Tremonti e il posto fisso: una sfida alla sinistra

Tremonti e il posto fisso: una sfida alla sinistra

Il Ministro Tremonti con la sua affermazione sul valore del posto fisso e della stabilità non ha cercato il facile consenso. Ha posto alla sinistra una sfida ideologica. Il Ministro dell’Economia più di ogni altro, dal suo osservatorio, riesce a percepire l’impatto dello shock esterno e della crisi, sia economica che sociale. Si scarica giorno dopo giorno sul sottosistema assistenziale, sul precariato, quel precariato alimentato sotto forma di esternalizzazioni in nome della flessibilità anglosassone che per il nostro paese, soprattutto in tempo di crisi globale, si traduce in mobilità prima e in disoccupazione dopo. Le esternalizzazioni hanno poi ridotto lo spazio di manovra sindacale. C’è poi un problema distributivo della minore ricchezza. Quando cade il PIL del 5 per cento, la ricchezza non diminuisce in modo omogeneo in ogni area del Paese, non diminuisce per i lavoratori dipendenti, per i dipendenti pubblici, per i pensionati che sono garantiti nei livelli di reddito, che anzi beneficiano della crisi per minori costi e tariffe, ma vengono colpite pesantemente le aree deboli del Paese in un sistema fortemente duale e soprattutto, vengono colpiti i disoccupati, nelle loro condizioni di vita, e l’esercito degli esclusi e dei precari senza prospettive. La società viene vulnerata nelle sue prospettive di tenuta e di crescita. Quando Tremonti afferma che l’INPS è meglio dei fondi legati alla erraticità dei mercati finanziari rimette in discussione le scelte operate dal Governo Prodi nel 2006 con l’incauta forzatura sul TFR, che i lavoratori saggiamente limitarono al trenta per cento. Paventarono i rischi impliciti ed ebbero più fiducia nello Stato che nelle lusinghe dei governanti di sinistra. Più che una polemica come è stata vista ironicamente a sinistra, Tremonti ha lanciato un forte grido di allarme sociale. La precarietà genera insicurezza e paura per il futuro. E’ una sfida riformista ad una sinistra paralizzata nella infinita ricerca degli assetti di partito piuttosto che nella chiara definizione di una piattaforma progettuale che susciti interesse nella opinione pubblica. C’è il rischio che l’appello di Tremonti venga distorto nel suo significato più profondo e non venga recepito. Sarebbe un grave errore, soprattutto nel momento in cui c’è da fronteggiare un rigurgito di scritte violente che si sono già manifestate con la riproposizione di slogan degli anni settanta che non vanno sottovalutati. Va smantellato alla radice il rischio del bis degli anni di piombo. Ciò richiede la ferma responsabile attenzione di tutte le forze politiche e sindacali, anche a quelle fuori della rappresentanza parlamentare. La risposta non può essere solo investigativa o di ordine pubblico. C’è bisogno innanzitutto di risposte sociali. Occorre agire nella modernizzazione del Paese in linea con gli insegnamenti di Marco Biagi e soprattutto con nuove adeguate forme di solidarietà.

Roma, 21 ottobre 2009

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