Democrazia sotto assedio –  La storia non può essere scritta dai pentiti

Democrazia sotto assedio –  La storia non può essere scritta dai pentiti

Le vicende di questi giorni fanno rivivere il clima torbido del 1992-93, un clima che portò alla cancellazione per via giudiziaria di partiti storici come DC e PSI, le basi della coalizione di governo. Lo sgretolamento fu operato colpendo i riferimenti politici più rappresentativi nelle regioni quelli che erano definiti i collettori del consenso, per disarticolare il partito di maggioranza relativa, appunto la DC costruita a forma piramidale. Non sfuggirono a questi attacchi Mannino in Sicilia, Gaspari in Abruzzo, Misasi in Calabria. Fu sgretolata una intera classe dirigente. Mannino e Andreotti si sono difesi nel processo, ma quei processi, prima di arrivare alla assoluzione, sono durati tre lustri con tutti i gradi di giudizio possibili. E’ giusto che una persona paghi una pena così forte sul piano familiare e una così dura sul piano politico? Andreotti era il simbolo vivente della DC e della prima Repubblica, 7 volte presidente del Consiglio. Non si può dimenticare che sia Andreotti che Berlusconi hanno promosso le più severe leggi antimafia. La differenza improponibile per una difesa “nel processo” tra le due situazioni è che Andreotti era un senatore a vita senza alcun incarico ministeriale, Berlusconi è il Presidente del Consiglio in carica. Furono molti gli innocenti messi alla gogna e condannati mediaticamente. Quella stagione non fu senza conseguenze. Mise in ginocchio il Paese sul piano economico perché provocò la paralisi nel settore degli appalti e nel funzionamento della pubblica amministrazione. I funzionari avevano timore di mettere la firma sui documenti e sugli atti amministrativi. Il Paese fu indebolito nei rapporti e nelle relazioni internazionali. Oggi sono tornati gli agitatori per contrastare il Governo, non nelle Aule parlamentari, ma nella piazza.

Non si può essere così miopi di non vedere l’assedio mediatico. Il tentativo di capovolgere il risultato delle urne per altra via. Non si può non vedere l’attacco alle situazioni regionali e ai referenti politici. La storia del Paese non può essere scritta dalle presunte rivelazioni dei pentiti. Non si può rivivere la storia del 92-93. Proprio le esperienze dei casi Mannino e Andreotti dovrebbe fare riflettere. Di fronte a tutto ciò non valgono le differenziazioni. Chi vorrebbe che la PDL fosse come la DC della prima Repubblica, dovrebbe anche ricordare che quel partito nei momenti più gravi superava le differenziazioni e si stringeva in se stessa nella ricerca della unità. Il pluralismo non superava il limite della sua trasformazione in antagonismo fine a se stesso. Chi fa appello agli organi di garanzia dovrebbe ricordare che gli stessi dimostrano validità se sono efficienti e se permettono un buon funzionamento del sistema istituzionale. Un conto è difendere il funzionamento delle Istituzioni, altro è svolgere un ruolo politico attivo in contrapposizione alla linea politica del Governo e del Partito. Le ragioni politiche devono essere fatte valere esclusivamente nelle sedi politiche proprie. Non dimenticare quello che è stato definito il testamento politico di Aldo Moro alla Assemblea congiunta dei Gruppi parlamentari DC del Senato e della Camera del 28 febbraio 1978 : “Noi abbiamo la nostra idealità e la nostra unità. Non disperdiamole; parliamo di un elettorato liberaldemocratico. Conserviamo la nostra fisionomia e la nostra unità. Chi pensa di fare bene dissociando, dividendo le forze sappia che fa in tal modo il regalo tardivo del sorpasso al Partito comunista. Sono certo che nessuno di noi lo farà, che noi procederemo insieme, credo concordando, se è necessario in qualche modo anche discordando, ma con amicizia.” Quelle parole pronunciate da chi aveva difeso le ragioni della DC nel 1977 contro chi voleva il processo nelle piazze, con il processo Lockheed, possono essere rivolte al PDL perché ne tragga insegnamento. Valgono per ieri, ma soprattutto per l’oggi. Forse si sente la mancanza di Don Gianni Baget Bozzo che avrebbe saputo dare la scossa, indicando con un colpo d’ala la rotta per superare le difficoltà.

Non farsi allora illusioni sui funzionamento e sui risultati dei tavoli istituzionali perché non va dimenticato che gli eredi del comunismo hanno cambiato nome e simboli ma non rinunciano alla lotta politica utilizzando i metodi del passato, compreso quello della doppiezza.

Roma, 2 dicembre 2009

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