Intervento all’Istituto salesiano Giusto Morgando a Courgnè 6 ottobre 2002 Chiesa Stato ed Economia nell’era della moneta unica europea e di una nuova Europa: significati aspettative e prospettive.
Unione ex-allievi Don Bosco
Istituto salesiano Giusto Morgando
Chiesa, Stato ed Economia nell’era della moneta unica europea e di una nuova Europa: significati aspettative prospettive.
Intervento Sen. Maurizio Eufemi
Vicepresidente Vicario Gruppo UDC
Autorità Religiose e civili
Signore e Signori
Ringrazio sentitamente i promotori di questa iniziativa e l’invito che mi è stato rivolto in particolare al Dott. Adelmo Mazzocchi, cui mi lega una appartenenza specifica, a partecipare a questa importante occasione di dibattito.
Oggi a Roma in queste stesso momento si sta tenendo la cerimonia solenne per la canonizzazione di Escrivà de Balaguer. Ho dovuto compiere una scelta dolorosa. Ma sono lieto di essere qui con voi.
Ora siamo nel pieno del processo costituente europeo, con itinerari stringenti.
Che porti alla attivazione di un autentico e concreto processo di unità. L’Unione è percepita come una fatalità o peggio come una entità burocratica lontana chiamata solo a dare “pagelle” e chiedere sacrifici, che non aiutano il processo di integrazione proprio quando è necessario una partecipazione attiva e consenso dei cittadini.
I modelli di unità federale che ci sono dinanzi sono e che la storia ci propone sono tutti in parte almeno inadeguati vale per l’esempio degli Stati Uniti d’America riconoscibile nel patriottismo federale, per l’unione eurasiatica zarista, basata su una realtà imperiale e repressiva, per l’unità federale tedesca non estensibile, per l’unità federale svizzera che poggia su una realtà non omogenea ma collaudata nel rispetto delle differenze etniche e di articolazione delle comuni esigenze.
Dopo l’avvento dell’euro si può cominciare a correre, si sta aprendo il decennio dell’Europa con una seconda ondata di democrazia.
L’introduzione dell’Euro ha rappresentato il completamento del mercato unico.
Il grande processo di unione monetaria della comunità non è solo un grande evento storico, non è solo uno straordinario avvenimento storico è qualcosa di più. Si afferma la “grande idea” dell’Europa tenacemente sostenuta dai padri fondatori che portò Jean Monnet a sostenere che “l’Europa era condannata al successo” e poi perseguita in questi cinquanta anni.
Ma cos’è l’Europa? Un continente una idea, una dimensione geoculturale? Il suo nome è antico ma i significati molteplici. Oggi si parla di comunità europea una espressione ambigua perché espungeva tutti i paesi dell’est, tutti i paesi della cortina di ferro e proponeva una Europa grottesca senza Praga, Budapest senza Cracovia, con una Berlino dimidiata e una Lipsia assente, ma ancora di più una espressione limitata dalle funzioni politico amministrative, economiche, militari, dal suo essere tessuta più di teorie, di èlites, di governi e di buone intenzioni che non di realtà di fatti, di carne e di sangue dei poli europei.
Qualcuno si chiedeva se era auspicabile un “Risorgimento europeo”, un patriottismo europeo come quello americano. Ma occorrerebbe tornare a pensare a grande e ciò significa innanzitutto assunzioni di responsabilità politiche e militari.
E’ stato calcolato che alla vigilia della prima guerra mondiale cioè nel 1913 l’84 per cento delle terre emerse quasi l’intero globo si trovava sotto il dominio diretto o indiretto degli europei.
Sempre in quella data il PIL del vecchio continente costituiva il 45 per cento del prodotto mondiale, rispetto al 32 per cento del 1820 e raggiungere il 19 per cento nel 2000. Il progresso sembrava inarrestabile, ma con quella l’incantesimo si spezzò cominciò un declino anche per il manifestarsi di malattie gravi come i totalitarismi. La risposta europea alla nuova frontiera, alla prima globalizzazione è stata proprio in questo senso.
Nel 1913 il PIL dell’Europa dell’Est aveva superato il 17 per cento. Nel 92 dopo i danni provocati dal sistema comunista tale valore si era dimezzato scendendo sotto l’8 per cento.
Un altro dato significativo: l’età mediana degli europei era nel 1950 di 29 anni; oggi è pari a 38 anni e sarà pari a 49 anni nel 2050 pur con le distinzioni fra le aree.
Il rapporto tra anziani (60 anni e oltre) e giovani-adulti (20-60 anni) passerebbe per l’intera Europa dall’attuale 35 per cento all’82 per cento nel 2050
In Italia nei prossimi due decenni la popolazione tra i 20 e i 40 anni diminuirà di 6 milioni di persone nelle età più produttive, mobili e flessibili con migliore formazione e maggiore capacità di afferrare l’innovazione diminuendo da 17,3 milioni a 11,4 milioni. Questo è un fatto perché quelli che tra due decenni avranno 20 anni sono ormai tutti nati.
E’ diffusa la opinione che il nostro generoso modello sociale possa affermarsi nel mondo. Sarebbe necessario essere competitivi, forti militarmente, ricchissimi. Per taluni altri l’Europa è una utopia politica.
Affermare dunque un’etica delle responsabilità . la economia sociale di mercato non può essere solo uno strumento di contabilità.
Per uscire dalla crisi l’Europa ha il compito di lavorare, produrre, diventare competitiva irrobustirsi avere la consapevolezza delle difficoltà abbia il coraggio di affrontarle.
Una Europa chiusa, ripiegata su se stessa, non solo sarebbe più piccola, ma anche meno dinamica meno capace di esporta cultura ed idee.
Il Parlamento Italiano ha da poco ratificato il Trattato di Nizza. Abbiamo registrato un grande successo della nostra diplomazia politica estera con la Russia di Putin associata ad un organismo di cooperazione. E’ il segno di tempi profondamente cambiati.
Nonostante i tiepidi giudizi nonostante le indubbie novità della Carta dei diritti, dell’estensione del voto a maggioranza, delle decisioni sull’allargamento, la grande novità è stata, come ha ricordato efficacemente il Presidente del Senato Marcello Pera il discorso sul metodo, riscoprendo il metodo Monnet che è induttivo perché parte dal basso.
Se vogliamo consolidare i vantaggi acquisiti come pace, libertà, crescita economica, benessere diffuso estensione dei diritti sociali dobbiamo aggiungere i vantaggi istituzionali che non possono essere messi in discussione dal processo di costruzione.
La Carta di Nizza non è solo la carta dei diritti fondamentali strumento giuridico atteso da oltre 30 anni è momento di progresso nella costruzione dell’Europa .
Certo sono stati raggiunti compromessi, un difficile equilibrio, momenti di difficoltà come la minoranza di bloccaggio, il metodo della cooperazione rafforzata, l’estensione della maggioranza qualificata progressi certo importanti, ma possono essere inadeguati se il dibattito sull’avvenire dell’Europa metterà a confronto un gruppo di paesi pronti ad accettare il principio di una costituzione di carattere federale ed un altro gruppo di paesi decisi a salvaguardare l’ormai apparente sovranità nazionale nell’ambito di una Europa di tipo confederale.
Dobbiamo evitare di correre il rischio di imporre con i numeri scelte politiche che si riflettono sugli uomini.
La costruzione europea è un edificio che va costruito con calma per resistere alle difficoltà.
Nizza è stato un passo nella direzione di riunire i paesi del nostro continente in una grande area di pace, stabilità e sviluppo, senza esclusioni preconcette come quelle espresse dal Presidente Prodi nei confronti della Russia secondo il quale un eventuale ingresso rappresenterebbe un fattore di squilibrio per la sua dimensione territoriale e di popolazione.
Ora dobbiamo guardare a una più precisa divisione delle competenze tra l’Unione europea e gli Stati membri, incorporare nel trattato la Carta dei diritti fondamentali, semplificare l’organizzazione dei trattati e interrogarsi sul ruolo delle istituzioni.
Dopo l’introduzione con pieno successo dell’Euro si afferma sempre più l’idea dell’Europa. E’ una moneta senza Stato e dunque si aprono problemi nuovi connessi ad Istituzioni più efficienti e democratiche e non ancora stabilizzate.
Occorre ripensare le politiche di sviluppo e di coesione sociale aiutando la crescita di altri centri propulsivi dello sviluppo europeo.
Sono indispensabili meccanismi di controllo del Parlamento europeo rispetto alle funzioni di controllo politico e di direzione strategica delle operazioni di gestioni delle crisi internazionali.
Abbiamo apprezzato il costante monitoraggio dei lavori della Convenzione attraverso un forte coinvolgimento del Parlamento Nazionale come non v’è stato nella elaborazione del Trattato di Nizza su cui vi è stata sostanziale estraneità.
Attraverso il dibattito sulla Costituzione i cittadini europei potranno interessarsi all’Europa e parteciparvi. Abbiamo il dovere di formare una opinione pubblica europea.
Non possiamo non ricordare che i problemi sono esplosi con la redazione della Carta dei diritti fondamentali nelladefinizione del patrimonio dell’Unione.
Manca un approfondimento della comunanza europea fondata sulle sue radici culturali che sono comuni. Mentre siamo impegnati a rafforzare la entità di carattere statuale senza rafforzare la identità culturale comune, si rischia di realizzare un meccanismo politico amministrativo “senza anima”. Avere la consapevolezza di appartenere alla stessa civiltà, ricca delle proprie diversità, ma fondamentalmente unità intorno ai medesimi valori essenziali..
La storia del vecchio continente ha dimostrato come la stessa “modernità” laica abbia bisogno di un vivo sentimento religioso, quale antidoto contro le utopie dogmatiche. Convivenza tra cristianesimo e laicità.
Gli Stati Nazionali sono nati sul concetto di nazione, una comunanza culturale e linguistica, legittimando la coesione e l’appartenenza allo stato. Il dibattito si è ridotto, limitato alle tutele dei diritti umani, è una scelta positiva ma parziale perché appartiene alla organizzazione internazionale, alle Nazioni Unite, e quindi di per sè insufficiente per caratterizzare l’identità europea.
Quello che vogliamo è un’Europa dei valori, con una precisa identità culturale in cui confluiscano le culture nazionali dei nostri popoli di popoli in cammino, che pongono la persona umana e la sua dignità al centro della costruzione sociale verso cui orientare l’azione politica.
Nel ringraziare sentitamente per l’invito ricevuto a partecipare a questo importante Convegno annuale, mi sia consentito di richiamare a tutti noi, l’alto invito contenuto nel Messaggio del Santo Padre rivolto ai partecipanti ad un importante Convegno, tenutosi a Roma il 20-23 giugno 2002, dal titolo “Verso una costituzione europea?”.
In quella circostanza, il Santo Padre ci ha così esortato: “L’allargamento dell’Unione Europea o, meglio ancora, il processo di “europeizzazione” dell’intera area continentale, da me più volte auspicato, costituisce una priorità, da perseguire con coraggio e tempestività, dando effettiva risposta all’aspettativa di milioni di uomini e donne che sanno di essere legati da una storia comune e che sperano in un destino di unità e di solidarietà. Ciò richiede un ripensamento delle strutture istituzionali dell’Unione Europea, che le adegui alle nuove esigenze e sollecita, nel contempo, l’identificazione di un nuovo ordinamento nel quale vengano esplicitati gli obiettivi della costruzione europea, le competenze dell’Unione e i valori sui quali essa deve basarsi”.
Nel Messaggio, il Santo Padre ci invita a guardare al futuro dell’Europa con “fedeltà creativa”. L’atteggiamento a cui Egli ci esorta non è solo quello del riconoscimento di alcuni diritti ma soprattutto quello di portare un contributo creativo alla costruzione della società politica europea.
Come sappiamo, il Consiglio europeo riunitosi a Laeken nel dicembre 2001 ha deciso di convocare una “Convenzione”, incaricata di preparare un nuovo “trattato costituzionale” europeo.
L’obiettivo e quello del rafforzamento del quadro istituzionale dell’Unione Europea, mediante una rete liberamente assunta di vincoli e di cooperazioni, in grado di contribuire efficacemente allo sviluppo della pace, della giustizia e della solidarietà per l’intero Continente.
La Commissione degli episcopati della comunità europea (COMECE) segue con attenzione i lavori della convenzione, al fine di offrire orientamenti e proposte, utili anzitutto ai membri della convenzione, ma che possono essere di utilità al dibattito nell’ambito della società civile sul futuro dell’Unione europea.
E proprio in tale contesto, la Commissione ha elaborato un importante contributo dal titolo “Il futuro dell’Europa responsabilità politica, valori e religione“
In esso viene posta, innanzitutto, particolare enfasi sull’esigenza di tutelare la dignità umana ed i diritti fondamentali dell’uomo
In particolare, si sottolinea l’importanza del riconoscimento dei diritti fondamentali in un futuro trattato costituzionale, che includa la libertà di religione nella sua dimensione individuale, collettiva ed istituzionale. Tale dimensione dovrebbe essere riconosciuta non solo in quanto parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, ma anche a livello della stessa Unione europea.
Per quanto riguarda i futuri assetti istituzionali, il documento ricorda come i risultati dell’integrazione europea si debbano all’originalità delle sue basi istituzionali, in particolare il metodo comunitario e il delicato equilibrio di poteri che essa assicura fra le Istituzioni e gli Stati membri. “Distinto sia dal puro intergovernativismo sia dalla completa integrazione, il metodo comunitario è essenziale per la salvaguardia degli interessi generali dell’Unione nel suo insieme”. Si ribadisce l’importanza di mantenere un ruolo centrale della Commissione europea e l’obiettivo di conferire al Parlamento europeo da un lato la piena legittimazione democratica, dall’altro competenze in settori quali la giustizia e gli affari interni, la politica agricola comune ed il Fondo europeo di sviluppo. Il testo costituzionale dovrebbe, poi, porre la questione della disuguaglianza fra i venticinque e più stati membri dell’Unione nel catalogo delle priorità dell’azione comune per l’avvenire.
In generale, ritengo che occorra realizzare un modello di crescente integrazione che non punti al super-Stato bensì ad un esercizio congiunto di sovranità da parte dei singoli Stati su un percorso federale. Come ha rilevato anche il professor Lorenzo Ornaghi – rettore dell’Università Cattolica – non si tratta di abolire la figura dello Stato ma di costruire un nuovo rapporto fra Stato e società e fra politica e Stato.
In effetti, come sottolineato recentemente da parte del Ministro per le politiche comunitarie, on. Buttiglione, occorre procedere ad un “rafforzamento dell’equilibrio istituzionale tra i cinque pilastri dell’Unione, vale a dire Consiglio europeo, Commissione, Consiglio dei Ministri, Europarlamento e Parlamenti nazionali”. Ogni proposta volta a “rafforzare unilateralmente un solo pilastro, ad es. Commissione o Parlamenti nazionali”, infatti, sarebbe destinata a fallire.
Il Ministro considera altresì indispensabile “riorganizzare il Consiglio europeo, luogo di massima legittimità democratica e di indirizzo generale”, non dotandolo di un Presidente eletto dai Capi di Stato e di Governo bensì di “un portavoce strettamente coordinato con il Consiglio dei Ministri”. La proposta Blair-Chirac di eleggere un ex Capo di Stato o di Governo quale Presidente del Consiglio europeo con un mandato di cinque anni, dunque, “va attenuata”. La presidenza prevista dal progetto è “troppo lunga”, non deve essere “al di sopra del Consiglio, ma la sua espressione” e non deve sembrare “un’alternativa alla Commissione europea”. Per questo, ha aggiunto il Ministro Buttiglione, “il futuro Presidente deve essere un portavoce e non un organo autonomo”.
Quanto alla ricerca di un equilibrio efficace tra metodo comunitario e metodo intergovernativo, l’on. Buttiglione sottolinea che “dare poteri reali a Bruxelles ha il vantaggio di garantire la difesa dei Governi più deboli dall’arbitrio degli altri”, ma, al tempo stesso, “il metodo comunitario soffre di ipertrofia: con il veto degli Stati che spesso paralizza le decisioni, la Commissione finisce per esercitare poteri superiori alle sue effettive competenze”.
Partendo da queste considerazioni, il Ministro ha proposto di “comunitarizzare il Consiglio attraverso l’annullamento del veto”, e rafforzare quindi “l’esercizio congiunto di sovranità che si esprimerebbe attraverso il portavoce”. Il Consiglio, pertanto, “avrebbe preminenza sulla Commissione, che diventerebbe un esecutivo politico con un mandato chiaro”.
In questo modo, conclude Buttiglione, “Bruxelles potrebbe estendere i propri poteri anche a nuovi settori, sotto il controllo democratico dell’Europarlamento e quello politico del Consiglio”.
In merito alla questione della governance economica europea, si avverte sempre di più l’esigenza di un passaggio ad una vera e propria politica economica comune. In sede di Convenzione europea, dunque, sarà necessario procedere alla redazione di una “Costituzione economica” che incida in modo efficace sul coordinamento tra le politiche degli Stati membri.
Si potrebbe, come suggerito dallo stesso Ministro per le politiche comunitarie, definire un DPEF europeo, elaborato “dai ministri europei competenti a metà dell’anno sulla base degli obiettivi di finanza pubblica giudicati indispensabili per la stabilità e la crescita dell’Europa nell’anno seguente”. Tali obiettivi verrebbero poi “divisi tra i diversi Paesi, secondo una valutazione prudenziale”.
Il documento COMECE difende, giustamente, il principio di sussidiarietà, che conduce ad una comprensione molto più sofisticata della ripartizione e dell’esercizio dei poteri. Il rispetto di tale principio, infatti, ha sempre evitato che il sistema di governo europeo assumesse la forma di una sovrapposizione verticale di diversi livelli di potere
Per quanto concerne i rapporti tra le Chiese e l’Unione europea, il documento della Commissione degli episcopati sottolinea l’importanza di “riconoscere i grandi movimenti e le tradizioni religiose, spirituali ed intellettuali in quanto patrimonio vivente e significativo per la nostra epoca e per il futuro dell’Europa. Tra di essi, lo specifico contributo delle Chiese e delle comunità religiose dovrebbe essere riconosciuto in un futuro trattato costituzionale dell’Unione europea. Il trattato dovrebbe anche prevedere la possibilità di un dialogo strutturato fra le Istituzioni europee e le Chiese e comunità religiose”.
“C’è un ruolo istituzionale, pubblico delle Chiese – come ha sottolineato recentemente il professor Mirabelli – distinto dalle istituzioni politiche, ma non per questo meno incidente nella realtà sociale. Ciò significa un impegno per la comunità dei credenti. La Chiesa rappresenta un fattore di unità per l’Europa sia per la sua vocazione universalistica sia per il suo radicamento nelle comunità locali. Sullo sfondo c’è il mantenimento delle proprie radici. Non c’è un diritto all’amnesia delle proprie radici. In questo, il radicamento cristiano dell’Europa è un radicamento laico, non confessionale”.
Signore e Signori,
la drammatica crisi in Medio Oriente, dove sembra in atto uno scontro di civiltà, dimostra che è indispensabile che l’Europa si rafforzi come unità politica. L’Europa può portare la sua cultura, la sua ricchezza fondata sulla diversità, soprattutto nel processo di ampliamento ad Est e ai Paesi del Mediterraneo, da Malta a Cipro, un allargamento attraverso il principio di flessibilità, costruito sulla pace e sull’allargamento del benessere.
Allargamento con gradualità perché i parametri di convergenza dei paesi fondatori vanno riprodotti anche per le nuove adesioni, sia pure in misura più diversa, più equilibrata con attenzione al sistema economico di produttività delle imprese piuttosto che alla contabilità finanziaria.
A Nizza non hanno prevalso gli egoismi e gli interessi particolari perchè l’idea di Europa è più forte di qualsiasi condizionamento. Il difficile momento storico impone ai sostenitori dell’unità europea di far sentire la propria voce, contro ogni interpretazione riduttiva del progetto europeo, per affermare il ruolo dell’Europa nel mondo.
Altrimenti volteremmo le spalle ai doveri che abbiamo verso i nostri popoli e le generazioni future.
Non senza riflettere sul modo stesso di approvazione dei Trattati rendendoli adeguati ai cambiamenti istituzionali, va però approfondito il rafforzamento delle istituzioni identificando obiettivi e responsabilità; Oggi più di ieri abbiamo bisogno dell’Europa. Il dramma delle Torri Gemelli, la minaccia del terrorismo internazionale ci tolgono ogni illusione.
Vogliamo una forte federazione di Stati nazione come ha detto il Presidente Ciampi e non vogliamo che i popoli rinuncino alla loro sovranità, ma piuttosto creare le condizioni per meglio esercitarla.
La democraticità deve affermarsi insieme ad una forte coscienza politica.
Una politica economica, una politica estera e militare esigono un governo democratico europeo.
Forse è venuto il momento di sacrificare al concetto di Europa sopranazionale una mollica del proprio pane.
L’obiettivo deve essere quello di mettere in risalto lo specifico dell’Europa che sta nella sue straordinarie diversità e variabilità delle sue geometrie culturali.
Dobbiamo guardare a orizzonti più ampi con la consapevolezza che l’Europa si fa con ilconsenso dei cittadini e degli Stati non solo con il consenso delle diplomazie.
Le sfide che abbiamo dinanzi sono la definizione di una nuova statualità e la promozione di nuovi ordinamenti internazionali, e soprattutto il principio di cittadinanza europea con diritti, libertà per tutti al di là dei confini, che deve essere consacrata nella Costituzione.
La globalizzazione non deve accentuare le disuguaglianze non accresca, ma diminuisca le tensioni fra gli Stati fra i popoli fra le culture; essa deve volgersi a vantaggi di tutti e dunque deve essere governata dall’uomo.
Il pericolo è una frattura di civiltà: cioè vivere senza un passato e senza un futuro, senza sapere dove andare.
E’ un errore oggi frequente sostenere l’unicità o l’eccezionalità dell’attuale esperienza di globalizzazione. Quella attuale è una tendenza più forte perché ha la spinta demografica, tecnologica e dei trasporti.
Ma che cosa è la globalizzazione: è la tendenza della nostra economia ad assumere una dimensione mondiale anche se poi il fenomeno della crescente integrazione può dare luogo a implicazione politiche, sociali, culturali e ambientali. La nostra globalizzazione ha raggiunto solo all’inizio degli anni novanta i livelli degli anni precedenti la prima guerra mondiale (Maddison 1995). Il problema della “nostra”, ma più opportunamente definibile “americana” in quanto centro propulsore sia di tipo finanziario che tecnologico, è evitare gli errori disastrosi di quella precedente.
Uno studio dell’Economic Policy Institute rilevava che il reddito medio prima delle imposte del 20 per cento delle famiglie americane alla fine degli anni novanta risultava superiore di 10, 6 volte quello del venti per cento con i redditi più bassi mentre negli anni settanta era di sole 7,4 volte.
Le ricchezze dei tre miliardari primi in classifica sono maggiore della somma del PNL di tutti i paesi meno sviluppati e dei loro sessanta milioni di abitanti.
Il “solco informatico” che separa anche nei paesi ricchi coloro che possiedono le chiavi di accesso alle nuove tecnologie da chi ne è privo, potrebbe trasformarsi in una trincea più logorante e pericolosa di quelle della prima guerra mondiale.
Stiglitz ha affermato che possediamo un sistema di governance globale ma che siamo privi di un governo globale e la fiducia negli organismi internazionali come FMI e Banca Mondiale non è mai stata così bassa.
Occorre colmare un deficit democratico, perché emerge la mancanza di un controllo democratico.
I Governi sembrano incapaci di contrastare le tendenze in atto.
La cooperazione è lo strumento più efficace per elaborare linee di azioni efficaci, ma ancora più essenziale è la collaborazione tra Stati Uniti ed Europa.
In Europa il potere statuale si è dispiegato per entrare nel gioco della globalizzazione e per realizzare la unificazione per via monetaria del continente.
L’Unione Europea potrebbe rappresentare una entità politica capace di misurarsi con gli Stati Uniti – evitando fratture ed evitando isolamenti – a condizione che sappia darsi i mezzi necessari per affermare una propria sovranità, una sovranità che i singoli stati non erano in grado di opporre alla globalizzazione del capitale. Una sovranità intesa a liberarsi della signoria del denaro ed a affermare la signoria sul denaro.
L’Europa avrà un futuro solido tanto più sarà estesa la legittimazione democratica e dunque diverrà essenziale il momento della decisione sulla Costituzione coniugando le esigenze centrali e periferiche e sulle sue radici cristiane che per il loro valore universale sono a fondamento di tutta la civiltà occidentale.
Occorre trovare una sintesi tra mercato, istituzioni e società civile.
La solidarietà è una componente fondamentale di un adeguato equilibrio internazionale.
E come qui oggi gli ex alunni passano ai nuovi alunni la fiaccola dell’impegno del lavoro della partecipazione, della formazione, chiamando i giovani ad un studio rigoroso, alla tenacia nell’affrontare le difficoltà della vita a credere non solo ad aspetti materiali ma nei valori più alti.
Ci giunga alto l’insegnamento di Giovanni Paolo II che ad Assisi quest’anno ha ricordato come ” le tenebre non si dissipano con le armi; le tenebre si allontano accendendo i fari di luce.
Il nuovo ordinamento europeo dovrà dare spazio agli aspetti innovativi della società europea e dovrà promuovere una politica che sappia trovare la sua finalizzazione al bene comune.
Tuttavia, per essere davvero adeguato alla promozione dell’autentico bene comune, il nuovo ordinamento dovrà riconoscere e tutelare quei valori che costituiscono il patrimonio più prezioso dell’umanesimo europeo.
E proprio il Santo Padre li ha più volte richiamati: la dignità della persona; il carattere sacro della vita umana; il ruolo centrale della famiglia fondata sul matrimonio; l’importanza dell’istruzione; la libertà di pensiero, di parola e di professione delle proprie convinzioni e della propria religione; la tutela legale degli individui e dei gruppi; la collaborazione di tutti per il bene comune; il lavoro considerato come bene personale e sociale; il potere politico inteso come servizio, sottoposto alla legge e alla ragione e “limitato” dai diritti della persona e dei popoli.
Su tutti tali aspetti, siamo chiamati ad un forte impegno, come credenti, per realizzare una nuova Europa quale “casa comune”, che sappia promuovere sempre democrazia, giustizia e solidarietà.
Cuorgné , 6 ottobre 2002