La sconfitta politica dell’UDC
Le elezioni regionali del 2010 si sono trasformate in un tentativo di indebolire il Governo Berlusconi. Il giudizio del corpo elettorale è stato chiaro. Il successo elettorale della coalizione si accresce nel suo valore perché maturato da un accresciuto fenomeno astensionistico e del voto di protesta. La coalizione di governo esce più coesa e irrobustita, l’azione riformatrice viene incoraggiata.
Il risultato elettorale dell’UDC merita una riflessione attenta che superi gli slogan televisivi di parte. Non vi è stata la tanto bandierata tenuta nei numeri. Il valore percentuale è dopato dall’astensionismo. Non è un caso che alla sovraesposizione mediatica di Casini nella fase ante voto, ha corrisposto una esposizione delle seconde linee del partito nella gestione mediatica post voto. Tutto ciò ha il sapore di una sconfitta che è oltre che elettorale, soprattutto politica. Se un partito dopo una leadership personalistica così forte dopo 14 anni dall’accordo elettorale ccd-cdu del 1996 – in quelle elezioni politiche raggiunse il 5,8 – si stabilizza nel 2010 sul 5 per cento qualche interrogativo dovrebbe porselo. Ecco perché si deve parlare di fallimento della politica casiniana, fallimento della leadership che si coniuga con il fallimento delle alleanze e in definitiva nel fallimento delle strategie politiche e culturali. E veniamo ai numeri. Nelle cinque regioni del nord, l’UDC nei voti di lista non raggiunge il 5 per cento ( 3,92 in Piemonte, 3,84 in Lombardia, 4,92 in Veneto 3,93 in Liguria e nella Emilia Romagna dello stesso Casini, un modestissimo 3,75. Va meglio nel Sud dove realizza accordi con il centrodestra. Ma va analizzato quanto accaduto nella Regione Piemonte, per il significato intrinseco che assume. In quella regione vi è stata una vera e propria ribellione dell’elettorato, anticipata dalla coraggiosa rottura di larga parte dei dirigenti politici, rispetto alla scelta innaturale di convergere su Mercedes Bresso che rappresentava una scelta di campo nel segno del tradimento sul terreno dei valori. In Piemonte l’UDC dimezza i voti in due soli anni. Passa da 141.000 voti assoluti delle elezioni politiche del 2008 ai 74.412 del 2010. Anche nelle Marche, altra regione ove si è operata la scelta a sinistra, si è registrato un forte regresso. Nel 2010 raggiunge un modesto un 5,81 per cento con 41.988 voti assoluti rispetto ai 63.000 e al 7,2 delle europee 2009 e al 7,26 delle regionali 2005. Questo dato è consolidato dal fatto che sono stati bocciati dall’elettorato i dirigenti che più si erano impegnati nella realizzazione dell’accordo con la sinistra. Gli elettori non hanno neppure premiato l’UDC nel successo della coalizione. E l’UDC non partecipa al dividendo elettorale se non in termini di seggi. Il partito di Casini ha perso la partita politica di volere arginare la ondata leghista al nord per giustificare l’alleanza con la sinistra in Piemonte.
Il partito di Casini non ha saputo neppure guadagnare consensi da una condizione di eccezionale favore come quella che si era presentata a Roma.
Avanzare pretese terzopoliste con il sistema elettorale tatarellum è puro velleitarismo. I risultati dimostrano che la leadership dell’UDC non ha la minima percezione dei movimenti elettorali e delle istanze del popolo.
Più che la costruzione di buone politiche il partito di Casini era orientato alla ricerca del seggio in più. La politica contraddittoria delle alleanze a macchia di leopardo non tarderà ad evidenziarsi.
Il verdetto elettorale per l’UDC, soprattutto dopo i risultati fallimentari nel laboratorio politico del Piemonte che doveva rappresentare la prova generale di future alleanze politiche con il PD dovrebbe imporre una riflessione democratica. Sembra invece prevalere e persistere un orientamento confuso, una politica delle alleanze ondeggiante e contraddittoria, una leadership personale ormai consumata. Non sarebbe opportuno prenderne atto traendone quelle sane e debite conclusioni come si usava un tempo.
Roma, 31 marzo 2010