L’orizzonte lontano dello sguardo di Guarino
Articolo tratto dal giornale “Il domani d’Italia” del 19 aprile 2020
Con Giuseppe Guarino scompare un Maestro del diritto, un accademico con cui si sono formate intere generazioni di studenti poi diventati manager e classe dirigente del Paese. Era un uomo cordiale, aperto al dialogo e pronto ad ascoltare, ma fermo nei suoi principi. Aveva il grande pregio di guardare il futuro con grande anticipo rispetto agli avvenimenti perché aveva una visione globale. Era moderno ed elegante come il Suo sito che incorniciava i suoi scritti, i suoi interventi, che restano una memoria incancellabile.
L’ultimo volta che l’ho incontrato è stata nell’Auletta dei Gruppi stracolma quando insieme a Giorgio La Malfa e Paolo Savona illustrò i suoi studi sulle norme europee istitutive dell’Euro, con il futuro leghista Borghi che lo invitava rozzamente a concludere, non comprendendo la grandezza del personaggio e la profondità del pensiero (che certamente non si misura con il tempo!).
Mi preme però soffermarmi su Guarino studioso dell’intervento pubblico in economia. Il problema delle Partecipazioni Statali non è tanto quello del “ruolo”, quanto quello del loro “modo di essere”. Dopo il periodo d’oro fino al 1965, in cui i meccanismi dello sviluppo erano stati favorevoli per gli ampi spazi interni e la minore capacità verso quelli esterni, riteneva che si erano generate molte illusioni.
Era per Guarino la stessa situazione di chi “veleggiando in mare aperto [scopre come] si sommino gli effetti del vento e di una corrente. Il timoniere può credere che tutto dipende dalla sua abilità a raccogliere il vento, quando molto del successo è da attribuirsi ai movimenti profondi del mare”.
Era mutato lo scenario perché era entrata la CEE – è questo lo diceva nel luglio 1980 – e la libertà di apportare capitali per interventi pubblici non esisteva più perché aiuti anche indiretti possono alterare le condizioni della concorrenza. Il settore in quel momento coinvolgeva 1.000 imprese e 700.000 famiglie.
Forti erano le sue critiche alla classe politica che aveva capovolto il proprio rapporto non solo nei confronti degli imprenditori privati, ma anche dei grandi imprenditori pubblici. Ribadiva la funzionalità del modello organizzativo più sviluppato della società capitalistica con il gruppo di imprese, la formula che ne ha consentito il successo.
Vedeva il pericolo della amministrativizzazione spinta con i controlli preventivi nei fondi di dotazione e con vincoli eguali a quelli degli enti pubblici economici, quindi in contrasto con la formula originaria delle PPSS intese come gruppo volto ad operare a mezzo di imprese ispirate ai criteri di economicità.
Si poneva il problema della direttiva e la sua risposta era: “Possiamo fare perno su un bastone, ma se il peso è troppo forte, il bastone si spezza e cadiamo in terra”. Se chiediamo troppo, più di quanto possano dare l’organismo si incrina, lo scopo non viene raggiunto e per di più avremo distrutto lo strumento.
Per Guarino la direzione era un’altra, quello della grande impresa, badando però ad evitare gli errori compiuti con la chimica costrette a vendere per il cambiamento del vento e dunque “costrette ad una provincializzazione spinta del settore”. E aggiungeva, con parole profetiche: “Ne avvertiremo gli effetti negativi, temo, tra non molto”.
Dunque ricapitalizzare le imprese pubbliche significava per Guarino non tanto pagare i debiti, bensì gettare le basi per dimensioni future, incidendo nei settori civili, coinvolgendo i risparmi verso le imprese, anche dei dipendenti, con i fondi pensione, istituti di assicurazione, grandi fondazioni. V’era il richiamo ad una funzione nuova con i caratteri del dinamismo per il conseguimento di utili che non è fine a se stesso, ma metro di validità e insieme strumento per il perseguimento dell’interesse pubblico.
Nel 1987, dopo la sua elezione alla Camera dei Deputati manifestò in modo elegante la sua candidatura alle primarie per la Presidenza della Commissione Bilancio in contrapposizione a quella di Nino Andreatta al Senato. Erano due visioni diverse delle PPSS e sull’intervento pubblico in economia. Il metodo democratico della DC, con voto segreto, portó a una scelta diversa.
Nel 1988 volle una grande momento di riflessione della Dc sull’Atto Unico di Delors, che dal 1993 avrebbe determinato modifiche strutturali, innovazioni istituzionali e politiche, superamenti di squilibri e inefficienze. Guarino sapeva guardare oltre l’orizzonte comprendendo i limiti della utilizzabilità dello schema di sviluppo domestico perché privava “il Sistema Italia della quasi totalità dei mezzi sin qui impiegati per il sostegno diretto o indiretto, dimostratatisi indubbiamente efficaci al sistema industriale italiano”. Le difficoltà si determineranno proprio per le pmi per la loro debolezza strutturale e incapacità di affrontare i processi di ristrutturazione.
Nel 1993 al seminario della Camilluccia promosso da Gerardo Bianco disse che “le privatizzazioni andavano fatte due anni prima, ma allo stesso modo dobbiamo preoccuparci se fra dieci anni il nostro sistema industriale sarà competitivo, dopo che è nato e cresciuto nella bambagia di un mercato interno protetto. Bisogna cambiare strategie di lungo periodo nelle dimensioni pubbliche e private, negli investimenti per la ricerca, nella abitudine ai mercati finanziari”.
In un intervento in Commissione Bilancio espresse preoccupazione per gli effetti sulla occupazione in conseguenza dell’accordo Andreatta-Van Miert, che porterà di lì a breve alla chiusura dell’Iri.
Da Ministro della Industria e ad interim delle PP.SS. nel 1992 sui decreti Amato portò avanti le sue idee sulle privatizzazioni divergendo dal Ministro del Tesoro Barucci per il quale “il programma di privatizzazioni consentirà la liberazione di energie da rivolgere allo sviluppo del Paese e permetterà la creazione di un mercato assai più vitale”.
Purtroppo non sarà così! Infatti nel successivo governo Ciampi fu sostituito da Savona. Guarino si domandava infatti se “si privatizzava a diritto variato o invariato”, perché il diritto variato implicava di adottare decisioni che modificano opportunamente l’ordinamento giuridico. Dunque, vedeva i pesanti effetti sulla occupazione per una dimensione fino a 200 mila occupati; così come vedeva i pesanti effetti della seconda direttiva comunitaria che nel rapporto delle banche con l’industria elevava il limite fino al 60 per cento del patrimonio netto.
Poi verrano i suoi magistrali studi sull’Euro che resteranno incancellabili, ma non possono essere strumentalizzati. Illuminano, come mai era stato fatto, la storia dell’Europa, i rapporti fra gli Stati, la moneta unica e le prospettive per tutti noi. Possono essere utili a chi è in grado di maneggiarli per migliorare le Istituzioni europee.
Infine, giova menzionare l’occasione dei suoi novant’anni festeggiati dall’associazione ex parlamentari nella Sala delle Colonne, con il suo sorriso bonario che ci accompagnerà come ricordo incancellabile. Ho avuto il pregio di conoscerlo, di frequentarlo di apprezzarne le virtù. Ogni occasione era una lezione universitaria che ti arricchiva! Guarino volgeva il suo sguardo nell’orizzonte lontano!