Per le fondazioni bancarie è tempo di svolta radicale

Per le fondazioni bancarie è tempo di svolta radicale

valutazioni straordinarie o fair value

Cinque anni. Una eternità. Sembra essere cambiato il mondo. Standard&Poor’s ha tagliato il rating a 24 banche declassandone alcune e confermando i giudizi per due big come Intesa, Unicredit. In quest’ultimo caso l’indagine della Procura di Milano per frode fiscale non sembra avere avuto incidenza sul report dell’agenzia d’oltreoceano. Si è trattato di un aggiornamento sulle aspettative sul sistema bancario italiano. Un giudizio prevalentemente motivato sui rischi dell’economia e del debito sovrano.Vediamo la situazione di queste banche oggi. Intesa quota 1,244. Ha avuto una variazione da inizio di anno 2011 di – 35,45 con capitalizzazione a 19.218,5; Unicredit quota 0,914 con una perdita di – 42,30 con capitalizzazione 17,423; Monte dei Paschi di Siena quota 0,391 con una perdita di – 46,14 e relativa capitalizzazione a 4.224,9.Se guardiamo ai valori di 5 anni fa risultavano i seguenti come riferimento a inizio gennaio 2006, quindi dopo la entrata in vigore della legge sul risparmio. Unicredit quotava 5,741 e 59.527,6 prima della fusione con Capitalia che per la banca romana significava una quotazione di 4,987 e una capitalizzazione di 12.892; Monte Paschi Siena quotava 3,866 e 9.495 di capitalizzazione prima della acquisizione di Antonveneta; Intesa era ancora prevalentemente lombarda e non aveva proceduto alla fusione con la torinese San Paolo- Imi. Per Intesa i valori di borsa di 4,446 e 26.602 di capitalizzazione mentre San Paolo Imi 13,445 e capitalizzazione di 21.336,8; poi sono avvenute le grandi fusioni con relativi concambi.Se la Fondazione MPS avesse dismesso il 20 per cento nel 2006, mantenendo un quota rilevante del 30 per cento quando capitalizzava poco sotto i 10 md avrebbe certamente incassato molto più di quanto non possa fare ora. Nei giorni scorsi ha venduto prima uno 0,7 del capitale pari a 84 milioni di azioni , ad un prezzo di 0,414 per 34, 7 milioni di euro e un successiva dismissione di 96 milioni di azioni ordinarie per scendere al 45,07 per cento della banca.Una scelta tardiva, forse obbligata e nel momento di mercato meno favorevole. Se fosse stata fatta per tempo avrebbe certamente determinato maggiori vantaggi e avrebbe consentito minori apporti di capitali in quota alla Fondazione rispetto all’aumento deliberato e necessitato di 2 miliardi e mezzo.La Fondazione Monte Paschi Siena ha strenuamente difeso il controllo della azienda bancaria. Ciò è costato molto, troppo per mantenere il controllo della azienda bancaria. Non va dimenticato che la Fondazione MPS per la prima volta ha chiuso in perdita l’ultimo bilancio. Ciò determinerà una contrazione delle erogazione e incidenza negativa sui bandi, quindi gli effetti si scaricheranno proprio sul territorio che si voleva strenuamente difendere. La scelta della controllabilità per evitare scalate ha determinato il massimo rischio con effetti indesiderati.Guardando i numeri in generale per le fondazioni e per il cordone che le lega al sistema bancario sia direttamente che indirettamente attraverso i patti di sindacato purtroppo le criticità non sembrano situazioni temporanee e tali da far ricorso ai valori storici nelle impostazione dei bilanci come purtroppo si va sostenendo in capo all’Acri, ma fortemente strutturali permanendo un ciclo economico prolungato.Non ci si rende conto a sufficienza che la finanziarizzazione dell’economia ha già prodotto troppi danni e che le banche hanno una forte responsabilità in questo senso. Una fase di crescita potrà derivare solo da un rilancio dell’economia reale. Ciò richiede una visione e atteggiamenti diversi dal passato. Un cambiamento nella cultura di governo in capo a questi soggetti. Meno arroccamenti e più flessibilità, da realizzare attraverso una minore concentrazione del rischio, una diversificazione degli investimenti, una progressiva riduzione delle partecipazioni nel sistema bancario e una più forte presenza nell’impresa produttiva e nel venture capital. In sostanza più sostegno alle idee e minore difesa del potere.Poi in ambito più generale non ci si rende ancora conto a sufficienza che – proprio per il tempi nuovi che viviamo – occorre ridurre il peso e la incidenza delle erogazioni in beni culturali e guardare a scelte diverse. Se c’è da allargare legislativamente il campo degli interventi si abbia il coraggio di farlo senza indugi.Il problema delle svalutazioni non è questione secondaria rispetto alla generalità del sistema delle imprese. Si tratta di far prevalere la straordinarietà o una valutazione di permanente strutturalità che richiede un atteggiamento diverso?.Come si può vedere il problema non è l’applicazione di una norma speciale rispetto a tutte le altre imprese; se essa più o meno favorevole, ma di guardare all’orizzonte lungo che porta ad assumere una situazione difensiva e di tenere conto che la tipologia di investimento non consente di assumere rischi ulteriori rispetto a quelli già certificati. E i risultati di impresa impongono che chi sbaglia paga. Non devono essere i lavoratori e le famiglie a pagare il costo della crisi generata da altri e paradossalmente remunerata per i banchieri nostrani con ricche stock options.E’ il momento che il Governo si assuma la responsabilità di guardare più attentamente ad un mondo che ha bisogno di regole nuove e più stringenti.Roma, 20 ottobre 2011

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