cattolici daranno alla stesura della carta costituzionale,perché essa è. la realizzazione di tali capacitá da parte di ciascuno nell’insieme delle persone, ovvero nella realtà popolari. La differenza era in quei giovani cresciuti nell’epoca fascista si configurava anche in alternativa al regime liberale precedente al fascismo stesso, che era fondata sulla “democrazia del consenso”, finalizzata alla gestione del potere politico nella libertá comune,mentre quella della partecipazione é finalizzata alla gestione dell’autorità personale e la prima è funzione della seconda ed entrambe sono funzionali al processo di sviluppo e perfezionamento comune o storico di ciascuno e di tutti insieme. Di fronte a quel crinale di fine dittatura vi era l’eredità della rivoluzione francese i risultati carenti della quale era da riferirsi al prevalere della democrazia diretta su quella del consenso ,mentre vi erano anche quelli tragici della rivoluzione russa,al prevalere improprio del partito come struttura portante della democrazia del consenso su quella partecipativa. Non è certo trasferendo dall’individuo ad una struttura pubblica il compito di interpretare la realtà e di guidare il divenire storico che si possono superare le carenze dell’individualismo ed il fallimento dell’idealismo,non nascondendo le carenze dell’interpretazione empirista.
Nel passaggio dalla militanza in FUCI all’esperienza politica si matura in Andreotti l’idea che tutti gli uomini devono essere chiamati a diventare protagonisti dello sviluppo storico alla pienezza, da crearsi quotidianamente con impegno totale e costante,realizzando una pienezza storica sistematica della democrazia della partecipazione, come canale popolare che consente a ciascuno di autogestire,in quanto persona umana,l’aspetto pubblico della vita non solo quello familiare e personale,perché contribuendo ciascuno a costruire lo sviluppo nella libertà comune, si contribuisce a costruire la pace nel mondo in modo fattivo e questo Andreotti lo terrà ben presente anche in momenti non facili nella lunga responsabilità che ebbe come ministro degli esteri tanti anni dopo. La verità è il modo corretto che ogni persona ha di rapportarsi si con la realtà attraverso l’amore,mentre l’amore è il modo corretto di ogni persona di rapportarsi con la realt mediante la volontà. In questo il passaggio dalla vita in FUCI a quella politica nella D.C avviene non solo grazie all’incontro con De Gasperi,certamente fondamentale,ma proprio attraverso la partecipazione agli ideali innovativi del Codice camaldolese,perchè elabora che la vita umana implica una pluralità di azioni ed operazioni nell’universo cosmico,nell’ unità familiare,nella convivenza civile e nella comunione ecclesiale,necessitando di un minimo di interventi e di un massimo di orizzonti. Quell’incontro di Camaldoli e l’elaborazione del relativo Codice al quale Andreotti partecipa evince che la dignità della persona umana nasce dal rispetto dei valori valutati dalla ragione e dal sentimento con l’ espressione delle “virtu”,che hanno, come ricordava S.Tommaso d’Aquino al magistero del quale il codice spesso attinge, degli attributi positivi e negativi:tra i primi vanno ricordati l’INTELLIGENZA,che favorisce la libera conoscenza; la PERIZIA che abilita l’uomo a distinguerete tea bene e male e la ARETE che rende l’ uomo immune da sentimenti deteriori che conducono alla corruzione morale.
Ma sono i secondi attributi negativi che in politica concorrono alla decadenza deller istituzioni e minano la libertá ,ovvero la FRETTA, che fa agire secondo emotività;la PASSIONE, che fa comportare secondo desideri improvvisi e la VANITA che rende assoluti i desideri egoistici e ipostatizza i comportamenti.
In quel passaggio alla vita politica Andreotti comprende che in politica è la ragione che rende efficace una progettualità e solida una vera democrazia, altrimenti si scadrebbe nel moralismo e in questo egli darà prova di vero statista! La volontarietà,che implica sempre l’assenza dell’ignoranza,manifesta come non abbia fondamento la cosiddetta “opzione fondamentale” ,perché attribuisce valore soltanto a ciò che è deciso, mentre c’è già un implicito indirizzo al bene morale attraverso la ragione pratica che conduce alle azioni attraverso la volontà .
Il personalismo mounieriano che mons.Montini ora Santo,infonde nella formazione di quella generazione di giovani dei quali Andreotti sarà con Moro uno dei maggiori esponenti, scopre e valorizza l’uomo come soggetto e attraverso questa intuizione egli figlio e fedele dell’eredità della Roma antica e papalina,scopre la laicità del suo impegno in politica, riscoprendo l’esperienza riattualizzata di Giuseppe Toniolo,poi la lezione del giusnaturalismo e infine giungendo alla scuiola di De Gasperi che gli insegna il “metodo democratico” ,per evitare di identificare il mezzo da usare, ovvero il partito politico, con il fine da raggiungere, ossia la promozione dell’uomo. Per questo quando l’influsso personalista arrivo alle giovani generazioni che si accingevano a redigere le costituzioni politiche degli stati europei nel secondo dopoguerra,fu chiaro l’impegno di radicare il ruolo dei parlamenti in una tradizione sociale che configurasse una “comunità politica”. perché lo stato democratico non crea diritti ma li riconosce, giacche essi sono espressione proprio di una comunità politica formata da persone; in questo senso la democrazia nuova che emerge nel secondo dopoguerra a cui Andreotti offre un contributo fondamentale e fondante, delinea l’architettura di uno stato “limitato”,ovvero quello che in politica si � soliti definire “abilitante” che incoraggia ma soprattutto promuove tutte quelle forme di azione sociale che producono effetti pubblici attraverso la promozione e il radicamento di assetti istituzionali che facilitano lo sviluppo dei corpi intermedi della società, come poi infatti vennero definiti dall’articolo 2 della Costituzione della Repubblica Italiana.
In questa fase del suo impegno Andreotti contribuisce con una presenza che sarà costante e continua, ad un attività legislativa per recuperare saldare e superare la tradizione individualistica dei diritti dell’uomo,senza cedere alle suggestioni di quella collettivistica, evitando che ogni libertà fosse isolata dalle altre. Quel progetto lo animerà sempre collegando intimamente ogni libertá ma non limitandosi a riconoscerle bensì ad unirle all’insegna dell’eminente dignità dell’uomo creatura di Dio. Soprattutto verso la famiglia l’impegno dello statista romano sarà continuativo; nel passsaggio di formazione daklla FUCI alla DC il volano era stato proprio questo leitmotiv: Lo stato non crea la famiglia ma la riconosce come società naturale ;non ha alcuna ideologia da insegnare nella scuola, ma assicura con le sue strutture scolastiche il diritto alla scuola e nel contempo la libertà di insegnamento; non protegge alcuna religione di stato, ma riconosce libertà religiosa ed organizzazione pubblica di culto a tutte le religioni; riconosce infine la proprietà privata e la libertà di iniziativa economica senza però che il proprietario o l’imprenditore siano sottratti all’adempimento inderogabile dei doveri di solidarietà politica ed economica. In definitiva l’influsso della formazione giovanile fara comprendere ad Andreotti il superamento completo di quell’individualismo posto al centro della società politica dai principi della rivoluzione francese. L’uomo non considerato individuo,che per uscire dall’anarchia conferisce tutti i poteri allo stato,salvo un generale controllo democratico parlamentare perché l’uomo è persona ma anche individuo che costruisce la sua personalità in rapporto alla solidarietà nella società in cui vive (la famiglia,la comunita di lavoro, la comunita economica, la comunità religiosa). Tutte le società che preesistono allo stato e rispetto alle quali esso è soltanto uno strumento di servizio. In questa intuizione si configura l’apprendimento in quegli anni da parte di Andreotti della dottrina dello stato democratico e si forma sempre di più il grande statista che abbiamo conosciuto nel lungo servizio allo stato. Il passaggIO alla politica dalla FUCI alla DC significa per Andreotti te cose essenzialmente:
1)Confermare i principi di liberta politica e civile contemperandoli coi diritti dell’uomo persona;
2)superare l’identificazione del diritto con lo stato che aveva condotto allo stato etico e che era stato identificato con l’assoluto ma anche reagire ad un concetto di stato agnostico che poteva portare alla formazione di maggioranze estranee ad ogni regola morale;
3) costruire uno stato ne etico ne agnostico ma tuttavia portatore di valori non astrattamente imposti da una ideologia,ma dalla coscienza popolare espressa nella comunita in cui si articola la vita della societa civile e che assume come propri fini il diritto al lavoro,all’istruzione,alla salute.
Quella espressione “lo stato riconosce” contenuta nell’ articolo 2 della nostra Costituzione che in filosofia politica si definisce “suiddita” ,ovvero la centralità del soggetto persona, non più lo stato che accetta o che addirittura concede, ma uno stato che si ferma di fronte al riconoscimento della consistenza ontologica dell’ uomo e lo spirito di mediazione che lo statista Andreotti avrebbe dimostrato nei decenni successivi era erede di quel breve ma intenso periodo degli anni quaranta, mettendo sempre al primo posto non gli interessi personali o il trionfo elettorale,ma la promozione dell’uomo:la politica come servizio!
Prof. Giulio ALFANO (Pontificia Universit� Lateranense)
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