Anche nel PDL stanno finalmente emergendo dubbi e perplessità sull’accordo ad personam Polverini-UDC. 

Berlusconi ancora una volta ha visto più in profondità, più di quanto non abbiano fatto entusiastici sostenitori dell’intesa, salvo poi, scorgerne i pericoli e correggere la rotta. Non è mai troppo tardi per fare quella chiarezza che si impone stante la delicata posta in gioco. 

Emergono due profonde contraddizioni: la prima è che la discriminante Lega usata dall’UDC è un falso problema, perché l’UDC ha governato insieme alla Lega, senza tentennamenti, per l’intera legislatura nelle Regioni Lombardia e Veneto; la seconda, ha partecipato attivamente all’accordo dei quattro di Lorenzago, votando la grande riforma costituzionale, poi bocciata dal referendum popolare. Non può sfuggire che In Piemonte vi è stato poi il passaggio di autorevoli personaggi politici dall’UDC alla stessa Lega portando un contributo evolutivo, una contaminazione positiva in quella formazione. Il leader dell’UDC ribadisce la sua politica di opposizione al governo nazionale e afferma il principio delle “mani libere” in sede locale. Si tratta di accontentarlo lasciandolo appunto in una posizione terzopolista anche nei governi regionali che, pur nella loro autonomia, non possono essere svincolati da coerenza imprenscindibile con le politiche nazionali soprattutto in tema di federalismo fiscale, come correttamente sostengono Calderoli e Cota. 

Allo stato l’accordo Polverini-UDC potrà reggere soltanto se diventa un accordo virtuale e metafisico, e resta cioè solo sui valori. l’UDC quindi resti fuori dal listino e dagli assessorati, portando fino in fondo la tanto sbandierata retorica identitaria. Il PDL non deve mettersi nella condizione di subire ricatti politici e programmatici che aprono scenari prevedibili. A Casini piacerebbe un accordo metà-fisico e metà-no. Il PDL deve imporre un accordo totalmente metafisico, puramente ideale, senza ambigue e inquietanti compromissioni mercantili.

Roma, 20 gennaio 2010