Una manovra finanziaria profondamente iniqua.
La manovra finanziaria imposta dalla BCE ha numeri importanti per migliorare la situazione dei conti pubblici e soprattutto per alleggerire la pressione dei mercati finanziari sui titoli di stato a più lunga scadenza. Non è risolutiva per i complessi problemi della economia italiana. Il Paese non è stato commissariato come è stato affermato. Non abbiamo visto vagoni d’oro muovere dai forzieri della Banca d’Italia diretti verso la Germania come nel 1974. La lettera della BCE non è diversa dalla lettera del Fmi di allora.
Il decretone ferragostano è stata una scelta obbligata alla quale il governo non si è potuto sottrarre. Va nella logica della cessione di sovranità imposta da Maastricht prima e dalla adesione all’Euro poi. Stupisce che i tanti europeisti di casa nostra e dell’ultima ora richiamino questo argomento per criticare il governo. Semmai il vincolo va visto con favore perché rappresenta una spinta alla coesione europea che si afferma insieme alle sollecitazioni a superare insieme le difficoltà dei singoli Stati europei. L’Europa sente il bisogno di ritrovare se stessa.
Le tensioni quotidiane sulle borse non riguardavano solo Milano ma coinvolgevano pesantemente anche Francoforte, così come Parigi ma anche le piazza asiatiche ne subivano i riflessi. In un mercato finanziario globalizzato nessuno è immune dai rischi e le difficoltà di un’area si riverberano rapidamente nell’altra parte del pianeta.
Misure tempestive e adeguate nella dimensione. Diverso è il giudizio sulla qualità degli interventi. Si tratterà poi di verificare non tanto come entra in Parlamento, ma come ne uscirà dopo il relativo esame. Può essere migliorata se la proposta prevarrà sulla protesta. Se prevarrà il confronto sulle idee alla sterile contrapposizione di schieramento. Il Governo ha lasciato la porta aperta al contributo delle opposizioni soprassedendo all’annuncio del ricorso al voto di fiducia. Ciò consentirà un dibattito libero e senza pregiudiziali. Molti interventi sembrano grezzi non sufficientemente lavorati e più finalizzati a placare il disagio della opinione pubblica che non a ricercare soluzioni efficaci e valide per la modernizzazione del sistema Paese.
Non possono essere liquidate disinvoltamente con giudizi negativi le misure sui costi della politica così come gli interventi sulle incompatibilità, così come la riduzione delle Provincie e la soppressione dei piccoli comuni, retaggio di un Paese ancora rurale quando l’avvicinamento delle istituzioni al territorio rappresentava una necessità logistica legata alla configurazione del territorio e alle vie di comunicazioni del tempo superati dalla prepotente diffusione della motorizzazione nella tumultuosa fase di industrializzazione . C’è sempre qualche furbetto che aggiusta a suo vantaggio. Anche nella costruzione dei collegi uninominali ci fu chi spinse per inserire questo e quel comune nel perimetro per fruttarne il vantaggio elettorale.
Dubbi semmai vanno espressi sul riferimento alla figura del Sindaco – Podestà – Borgomastro. C’è il rischio infatti che il desiderio di semplificare le istituzioni per decreto porti alla compressione del diritto di partecipazione alla vita democratica del Paese. Si tratta di una conquista non secondaria. Se qualche piccolo comune diventa frazione di un comune più grande non è un dramma. I servizi sono sufficientemente garantiti; più importante è che sia garantita la rappresentanza e soprattutto la funzione di controllo.
Sorge poi il problema dei controllo democratico sul funzionamento delle istituzioni locali, già pesantemente svuotato nel ruolo delle Assemblee e che rischia di essere ulteriormente affievolito se non si introducono nuovi e adeguati meccanismi.
Apprezzabile, ma tardivo il riallineamento della tassazione sulle rendite finanziarie. Il punto più debole della manovra è la lotta alla evasione. Il Governo ha fatto riferimento ai dati Sogei quindi a quanto conosciuto, mentre sfugge all’intervento l’invisibile intera massa del sommerso, quel 27 per cento di economia invisibile. Tutto ciò è assolutamente inconcepibile e inammissibile in una società informatizzata. Il costo del risanamento viene oggi pagato dai contribuenti fedeli e onesti, quelli che non sfuggono agli accertamenti, quelli che fanno il loro dovere fiscale in modo puntuale. Un intervento significativo sull’Iva in particolare sui prodotti intermedi e di lusso sarebbe stato preferibile ad uno tutto concentrato sull’Irpef. Sarebbe stato più equilibrato. Avrebbe permesso di realizzare gettito chiamando al sacrificio, per lo meno quando spendono, anche quelli che possono agevolmente eludere le maglie del fisco. E’ stata introdotta nel decreto di luglio la soprattassa per le auto superiori a 225 cavalli, ma nulla è stato fatto per i motori marini e avio. Al di là del gettito avrebbe avuto un significato di equità. Certamente Il Ministro dell’Economia poteva fare di più. Poteva dispiegare tutta la sua sapienza sulla materia per un autentico colpo d’ala. Allo stato anche la tracciabilità ad una soglia di 2.500 euro appare inadeguata e facilmente aggirabile. Basti pensare al vasto campo della piccole manutenzioni.
Resta sullo sfondo il nodo del debito che per essere superato richiede maggiore crescita economica. In una fase di bassa crescita un contributo può venire da una saggia politica di alienazioni dei beni pubblici conferendoli unicamente al fondo per l’abbattimento del debito. Resta l’equivoco di una Cassa Depositi e Prestiti ormai trasformata in una nuova IRI piuttosto che in uno strumento di valorizzazione e alienazione delle partecipazioni pubbliche.
La manovra presenta dunque il limite della iniquità e rappresenta una occasione mancata per raggiungere gli obiettivi del risanamento chiamando tutti a fare la propria parte per il bene del Paese. E invece ha prevalso una visione miope. Sarebbe stato meglio una patrimoniale vera sui beni mobili e immobili piuttosto che l’introduzione di forme di solidarietà mascherate che unite ad addizionali e sovrattasse finiranno per essere addossate unicamente ai contribuenti visibili, quelli che già le pagano e che rappresentano i cosiddetti ceti medi produttivi, quelli che portano la stanga, quelli che credono nel Paese.
C’è il tempo per correzioni profonde. Il Parlamento è chiamato a svolgere il proprio ruolo migliorando le scelte governative, agendo su poche cose che diano il senso di una correzione profonda.
Se guardiamo al passato. De Gasperi e Segni seppero realizzare nei primi anni cinquanta una straordinaria riforma quella agraria, dando la terra, sottratta al latifondo, a coloro che l’avrebbero poi lavorata con sacrifici. Oggi quella operazione di redistribuzione della ricchezza andrebbe fatta sulle fortune accumulate nella evasione fiscale. Non è poi più tollerabile che autorevoli personaggi politici facciano riferimento alla dottrina sociale della Chiesa; ritengano funzionale stabilire contatti e collegamenti con le gerarchie ecclesiastiche, parlino costantemente di equità nei seminari, nei convegni, per poi dimenticarsene nell’attuazione, nel momento cruciale delle scelte.
La equità richiede coraggio ed coerenza. E’ il momento di fare chiarezza anche su questo punto.
Roma, 14 agosto 2011