“La Carità interpella la politica”

“La Carità interpella la politica”

Il volontariato tra trasformazioni istituzionali, crisi economica, nuove povertà e nuovi bisogni

Siamo qui, oggi, con sensibilità diverse, in un momento di dialogo costruttivo, libero da condizionamenti, coincidente con una pluralità di ricorrenze: il quarantennale della Caritas, il ventennale della legge sul volontariato, il decennale dell´Anno internazionale dei volontari promosso dalle Nazioni Unite, fino al corrente anno europeo del volontariato.

L’iniziativa europea si muove in una visione che privilegia gli aspetti economici rispetto a quelli sociali e civili. Le attività di volontariato costituiscono una ricchezza della società. Trovano fondamento nella Costituzione, nell’articolo 2 laddove “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ..” Nei costituenti, e soprattutto nella linea Dossetti, ritroviamo il superamento di una visione individualistica, il rifiuto di una visione totalitaria, il riconoscimento del primato della persona insieme a quello della necessaria solidarietà di tutte le persone destinate a completarsi e a perfezionarsi mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale attraverso le comunità intermedie. Da lì muove una concezione delle attività di volontariato che portano beneficio sia al singolo e alla società.

Ritengo che un cristiano impegnato in politica non possa restare insensibile di fronte alle indicazioni del Magistero della Chiesa nelle diverse declinazioni e agli insegnamenti della dottrina sociale.

Nei tempi che viviamo la società subisce i contraccolpi della intensa e prolungata crisi economico-finanziaria che indebolisce un “pilastro della comunità”. La Caritas dunque in primis, l’organismo che, voluto da Paolo VI ha costruito e sviluppato un modello di riferimento e di intervento per dispiegare la sua azione interna e internazionale per lo sviluppo integrale dell’uomo guardando agli “ultimi”.

E’ una missione complessa che deve misurarsi anche con le difficoltà del momento, le guerre regionali e locali, con i conflitti religiosi, con vasti movimenti migratori, con le turbolenze dei mercati, con le immorali speculazioni sulle materie prime che distruggono paesi poveri nei loro bisogni essenziali, riducendoli a giganteschi campi profughi come nel Corno d’Africa con gli effetti e le contraddizione di una globalizzazione senza solidarietà che accresce le disuguaglianze.

La mission per la realizzazione di progetti grandi, internazionali attraverso il principio di sussidiarietà, o piccoli, periferici, ma altrettanto significativi, perché portati avanti direttamente da parrocchie, scuole, associazioni, famiglie in una logica di scambio di valori. Tutto ciò richiede la generosità degli uomini attraverso le varie forme di volontariato e risorse. Avviene attraverso un percorso segnato da alcune tappe fondamentali non senza tensioni e momenti di aspro confronto. Dobbiamo partire dalle spinte e dalle innovazioni conciliari che hanno aperto nuovi campi di azione.

Si ripropone oggi, con più forza, il problema centrale legato al modello di sviluppo adottato negli ultimi decenni con le contraddizioni già individuate nel 1967 nella Enciclica sociale Populorum Progressio. Non mancò chi affermò che “La società capitalistica produce i poveri (nel senso moderno del termine) e poi finge di assisterli”. La povertà è dunque il prodotto di una determinata struttura economico-sociale.

E’ il cardinale Poletti protagonista di quegli anni settanta che riconosce come “sarebbe dannosa ogni chiusura alla trasformazione culturale moderna … … Perciò per le opere cattoliche si pone un problema di coscienza e di conversione”. Insomma più una riconversione che non una radicale riforma. I problemi si apriranno, in quella stessa fase storico-politica, a metà degli anni settanta, con la riforma e con l’applicazione della 382 con il trasferimento di una serie di competenze fra le quali anche la assistenza dallo Stato centrale alle regioni. Il terreno di scontro verteva sulla pubblicizzazione dei servizi sociali rispetto a visioni monopolistiche e totalizzanti e che si riproporrà in un altro passaggio chiave: nella elaborazione della legge quadro sul volontariato. Il convegno Epu segnò una svolta e una profonda riflessione nella società italiana. Il progetto di grande respiro, ambizioso che cercò di recuperare una unità di intenti rispetto a posizioni contraddittorie. La crisi della industrializzazione imponeva, una diversa presa di coscienza delle nuove povertà che si estendevano a fasce sociali più ampie.

Non vanno dimenticate le parole anticipatrici di Mons. G. Nervo in Evangelizzazione e Promozione Umana: “Se osserviamo le situazione concrete della vita vediamo che non si può parlare di promozione in modo indifferenziato, come se tutti camminassero alla pari sulla stessa linea. Ci sono persone che hanno molte opportunità di promozione umana, altre meno, altre pochissime, altre sono bocciate, respinte, sono gli emarginati, cioè quelli che sono lasciati ai margini del cammino della promozione umana.” Affermò i diritti dei poveri. Distingueva i poveri nel senso classico e i poveri in senso moderno, cioè quelli che mancano di salute, affetti, accettazione nella società, quelli che non contano nulla e le difficoltà dell’associazionismo di svolgere azioni concrete.

La spinta di Nervo e De Rita impose un cambiamento sia nell’analisi della miseria sia nelle risposte conseguenti, sia riguardo ai limiti della delega conferita ad associazioni specializzate nell’intervento assistenziale mentre si presentava il banco di prova della legge 382.

Occupare non tanto gli spazi quanto i problemi sostenne Nervo. Rivendicò “la piena libertà di fronte al potere politico che qualunque potere sia, tende facilmente ad usare i servizi sociali come strumento di controllo politico e ideologico” e in nome di questa libertà proponeva convenzioni con le amministrazioni comunali e finanziamenti per i servizi sociali gestiti da istituti religiosi. La polemica si fece aspra, ma era segno di straordinario impegno vitalità. La politica in quella occasione fu chiamata a scelte responsabili. Era in gioco una contrapposizione tra modelli culturali e politici.

Ecco che la Caritas si muove allora per una ristrutturazione, per definire la migliore integrazione possibile, ricercando una mediazione istituzionale tra una linea di intransigente posizione istituzionale per la difesa dell’esistente e la linea del rifiuto radicale di ogni forma istituzionale di intervento. La Caritas insiste sul volontariato che ne fa un terreno di crescita e di rinnovamento dell’attività ecclesiale con un riconoscimento del Santo Padre nel 1979 quando ai giovani della Caritas disse “ converrà aprire ai giovani le prospettive di un volontariato della carità che allo spontaneismo dispersivo e provvisorio sostituisca la funzionalità e continuità di una organizzazione razionale del servizio, inteso come impegno volto a modificare le cause che stanno all’origine di tali bisogni. I volontari opportunamente formati saranno i naturali animatori di un processo di responsabilizzazione della comunità”. Si apre una fase di lunga elaborazione culturale che investe per intero gli anni ottanta che faranno maturare scelte politiche che portano come punto di approdo alla legge quadro sul volontariato n. 266 del 1991. Nasceva sulla spinta dell’impegno di tantissimi operatori e dell’associazionismo con radici profonde che stanno nella tradizione cattolico-caritativa e laica filantropica. I legislatori hanno puntato ad evitare camice di forza alla società consentendo la volontarietà delle energie. La forza e il motore del volontariato è la spontaneità che è bene salvaguardare, ieri come oggi, lasciando la possibilità di organizzare la propria attività in modo libero. Quella fase storica dovrà essere riletta attentamente per i risultati che si raggiunsero nella legislazione sociale. Mino Martinazzoli alla Camera, legislatore attento alle dinamiche della società e il Sen Lipari in Senato svolsero un ruolo significativo. Leopoldo Elia si preoccupò di salvaguardare il principio fondamentale della libertà di scelta. Domenico Rosati, portatore di esperienze nelle Acli, riaffermò la esigenza di considerare il volontariato un “investimento in società civile”, così come la “necessità di difendere il principio dell’autofinanziamento e del regime fiscale proprio per salvaguardare il volontariato autentico e spontaneo, non perché costa meno o peggio ancora un volontariato riparatore di uno stato che non funziona”. La legge 266 rappresentò una infrastruttura legislativa importante, autentico punto di svolta superando anacronismi e rischi interpretativi, ridisegnando il ruolo dei volontari, di coloro al di fuori di ogni interesse e corrispettivo mette le sue energie le sue professionalità le sue competenze al servizio degli altri alla solidarietà per il prossimo. La risposta politica pur tardiva non si fece attendere.

I risultati risultarono positivi. Il volontariato è cresciuto nella dimensione e negli interventi. Il volontariato si trova oggi al centro e nel pieno della crisi dello Stato Assistenziale, per la scarsità delle risorse, chiamato ad affrontare vere e proprie emergenze in quell’area intermedia di competenze tra Stato ed Enti locali, tra enti locali e famiglie, tra pubblico e privato. Ulteriori innovazioni vennero introdotte negli anni 90 e in particolare con la prima legge Bassanini (L. n°59 del 1997) che introdusse il principio di sussidiarietà in base al quale le decisioni vengono prese dall’organo di governo più vicino ai cittadini (il Comune) e cioè da quello che è maggiormente in grado di interpretare i bisogni e le risorse della comunità territoriale di riferimento. Tale principio ha portato allo sviluppo di modelli organizzativo- istituzionali che attribuiscono ai Comuni la titolarità delle funzioni amministrative riguardanti i servizi sociali e che valorizzano la collaborazione tra pubblico e privato. Questo quadro di ridefinizione del rapporto Stato-Regioni- Enti locali è stato completato attraverso l’introduzione della Legge Quadro di Riforma dell’assistenza, la L. 328 del 2000 e dalla Riforma del Titolo V della Costituzione (L. 3 del 2001). Si è determinata una certa confusione tra legge 328 sull’assistenza introdotta nell’anno 2000, come hanno riconosciuto anche esponenti della sinistra, e successivo nuovo titolo V della Costituzione, soprattutto nella definizione dei livelli essenziali che merita correzioni e aggiustamenti.

E veniamo all’oggi e alle preoccupazioni per il futuro.

La crisi imporrà ulteriori ristrutturazioni dello Stato Sociale con effetti sulle prospettive sociali del Paese. Rigurgiti laicisti cercano di mettere in discussione perfino l’8 per mille dimenticando gli interventi caritativi svolti con l’impiego di tali fondi. Dal 1990 al 2010, quelli di rilievo nazionale sono cifrati in 349 milioni di euro. Dal 2002 al 2009 una cifra costante di 30 milioni di euro annui e nel 2010 un aumento del 50 per cento fino a toccare i 45 milioni di euro. I fondi destinati alle diocesi per la carità assumono il seguente rilievo. Dai 65 milioni di euro dell’anno 2000 si è giunti ai 97 milioni di euro nell’anno 2010. La sommatoria dei fondi CEI tra quelli di rilievo nazionale e quelli alle diocesi per la carità finisce per cifrarsi nel 2010 a 142 milioni di euro, una cifra che supera perfino i fondi statali per il servizio civile!. Sono cifre che dimostrano la concretezza degli interventi, la bontà degli interventi, in piena trasparenza ma anche la crescita di nuove situazioni di bisogno. Nuove reti di solidarietà, per nuovi bisogni della società si impongono.

Sono stati presentati progetti di riforma conseguenti alla introduzione del titolo V della Costituzione e per l’innovazione legislativa del 5 per mille che determina una eccessiva polverizzazione degli interventi. Basti vedere gli elenchi pubblicati nei giorni scorsi. Richiederebbero una profonda pulizia, partendo la requisito di un minimo di adesioni per potere accedere al riparto. La politica deve salvaguardare scelte legislative affinchè il volontariato resti nelle caratteristiche fondamentali di attività libera, gratuita e spontanea svolta per l’affermazione della solidarietà, della giustizia sociale e dell’altruismo.

C’è il rischio di «derive economicistiche» da chi difende la figura del volontario “puro”, “senza compromissioni con il potere”, di chi vede i rischi e i pericoli di un volontariato istituzionale.

I rapporti sulla povertà e esclusione sociale dimostrano la gravità della situazione.

La lettura profonda della crisi economica conseguente alla crisi finanziaria del 2008, determinata dai centri di ascolto, il lavoro del volontariato e del non profit attraverso antenne sensibili, fotografa l’aggravamento dei problemi, le criticità del nostro Paese, offrendo le basi per una programmazione di interventi che non investe solo la Caritas, ma tutti noi. Si deve fare il conto con il taglio di risorse dirette e indirette e con lo spostamento del baricentro dal centro alla periferia. E’ come una onda che si è alzata, ma non ha ancora raggiunto la costa lontana.

La crisi si è estesa a macchia di leopardo anche nel nord opulento del Paese; ha interessato i settori più esposti alla concorrenza e alle dinamiche internazionali; ha colpito la famiglia monoreddito; ha abbassato il tenore di vita della famiglia normale; porta in affanno la famiglia disgregata; ha soprattutto vulnerato classe media, mettendone in discussione il proprio benessere interessando ormai una persona su cinque quelli che avevano un lavoro sicuro; si registra una concentrazione della ricchezza nel 10 per cento più ricco della popolazione. Per le famiglie le certezze si sono trasformate in incertezze, in insicurezze, coinvolgendo il vasto mondo del precariato senza garanzie e senza prospettive come sono tutte le forme di surrogati di lavoro dipendente.

La povertà colpisce il 5 per cento della popolazione; si allarga nelle diverse declinazioni, di povertà estrema, di povertà relativa, di impoverimento ovvero rischio di caduta nella povertà, si configura con volti nuovi, finora sconosciuti. E’ un problema che nella sua vastità non può essere ignorato dalla politica sensibile in tutte le sue articolazioni istituzionali e territoriali perché i poveri poi sono quelli meno capaci di orientarsi nella mappa delle opportunità, meno capaci di accedere alle risposte presenti nel territorio.

Alle povertà degli operai della società industriale di fine ottocento richiamate dalla Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII sono subentrate nel ventunesimo secolo nuove povertà in una dimensione mondiale globalizzata in un orizzonte nuovo della questione sociale. Senza un ritorno a un modello valoriale non c’è formula che possa reggere ci ha ricordato da Bagnasco. Servono modelli di comportamento; serve la consapevolezza che la dimensione della crisi è maggiore dove la povertà è endemica; serve la consapevolezza che le parrocchie sono diventate gli avamposti della speranza e dell’intervento di sostegno per le persone in difficoltà.

Di tutto ciò la politica non può non tenere conto. La questione economica si intreccia con quella sociale e richiede adeguate valutazioni per compiere e orientare le scelte più adeguate.

La crisi finanziaria ha colpito tutti i settori di intervento; ha avuto riflessi anche sul servizio civile istituito con la legge 64 del 2001 con significative riduzione degli stanziamenti dello Stato. Prevale una destinazione degli impieghi rivolta all’assistenza. La spinta alla partecipazione dei progetti si evidenzia con una forte motivazione di fare qualcosa di utile per gli altri.

Si presenta un dato contraddittorio: la componente utilitaristica, quelle che motivano la scelta sono più forti al nord nelle regioni più ricche piuttosto che al sud! Tendo a partecipare a progetti più vicini alla propria residenza; l’interesse per il settore e l’affinità con gli studi sono gli elementi più attrattivi di un progetto. L’ammontare degli stanziamenti determinati con legge finanziaria ora legge di stabilità dopo il picco raggiunto nel 2007 con 296 milioni di euro ha subito forti contrazioni di 186 milioni nel quadriennio per cifrarsi a 110 milioni nel 2011. con il seguente decalage 266 milioni nel 2008, 210 nel 2009, 170 nel 2010 e 110 nel 2011 (Relazione al Parlamento del 30 giugno 2011 ex art.20 comma, 1 legge 8 luglio 1998 n. 230). Ulteriori tagli sono stati operati nel 2011. Solo grazie alle economie è stato possibile salvaguardare gli impegni di 130 milioni. E’ stata eliminata l’INPS che gravava per il 25,4 per cento e l’irap per l’8,5 per cento. Si tratta di un onere complessivo del 33,9 per cento. L’utilizzo di fondi residui della Presidenza del consiglio per 24 milioni di euro che saranno spalmati negli esercizi successivi consentirà un contingente minimo di volontari cifrati 20.123 di cui 457 all’estero. E’ stato ripianto un debito di 93 milioni ereditato dalla precedente gestione. Urge la approvazione del disegno di legge delega che giace in senato in prima commissione per il riordino della normativa primaria per meglio disciplinare il rapporto Stato-Regioni in quanto queste ultime godono del 46,5 per cento del fondo nazionale per finanziare progetti di enti iscritti all’albo regionale e poi incassano l’irap sull’intero fondo, in quanto imposta regionale. Il sistema va rilanciato attraverso una fase di cambiamento. Ma v’è un altro punto che merita di essere richiamato: il ruolo delle Fondazioni Bancarie per l’azione che svolgono sui territori e per i vincoli di legge. La crisi finanziaria determina una contrazione delle risorse disponibili nell’ambito di tale settore. La crisi delle banche, nascosta nei grandi organi di informazione, determina perdite sul capitale, minori utili, con l’opzione secca di procedere a nuovi apporti per mantenere le il livello delle quote di possesso o il ridimensionamento delle stesse, quindi minori dividendi, e conseguenti minori erogazioni. Tutti i soggetti beneficiari a cascata ne soffriranno.

La redditività si è abbassata del 20 per cento circa. All’orizzonte si profila la riforma per una nuova disciplina per il non profit. Ad essa tutti noi dovremo guardare con attenzione. Quello potrà essere un punto di confronto tra attese di rinnovamento e conservatorismo. Potrà essere il momento di un fertile terreno di incontro tra politica e mondo del non profit e il mondo del volontariato, tenendo ben presente la stella polare della Caritas in Veritate laddove nel rapporto tra etica ed impresa al n. 46, afferma che “una distinzione netta non è più in gado di dare conto della realtà. Si tratta di realtà composite che coinvolgono il privato e il pubblico che non esclude il profitto ma lo considera strumento per realizzare finalità umane e sociali”. Le erogazioni delle Fondazioni per assistenza sociale si sono cifrate in 174 milioni di euro che corrispondono a meno della metà per quelle in altre attività e beni culturali 413 milioni che restano al primo posto. I dati rispetto al servizio civile si rovesciano. V’è uno squilibrio evidente. Così come è evidente la asimmetrica tra nord e sud del paese perché il 67 per cento delle erogazioni complessive va al nord. E il Mezzogiorno soffre non solo della crisi della famiglia monoreddito e dell’impoverimento della emigrazione giovanile ma anche di questa penalizzazione. Anche le erogazioni destinate per legge al volontariato ex articolo 15 della legge 266 (1/15 dell’avanzo al netto delle riserve obbligatorie e della quota minima da destinare ai settori rilevanti) sono diminuite da 52,9 del 2009 ai 42,2 milioni del 2010. Lo stesso Fondo ha subito una contrazione a fronte di un aumento delle richieste di sostengo per l’avanzare della crisi.

L’avere riconosciuto il volontariato come soggetto sociale e politico non porta automaticamente a scoprire il senso del volontariato, lo “stile volontario” con una dinamica forte di solidarietà. V’è il tentativo di costruire alleanze con altre realtà non profit che operano come imprese sul mercato spingendo il volontariato ad adeguarsi a criteri estranei all’approccio solidale. Declina il vecchio welfare state universalistico per diventare sempre più selettivo; emergono nuovi meccanismi connettivi che operano dal basso; muta il profilo della coesione sociale nascono nuove reti che operano e collaborano per creare nuova solidarietà attraverso cooperative imprese sociali, consorzi, strumenti di finanza etica, impegno sociale, avvocati di strada, gruppi acquisti solidali, banche del tempo, banca etica , distretti di economia solidale che lavorano per il bene comune. V’è un universo di nuove sensibilità. Il volontariato è oggi sempre più sperimentazione, innovazione, costruzione di spazi di convivenza, prevenzione e sostegno reale alle persone e alla comunità. Ha bisogno però di avere nella distinzione dei ruoli una politica educata e sensibile capace di interpretare le esigenze di adeguamento delle infrastrutture giuridiche agli investimenti sociali, rispettosa dell’autonomia funzionale. La carità ha interpellato la politica. La politica deve comprendere i problemi presenti e futuri e approntare le risposte. Il campo di azione è vasto. E’ necessario ritrovare nuove sensibilità soprattutto tra i giovani per affrontare con la riscoperta di più forti valori e aggiornati modelli di sviluppo, le sfide del tempo che richiedono formule, iniziative, programmi, adeguati e nuove reti di solidarietà.

La carità è l’opposto degli egoismi. Giovani Paolo II nel 1979 ricordò che secondo l’insegnamento della dottrina sociale cattolica che la carità è “lo stimolo e completamento della giustizia”.

Solo la carità può cambiare l’uomo. Siamo nella fase nell’insicurezza sociale che spinge forse a tentare quella che E. Mounier definiva una nuova “avventura cristiana” . aprendosi ai giovani portatori di sensibilità nascoste.

La carità non può essere solo limitata al vitto. Oggi gli “ultimi” dei paesi industrializzati, non chiedono pane per mangiare ma anche dispense di medicine per curarsi. La sanità per tutti, costosa, inadeguata, insufficiente sta producendo una sanità per ricchi e una per poveri. Siamo sicuri che la formazione nelle strutture sanitarie cattoliche non sia anch’essa ancorata ad una visione del mercato e quindi di una sanità senz’anima? Un campo di azione nuovo potrà guardare alla realizzazione di nuove reti sanitarie e nuovi servizi alla persona, – per l’accrescersi dei problemi con il progressivo invecchiamento della popolazione, con l’avanzare dell’inverno demografico per l’Europa, – coinvolgendo personale sanitario specializzato e volontario per affrontare le nuove aree del bisogno sia nelle strutture che nella domiciliazione. Non potranno essere i banchieri a fornire le ricette per superare la crisi, ma il prevalere di una visione ancorata all’interesse generale. I cattolici, attraverso il vasto mondo dell’associazionismo, potranno – occupando i problemi e non gli spazi – , ritrovare un nuovo momento di coesione e di unità per affermare in una nuova stagione politica di riforme sui valori della solidarietà e del bene comune.

Forse c’è bisogno di un nuovo EPU come momento di elaborazione culturale per accogliere il grido di allarme di segmenti della società per richiamare la politica a scelte adeguate. C’è il rischio che le risposte della politica rispetto ai sensori capillari siano tardive e che le indicazioni di questo ultimo rapporto 2011 sui diritti dei poveri non venga raccolto. Dovere della politica è guardare dentro i problemi.

E’ il momento di riprendere il dialogo. E’ tempo di nuove più forti convergenze per affrontare i tempi nuovi di un futuro nuove forme di solidarietà perché stanno repentinamente mutando le prospettive sociali del paese e richiedono risposte adeguate e non colpevoli ritardi. La crisi sta colpendo duramente direttamente e indirettamente il volontariato.

Se persiste la crisi economica si accresceranno le difficoltà, dalle fonti di finanziamento ai soggetti erogatori dei servizi.

Solo se la politica avrà il coraggio di aggredire le cause della crisi, creando le condizioni per un ritorno ad una fase di sviluppo, si potrà determinare un rimodellamento istituzionale per consentire ad volontariato non indebolito, ma rafforzato, di esprimere le sue potenzialità e affrontare le sfide e i bisogni del ventunesimo secolo.

Roma, 14 ottobre 2011

Bibliografia

Acri, bozza Sedicesimo rapporto sulle fondazioni di origine bancaria, settembre 2011, www.acri.it

Benedetto XVI^, lett. Enc. Caritas in veritate, libreria editrice vaticana, 2009

Caritas Italiana – Fondazione E. Zancan rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, Il Mulino, vari anni

Censis, Rapporto sulla situazione sociale del Paese, Franco Angeli, vari anni

Leone XIII, lett. Enc., Rerum Novarum, www.vatica.va, 1891

Paolo VI° lett. Enc. Populorum Progressio, www.vatica.va,1963

Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana

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Intervento Sen. Maurizio Eufemi

Associazione ex parlamentari della Repubblica

Sala delle Colonne

Roma, 14 ottobre 2011

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