100 anni fa uno storico discorso di Luigi Sturzo sul Mezzogiorno.
Rileggerlo oggi acquista un significato particolare per la profondità del pensiero, la penetrante analisi storica, economica e sociale. Basti pensare alla riforma agraria, alle bonifiche, alla questione meridionale come questione nazionale, all’intervento straordinario per il Mezzogiorno, all’apertura agli scambi piuttosto che ai protezionismi, all’energia come fattore di sviluppo unitario. Il 2023 sarà un anno importante per il movimento cattolico ricorrendo l’ottantesimo anniversario della fondazione della Dc
articolo di Maurizio Eufemi tratto dal giornale online “beemagazine.it” del 13 Gennaio 2021
“Un programma politico non si inventa, si vive; e per viverlo, si deve seguire nelle sue fasi evolutive, percorrerne le attuazioni, determinarne le soluzioni nel complesso ritmo sociale, attraverso i contrasti e le lotte, nella audacia delle affermazioni, nella fermezza delle negazioni.”
Luigi Sturzo – 2 maggio 1921 – Augusteo di Roma.
Il 2023 sarà un anno importante per il movimento cattolico ricorrendo l’ottantesimo anniversario della fondazione della Dc.
Il giorno 18 è altrettanto importante e ricorrente perché ci riporta al 18 gennaio 1919 con l’appello al Paese del segretario politico del Partito Popolare don Luigi Sturzo e della Commissione Provvisoria “a tutti gli uomini Liberi e Forti…”
Ma tra i corsi e ricorsi storici, il prossimo 18 gennaio sarà il centenario del discorso di Luigi Sturzo, pronunciato proprio il 18 gennaio del 1923 a Napoli, nella Galleria Principe di Piemonte, nel quarto anniversario della fondazione del partito su “Il Mezzogiorno e la politica italiana”.
Rileggerlo oggi acquista un significato particolare per la profondità del pensiero, la penetrante analisi storica, economica e sociale e le illuminanti indicazioni di un pensiero filosofico forte che troveranno in parte realizzazione nelle idee ricostruttive, nel programma degasperiano e nell’azione dei governi centristi. Basti pensare alla riforma agraria, alle bonifiche, alla questione meridionale come questione nazionale, all’intervento straordinario per il Mezzogiorno, all’apertura agli scambi piuttosto che ai protezionismi, all’energia come fattore di sviluppo unitario. Per non parlare della finanza locale coordinata piuttosto che la preoccupante degenerazione in una “finanza anarchica!”.
Questo discorso si tenne dopo quello, affollatissimo, di Torino del 20 dicembre del 1922, due mesi dopo la marcia su Roma e tre giorni dopo la soppressione, avvenuta a Torino di circa 20 operai antifascisti i cui corpi furono gettati nel Po.
Era la prima manifestazione del segretario del PPI dopo la partecipazione di due Ministri e tre sottosegretari al primo governo Mussolini cui Sturzo non aveva dato il suo consenso. “Nell’ora grigia del tormento politico come nelle vicende delle battaglie pubbliche, non si può nè si deve disertare il posto di combattimento che abbiamo scelto per convinzione di coscienza, non si può nè si deve rinunciare a quel complesso di postulati e di finalità che firmano la ragione ideale e programmatica del nostro Partito”.
Questo era il suo pensiero al riguardo. La collaborazione fu di breve durata. Sturzo riuscì a sventare il processo di aggiramento di Mussolini verso i Cattolici che rischiava di assumere i caratteri dell’assorbimento. “Con il congresso di Torino i Popolari hanno alzato la bandiera dell’antifascismo e lo fecero con grande dignità e coraggio” disse Aldo Moro nel 1959 al Teatro Eliseo di Roma.
Questa puntualizzazione è necessaria per meglio comprendere il contesto storico.
Il discorso di Sturzo a Napoli assume una particolare importanza perché servì a reimpostare il problema del Mezzogiorno dopo che già a Bologna, nelle tavole programmatiche, era stato riaffermato il carattere “nazionale” della questione meridionale nella sua interezza, “una unità inscindibile, in un travaglio morale, politico ed economico, per risolvere la sua crisi e riprendere il suo cammino glorioso di civiltà e di progresso”.
Sturzo sottolinea i grandi errori compiuti, dal 1860 al 1915, verso la questione meridionale con un Sud che ha “mormorato, protestato, scritto libri e opuscoli” senza scendere sul terreno della lotta. Sottolinea il grave colpo al Mezzogiorno con le tariffe doganali del 1877 che sconvolse i mercati, dopo lo sforzo di produttività agricola determinato dal trattato con la Francia del 1863. Prevalse nei trattati doganali il contrasto tra economia agraria ed economia industriale, dunque un indirizzo protezionista industriale, nonostante qualche piccolo vantaggio per l’agricoltura come i trattati di commercio con Austria e Germania del 1891- 1892.
Sturzo pone il problema del Mediterraneo come zona naturale di commercio e di comunicazioni, come zona naturale di sviluppo, così come le erano state Trieste e Fiume per il bacino danubiano e Genova per le Alpi e come i periodi di floridezza coincisero con la politica mediterranea, con fenomeni e fatti politici.
Poi per Sturzo un ulteriore colpo all’economia del Mezzogiorno è stato dato dal sistema tributario con una irrazionalità dei tributi, con la riforma del catasto che penalizzò il Sud tanto che Sonnino propose poi la riduzione del 50 per cento della fondiaria erariale a favore del Sud.
Sturzo analizza come il sistema proporzionale e non progressivo dei tributi sui terreni abbia danneggiato l’agricoltura meridionale, perché meno ricca e perché i terreni, con gli investimenti, sono gravati da oneri ipotecari che non venivano detratti dal passivo, al contrario dei debiti dell’industria che godevano di questi vantaggi.
“Errori e danni” li definisce Sturzo con la storia dell’imposta e della sovraimposta, con il vecchio e nuovo catasto. Tutto ciò alimentato dalla campagna mediatica operata dai giornali del Nord per colpire di ricchezza mobile l’agricoltura agricola diretta.
Come terza causa di inferiorità Luigi Sturzo aggiunge la uniformità legislativa. Il processo dinamico della realtà economica e amministrativa che dovrebbe essere lasciato all’adattamento locale come è nel modello inglese o austriaco, anziché in quello centralistico francese, napoleonico. Per Sturzo, l’Italia doveva imitare il dinamismo legislativo inglese piuttosto che la forza statica dei regolamenti di impronta francese.
Sturzo richiama lo sboscamento pazzo del Mezzogiorno con la legge del 1877 che non distinse tra le Alpi e le rupi del Mezzogiorno, con sussidi solo ai pascoli del Nord, con la legge sulle bonifiche principalmente fatta per gli abitanti e per le zone padane, quindi con profonde diversità sia tecniche sia economiche.
Tra gli errori indicati da Sturzo v’è stato il sistema delle tariffe dei trasporti ferroviari con una unicità di tariffe che nuoce e danneggia fino ad arrivare a un regime proibitivo.
Per l’Italia la legge uniforme è un errore sostanziale così come lo è la “legge speciale fatta con mentalità livellatrice e formalistica avulsa dalla realtà pulsante e viva di coloro che sentono e operano nelle regioni”.
Dunque, per Sturzo il Mezzogiorno può trasformarsi da regime economico passivo in attivo nella affermazione di una politica mediterranea e a condizione che si superino le tre barriere poste dal regime doganale, dalla pressione tributaria, dalla legislazione uniforme e livellatrice.
Poi Sturzo richiama l’importanza di dare al Mezzogiorno scuole professionali specializzate per fermare l’emigrazione e fare uomini preparati per affrontare la concorrenza.
Dunque, Sturzo a nome dei “Popolari, pochi, modesti, sinceri” vuole dire una parola di verità e di amore al Mezzogiorno. E il suo appello finale è oltre il suo stesso partito politico, con i compiti propri che “non sono quelli di una associazione sportiva”, ma verso gli organizzatori nel campo del sociale e dell’Azione Cattolica, giovanile e femminile per rinsaldare i vincoli sociali fra le varie classi sociali in nome delle virtù cristiane dopo che il massonismo anticlericale delle provincie aveva allontanato le classi urbane e professioniste dalla fede e dalla pratica cristiana, prima in nome della nazione, poi in nome della scienza, ed ha rotto così i rapporti morali tra le classi alte e il popolo.
Per Sturzo, dunque, la Redenzione comincia da noi. La parola è questa: “il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno”. Questa visione non deve essere monopolio di partito, ma coscienza politica della nostra gente.
Rileggere quelle pagine oggi significa immergersi nella attualità dei problemi: dalla politica estera con il Mediterraneo e i Paesi rivieraschi, con la diversità delle culture e delle religioni, a quelli della politica tributaria con il catasto e delle imposte, dalla politica industriale alla politica agricola, dalla articolazione dello Stato nei livelli di governo alle autonomie e dunque ai problemi d’oggi del regionalismo differenziato, dalla semplificazione legislativa alle leggi speciali.
Da queste pagine emerge la grandezza di Sturzo e del suo pensiero. Sono pagine che illustrano la storia del nostro Paese, di ciò che eravamo cento anni fa e di ciò che siamo oggi.
“Il discorso di Napoli è il culmine della esperienza meridionalistica di Sturzo” scrive Gabriele De Rosa, un meridionalismo che si distingue da quello di Salvemini di socialismo liberista e da quello di Gramsci che guarda all’alleanza tra proletariato urbano con i contadini. In Sturzo v’era ferma diffidenza verso la prospettiva industrialista.
Si trattava invece di “un meridionalismo che prende forza da una specie di coscienza autentica, immediata della condizione del Sud, da una ricognizione storico-sociale di un Mezzogiorno inserito in un’area economica e culturale di respiro Mediterraneo, dalla constatazione che il problema fondamentale era trasformare la terra e di realizzare una maggiore giustizia e democrazia nelle campagne”.
Maurizio Eufemi