Intervento in Senato sul disegno di legge che modifica l’attribuzione del cognome ai nascituri
Presidenza del vice presidente CALDEROLI, indi del vice presidente CAPRILI
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Eufemi. Ne ha facoltà.
EUFEMI (UDC). Signor Presidente, onorevoli colleghi, se c’era un provvedimento per tenere impegnato il Senato nel segno dell’Unione è quello che stiamo discutendo – non a caso è stato presentato da esponenti dell’Ulivo e di Rifondazione – capace di allontanare il dibattito su questioni certo più rilevanti, come la TAV sulla quale ci sono scelte imperative da parte dell’Unione Europea, l’emergenza rifiuti in Campania ben più drammatica, oppure sulla vicenda parlamentare ancora più rilevante Visco-Guardia di finanza – guarda caso – su cui occorrerebbe fare chiarezza al più presto. Se c’è un problema di cui gli italiani e di cui il Paese non hanno bisogno è questo disegno di legge in materia di cognomi.
Il cognome è quella parte del nome di una persona che indica a quale famiglia appartiene. L’uso del cognome si fa risalire all’antica Roma: dopo la caduta dell’Impero romano, ogni persona veniva identificata sulla base del suo nome personale; con la grande crescita demografica tra il X e l’XI secolo divenne complicato distinguere un individuo col solo nome personale e si pose il problema di identificare gli individui appartenenti alla stessa discendenza e nacque il cognome moderno.
Presidenza del vice presidente CAPRILI (ore 11,13)
(Segue EUFEMI). Come non ricordare, poi, l’impatto del Concilio di Trento nel 1564, che dette una spinta all’uso dei cognomi con l’obbligo della tenuta dei registri per distinguere le sepolture, i matrimoni, i battesimi, e anche l’obbligo per i parroci di gestire un registro con nome e cognome al fine di evitare matrimoni tra consanguinei per gli effetti che ne potevano derivare?
Purtroppo, questo provvedimento fa parte di un trittico di interventi – che non sono una opera d’arte, ma una mostruosità legislativa – che vanno dai DICO all’eutanasia camuffata da testamento biologico, al cambiamento appunto del cognome e che rappresentano un attacco concentrico alla famiglia. E pensare che questa maggioranza aveva creato un Ministero a tutela della famiglia, quale contraddizione più evidente! Ma di quale famiglia si vuole parlare?
Invece di dare risposte concrete alle famiglie che hanno fatto sentire la loro voce con il Family day, quella straordinaria manifestazione di popolo e di testimonianza dei movimenti laicali-cattolici nella modernità, invece di preoccuparvi della pesante pressione fiscale per le famiglie, di abolire o quantomeno ridurre l’ICI per la prima casa, di dare competitività alle imprese, di offrire servizi che funzionino, di assicurare la puntualità dei treni e degli aerei e di ogni mezzo di trasporto, di determinare efficienza e semplificazione nella pubblica amministrazione, ponete questa questione come prioritaria e centrale per lo sviluppo del Paese.
La vostra scelta va, invece, nel senso di distruggere l’istituto familiare in nome di un individualismo imperante ed esasperato. Tutto ciò è un retaggio post-sessantottino che volete affermare in nome di una presunta modernità, di una presunta e falsa idea di progresso, che abbatte le formazioni intermedie e realizza il principio di uguaglianza per altri fini subdoli, intervenendo su una materia complessa come è l’attribuzione del cognome ai figli.
Del resto, è stato ribadito in Commissione che privilegiare il cognome materno significa tradurre sul piano normativo una tendenza culturale tesa a valorizzare il ruolo della donna nella storia familiare. Questo concetto lo abbiamo sentito riecheggiare anche nel corso del dibattito e se prevale il «fai da te» dove finisce l’unità del nucleo? Non è questione irrilevante per i bambini portare il cognome dei genitori anche per collocarli nel sistema delle parentele. Voi, invece, volete l’esaltazione dell’individualismo anziché del gruppo parentale, ed allora è bene essere chiari: dopo 2.000 anni di diritto romano volete scardinare un istituto millenario per inseguire culture estranee alla nostra tradizione, aggiungendo tensioni che già si manifestano, per esempio, quando si tratta di scegliere il solo nome del neonato, se si vuole rispettare la tradizione di ricordare la figura del nonno o della nonna. Fate prevalere l’ordine alfabetico come criterio di scelta in caso di controversia. E perché non prevedete il ricorso al sorteggio, come nell’antica Grecia, con metodo autenticamente democratico!
Poiché siete contro la famiglia intanto cominciate a distruggerla con il cognome. Forse a voi basta solo un numero come quello delle agenzie fiscali. È allora una questione culturale prima ancora che politica. Volete annullare Storia e radici, anticipando i DICO con l’assemblaggio dei singoli.
Combattete a parole la precarietà del lavoro e poi la esaltate con le unioni parafamiliari e nella trasmissione dei cognomi, come con la previsione di dichiarazione congiunta all’atto del matrimonio e poi prevedendo precarietà nelle vicende della vita familiare, mutate le scelte originarie con dichiarazioni revocabili. Guarda caso, strana similitudine con i DICO! Anche lì bastava una raccomandata! L’Unione fa scomparire la famiglia e fa nascere l’unione di individui. C’è anche un aspetto costituzionale che va rilevato: quello delle formazioni intermedie, costituite dai Comuni, dalle famiglie, dalle comunità territoriali e familiari, promosse dai costituenti. Al riguardo va citato l’ordine del giorno Dossetti, che invece voi ricordate a giorni alterni. Tali formazioni vanno bene per sostenere i DICO, ma non vanno bene per i cognomi.
Come ha affermato la Corte, tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona umana l’articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce anche il diritto all’identità personale. Tra i tanti profili, il primo e più immediato elemento che caratterizza l’identità personale è evidentemente il nome, singolarmente enunciato come bene oggetto di autonomo diritto all’articolo 22 della Costituzione, che assume la caratteristica del segno distintivo e identificativo della persona nella sua vita di relazione accanto alla tradizionale funzione del cognome quale segno identificativo della discendenza familiare, e costituisce parte essenziale e irrinunciabile della personalità. Dimenticate il problema dei figli, che per noi sono figli della famiglia, mentre secondo voi sono del singolo o di un solo genitore, distruggendo l’unità del nucleo. Il ministro Bindi dovrebbe dedicarsi a risolvere i problemi delle famiglie, non solo con manifestazioni propagandistiche, ma con interventi seri, e questa è una questione seria. Il cognome è identificativo della famiglia e della discendenza e voi volete risolvere un problema così complesso con questo curioso “mostriciattolo”, come lo ha definito acutamente il senatore Massimo Livi Bacci. I genitori avrebbero quattro possibilità: imporre al figlio il cognome del padre, quello della madre o ambedue in ordine padre-madre o madre-padre. Alla terza generazione i poveri fanciulli avranno la bellezza di 32 cognomi, cioè – appunto – una moltiplicazione dei cognomi. II percorso generazionale diventerebbe una gincana onomastica, della quale non si capiscono né il significato né l’utilità, mentre la storia del cognome come identificativo di una famiglia e di una discendenza è di grandissimo interesse sociale. Sarebbe bene far prevalere un minimo di saggezza rispetto a questo pasticcio genetico che alimenta solo confusione.
Vorrei sapere se il senatore Livi Bacci, politico e statistico, condivida ancora questo provvedimento, che pure porta la sua firma, oppure ne ritiri l’adesione. II Parlamento sta predisponendo distrattamente, potremmo dire nel silenzio più assoluto, la modifica di articoli importanti del codice civile relativi al cognome della moglie e dei figli. Si tratta di una rivoluzione di princìpi che hanno una millenaria tradizione, che va al di là dei profili strettamente anagrafici, sconvolgendo – appunto – princìpi secolari.
L’unica questione aperta sembra essere l’ordine precostituito o casuale con cui dovranno apparire entrambi i cognomi dei genitori: questo argomento sembra appassionare molti, ma non certamente coloro che hanno a cuore i veri problemi della famiglia. Desta non poche preoccupazioni il tentativo di innovare radicalmente una tradizione, senza che la problematica relativa sia stata adeguatamente dibattuta e senza neppure che la disciplina in vigore costituisca deroga al principio di parità morale e giuridica fra i coniugi posto dall’articolo 29 della Costituzione, atteso che lo stesso articolo consente limitazioni funzionali all’esigenza di garantire l’unità familiare. È poi così urgente questo tipo di intervento? Non sarebbe più urgente e proficuo che il Parlamento desse priorità ai temi della condizione economica di una larga parte delle famiglie italiane, della devianza minorile, delle provvidenze anche economiche necessarie perché vengano adempiuti i compiti che ai genitori assegna l’articolo 30, comma 1, e che sono ribaditi dall’articolo 31 della stessa Costituzione?
Onorevole Presidente, si dovrebbe cercare di recuperare un minimo di sobrietà, di serietà e soprattutto di prudenza e si dovrebbero evitare demagogie. Il padre della corrente nominalistica Roscellino affermava «Nomina sunt consequentia rerum», quasi un “flatus vocis”, cioè un soffio della voce: mai, come in questo momento, citazione fu più adeguata. Tutto ciò ci porta ad esprimere un giudizio fortemente negativo sul provvedimento in esame, che consideriamo inutile e che richiede ulteriori approfondimenti in Commissione, auspicando miglioramenti correttivi. Noi rifiutiamo questo ulteriore attacco alla famiglia volto a scardinare un istituto con quel disegno dell’Unione perseguito attraverso un trittico, di cui fa parte anche il provvedimento in esame, che non è certamente un’opera d’arte, ma soltanto un disegno distruttivo. (Applausi dai Gruppi UDC e AN. Congratulazioni).